Convito Multietnico

Adriana Angelieri

Di dubbio in dubbio approdiamo al dilemma europeistico e interrazziale. Come non trasformare l’ospitalità il prevaricazione sadica di chi è diverso da noi? Ospitare dovrebbe voler dire accogliere senza opprimere, abbracciare senza comprimere, trattenere senza legare. Tutte le volte che siamo padroni di casa diventiamo anche autori di un habitat psicologiconel quale l’altro, se non vivere bene, deve almeno ben sopravvivere. Com’è la nostra ospitalità, sana o perversa? Siamo sempre noi a deciderlo, potendo scegliere il nostro stile di accoglienza lungo una gamma che va dall’abbraccio alla trascuratezza. Il modo peggiore è la prevaricazione. La supremazia territoriale può indurci a stritolare l’ospite con diktat affermativi della nostra identità, a vessarlo con proclami colonialisti, a trasformarlo nella vittima del nostro sentirci finalmente “padroni” di qualcosa, di casa appunto. Così l’ospitalità diventa sequestro di persona. Come scongiurare il pericolo di un reato così odioso? Tenendo presente che l’altro è sempre diverso da noi e che a volte lo è in modo speciale. Per ospitarlo in modo sano, per scambiare con lui esperienza, affetto e cultura anziché angherie, bisogna accettarlo, e per accettarlo bisogna conoscerlo.

Ecco, in una rapida passerella, gli identikit dei probabili convitati al vostro banchetto interrazziale.
Albanesi. Più che un’abitudine o un capriccio per loro la carne è (purtroppo) un lusso. Li farete felici se eviterete la cucina povera e vegetariana.

Americani. Mangiano di tutto, ma vanno matti per la pasta e per la pizza. Gradiscono la presenza di un televisore acceso.

Arabi. La nostra gastronomia, imperantemente suina, deve confrontarsi con l’orrore che un musulmano ha del maiale. Ovviamente niente salsiccia e prosciutto, ma attenzione anche allo strutto, presente in molti alimenti artigianali e industriali (grissini, dolci e cracker). Anche le altre carni presentano insidie. I musulmani, infatti, possono mangiare solamente la carne di animali sgozzati e dissanguati. Andate a colpo sicuro con un piatto di pasta (graditissima), pesce, uova e verdura. Attenzione agli alcolici: un musulmano osservante pecca gravemente non solo se li beve, ma anche se li beve un suo commensale. Quindi si pasteggerà sempre ad acqua.

Australiani. Se a tavola non è comparsa la carne andranno via con l’impressione di avere digiunato.

Cinesi. Sono il popolo più onnivoro del mondo: via libera a tutto!

Ebrei. Sono gli ospiti più impegnativi. La parola chiave per un invito senza gaffe è l’aggettivo kashér, che significa “conforme” e qualifica un cibo permesso dalle Scritture. Le regole della kasherùt (le norme alimentari) possono apparire bizzarre a noi italiani vetero-cattolici, distratti portatori di un super-Io permissivo che ci consente di inserire di tutto al nostro interno. Per gli ebrei (e i musulmani) non è così. Per loro l’alimentazione è un atto religioso e perciò legato all’osservanza delle Scritture. A proposito, se la conversazione a tavola cade sulla kasherùt, non cadete nel luogo comune dicendo che sono norme igieniche. Vi obbietteranno che sono norme religiose e perciò imperscrutabili e vi ricorderanno che la religione ebraica non proibisce alimenti sicuramente nocivi come i funghi velenosi.

Europei del Nord (svedesi, norvegesi, danesi). Ai nostri pranzi hanno sempre l’impressione di mangiare troppo, perché, a differenza di quanto facciamo noi, consumano almeno cinque pasti al giorno e arrivano a tavola sempre quasi sazi. Un piatto di pasta scarsissimo, una mezza porzione di pesce e due fragole con un po’ di gelato saranno considerati un gran banchetto.

Francesi. Ovviamente sono sciovinisti anche a tavola e orgogliosissimi della loro cucina che ritengono la migliore del mondo. Tutto sommato sono un po’ difficili da accontentare, ma non hanno idiosincrasie e mangiano di tutto.

Giapponesi. Andate sul crudo e non sbaglierete.

Inglesi. Generalmente hanno orrore dell’olio di oliva. Tranne i modaioli, che attualmente sono affascinati dalla cucina mediterranea. Ma bisogna pescare nelle fasce snob.

Spagnoli. Sono grandi fan della nostra cucina oltre che dell’italianità in genere. Nessun problema, ma se esagerate con l’aglio vi saranno grati.

Tedeschi. Con tutti i ristoranti italiani che si ritrovano in patria e tutte le vacanze a Rimini che si sono fatti è come avere a tavola un italiano.

di Martino Ragusa

Siciliana trasferita a Bologna per i tortellini e per il lavoro. Per Il Giornale del Cibo revisiona e crea contenuti. Il suo piatto preferito può essere un qualunque risotto, purché sia fatto bene! In cucina non devono mancare: basilico e olio buono.

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