coniglio allevamento

Carne di coniglio: allevamento, produzione e caratteristiche nutrizionali

Matteo Garuti
2

    Da secoli il coniglio fa parte della tradizione alimentare italiana, con varie ricette regionali di origine contadina. L’aumentata sensibilità dell’opinione pubblica verso il benessere degli animali, però, negli ultimi anni ha fatto cresce l’attenzione sulla coniglicoltura, e alcune inchieste hanno evidenziato episodi di crudeltà negli allevamenti. Dopo aver approfondito il caso dei polli d’allevamento venduti a prezzi troppo bassi, questa volta ci concentreremo sulla situazione dei conigli, considerando le caratteristiche di questi animali in relazione alle modalità zootecniche diffuse su larga scala.

    Coniglio: allevamento e punti critici

    L’allevamento del coniglio ha tradizioni antiche, che risalgono ai Romani e si consolidano nel Medioevo. Da sempre la destinazione commerciale interessa sia la carne che la pelliccia di questi animali, erbivori, prolifici, e quindi adatti all’addomesticamento, e che allo stato selvatico sono originari dell’Europa mediterranea.

    L’utilizzo delle cosiddette conigliere inizia nel Cinquecento, mentre nell’Ottocento si avvia la selezione delle razze, con diversi incroci, e la diffusione delle gabbie a fondo grigliato posizionate all’aperto, per consentire agli animali di pascolare l’erba. L’allevamento intensivo in edifici chiusi si sviluppa nel secolo scorso, specialmente dagli anni Settanta, quando i mangimi sostituiscono progressivamente l’alimentazione naturale, basata su ortaggi, granaglie, fieno e frutta.

    Oggi la coniglicoltura avviene prevalentemente con queste modalità, e gli esemplari solitamente vengono tenuti in gabbie metalliche, che possono essere disposte in un’unica fila o in linee sovrapposte. Al livello più basso, la struttura è sollevata dal suolo di circa un metro, mentre un fondo grigliato permette alle deiezioni di cadere sul pavimento, da cui vengono rimosse. Nelle file più in alto, invece, in genere sotto le gabbie sono disposti dei nastri trasportatori e delle canaline per adempiere a questa funzione.

    Se in Europa per il pollame e nell’allevamento delle galline ovaiole queste strutture sono state bandite da alcuni anni, quindi, lo stesso non si può dire per l’allevamento del coniglio, dove l’uso delle gabbie rappresenta ancora la normalità. In ognuna di esse sono inseriti da uno a tre esemplari, e quelle che ne ospitano fino a due solitamente misurano circa 20 per 35 o 30 per 25 centimetri, per un’altezza di 30 centimetri. Al momento, però, manca un regolamento europeo per disciplinare precisamente le dimensioni e la densità, diverse nei singoli Stati, anche se esistono “Raccomandazioni relative al benessere del coniglio domestico”, che in futuro potrebbero rappresentare la base per la legislazione comunitaria.

    allevamento intensivo gabbie

    Dani Vincek/shutterstock.com

    L’allevamento intensivo del coniglio comporta alcuni aspetti di indiscutibile disagio e malessere per l’animale, che dipendono soprattutto dal sofraffollamento in spazi ristretti, con condizioni di vita assai lontane da quelle naturali. Ciò finisce per richiedere un maggiore utilizzo di farmaci – per ridurre il rischio di infezioni e del propagarsi di patologie come la mixomatosi, che colpisce occhi, orecchie e narici – con il rischio di favorire la resistenza agli antibiotici.

    Inoltre, bisogna tenere presente che questo roditore è un animale notturno, che in natura si attiva nelle ore serali, mentre di giorno si nasconde in cunicoli scavati nel terreno. Pertanto, è chiaro che le gabbie illuminate dalle luci artificiali stravolgono queste abitudini, negando anche la possibilità di trovare ricovero in zone buie da non condividere con altri esemplari.

    Allo stato selvaggio, i conigli vivono in colonie formate da 1-4 maschi e 1-9 femmine, con spazi propri e piena libertà di movimento. Il pavimento in rete metallica delle gabbie può causare fastidi alle zampe, mentre le superfici spoglie non consentono agli animali di esprimere i comportamenti tipici della specie, come l’abitudine di sgranocchiare e pascolare continuamente a terra. In Europa sono state realizzate varie inchieste sui maltrattamenti negli allevamenti intensivi di questi animali, e in rete è possibile trovare video che mostrano situazioni terribili.

    Le fasi dell’allevamento

    allevamento dei conigli

    Gorb Andrii/shutterstock.com

    In sintesi, ecco quali sono i passaggi principali della coniglicoltura in modalità intensiva.

    1. Le femmine di quattro mesi sono ingravidate con lo sperma di un maschio scelto, tramite inseminazione artificiale, utilizzando sonde di plastica. Allo stato selvatico le gravidanze avvengono tra febbraio e agosto, con un picco nel cuore della primavera. Negli allevamenti intensivi si va ben oltre questo ciclo naturale, e ogni femmina fattrice porta a termine 6-9 gravidanze all’anno, per una durata di un mese ciascuna, con cucciolate di 6-14 coniglietti. Negli allevamenti estensivi o amatoriali i ritmi sono meno frenetici e gli accoppiamenti di solito non avvengono prima dei 30-40 giorni dopo il parto.
    2. Dopo la nascita dei piccoli, lo svezzamento può essere effettuato tra la terza e la sesta settimana di vita, tipicamente intorno ai 30 giorni. La madre viene allontanata dalla cucciolata, che resta nella stessa gabbia fino a circa 60 giorni, per poi essere ricollocata nelle gabbie.
    3. L’ingrasso dura un mese, mentre il finissaggio – l’incremento del tessuto adiposo – termina quando gli esemplari raggiungono i 2,5 kg di peso, taglia di maturità commerciale. Il cibo è fornito tramite tramogge, che dispensano mangime a cubetti, mentre abbeveratoi automatici consentono ai conigli di dissetarsi. In questa fase, non di rado vengono stipati fino a 12-15 conigli per metro quadro, limiti assai ristretti che ostacolano notevolmente il movimento.
    4. A circa tre mesi di vita, gli esemplari possono essere destinati alla macellazione. Dopo lo stordimento elettrico, chiamato elettronarcosi, la soppressione generalmente avviene con il taglio della gola.

    Coniglicoltura bio e all’aperto

    Grazie all’aumentata sensibilità riguardo al benessere degli animali allevati, seppur lentamente, si stanno diffondendo forme di zootecnia più vicine alle esigenze naturali.

    In questo senso, nel Nord Europa sono state sviluppate soluzioni migliorative, come il sistema Park, ideato in Belgio, che prevede colonie in recinti coperti, con spazi molto più ampi. L’ambiente interno offre agli animali piattaforme, oggetti masticabili e tubi per nascondersi, permettendo ai conigli di muoversi, sollevarsi sulle zampe posteriori e interagire con i simili.

    conigli da allevamento

    Sergey Lavrentev/shutterstock.com

    Attualmente, la coniglicoltura biologica rappresenta una minoranza, ancora poco rilevante sul piano commerciale, ma comunque presente e in crescita. Gli allevamenti estensivi (all’aperto), che forniscono agli animali la possibilità di ricovero in una struttura esterna e in un’area coperta, sono piuttosto rari. I sistemi a recinti mobili, invece, vengono spostati quotidianamente per offrire l’accesso all’erba fresca, favorendo la prevenzione di malattie e evitando il deterioramento eccessivo del suolo. Queste metodologie, le più naturali, possono esporre i conigli ai contagi provenienti dall’esterno e ai predatori, pertanto sono necessari accorgimenti e controlli per evitare tali rischi.

    Produzione e consumo

    A livello mondiale, il coniglio si alleva soprattutto in Cina, Italia, Venezuela, Corea del Nord, Spagna, Egitto, Francia ed Europa orientale, con buona parte dei volumi complessivi concentrata nel nostro continente. In Italia – Paese in cima alla classifica del consumo pro capite – la coniglicoltura è diffusa soprattutto in Veneto, Emilia-Romagna, Piemonte, Lombardia, Lazio e Marche, con i campani che risultano i più avvezzi a mangiarlo. Questo animale è apprezzato anche in Spagna e soprattutto a Malta, dove il fenek (coniglio) è il piatto nazionale.

    Nei Paesi anglosassoni, invece, l’idea di mangiarlo in genere è aborrita, in quanto considerato prevalentemente come animale da compagnia. Su questo aspetto, nel 2015 ha cercato di fare leva la deputata Michela Vittoria Brambilla di Forza Italia, con la proposta di proibire il consumo alimentare del coniglio, che dopo il cane e il gatto si trova al terzo posto nelle preferenze degli italiani in tema di pet. Per altre persone, invece, l’idea di mangiarlo è repellente in quanto si tratta di un roditore, riconducibile al ratto e alla nutria.

    Ad ogni modo, la vendita a scopo alimentare riguarda l’animale intero o a metà, oppure le porzioni particolari e più piccole, come le cosce o il dorso, detto sella, con la scelta che sarà dettata dal tipo di preparazione. Per la cottura arrosto sono più adatti i conigli giovani, dal peso di circa 1,5 chilogrammi, mentre per l’umido è meglio orientarsi sugli esemplari più grandi, con carni dal gusto deciso. Le porzioni piccole, invece, sono versatili e si prestano per diverse ricette.

    mangiare il coniglio

    Iaroshenko Maryna/shutterstock.com

    Le razze da carne più diffuse

    Le razze di coniglio sono classificate in leggere, medie e pesanti, con le ultime due tipologie più specifiche per il consumo alimentare. Fre le medie rientrano la California, la Vienna, il Leprino di Viterbo, l’Argentata Champagne e la Borgogna, che raggiungono un peso di 4-5 chilogrammi, mentre la Gigante, che può superare i 7 chilogrammi, fa parte di quelle pesanti. Oggi negli allevamenti è molto diffusa la Gigante bianca, oltre ad altri ibridi derivati da incroci. Analogamente a quanto accade per la selezione delle piante da frutto, che abbiamo approfondito nel nostro approfondimento sui frutti dimenticati, in generale i requisiti ricercati sono:

    1. Resa finale in carne, chiamata anche indice di conversione alimentare;
    2. Rapidità di accrescimento;
    3. Prolificità;
    4. Resistenza alle malattie.

    Caratteristiche nutrizionali

    caratteristiche carne coniglio

    Juan de Santiago/shutterstock.com

    La carne bianca di coniglio, magra e poco calorica, ha una buona percentuale proteica e quantità di colesterolo assai limitate, con un rapporto fra grassi insaturi e saturi abbastanza favorevole. Il contenuto di minerali è discreto e si rilevano discrete concentrazioni di vitamina B3. Tra quelli che sono considerati pregi, inoltre, rientra l’ipoallergenicità, ovvero la scarsissima incidenza di allergie dovute a questa carne, aspetto che ne fa un ingrediente abbastanza diffuso nella preparazione di omogeneizzati per neonati.

    Ecco cosa contengono, mediamente, 100 grammi di carne cruda di coniglio.

    • Calorie 118 kcal
    • Proteine 20 g
    • Grassi 4,3 g
    • Colesterolo 52 mg
    • Minerali: sodio 67 mg; potassio 360 mg; ferro 1 mg; calcio 22 mg; fosforo 220 mg; magnesio 22 mg; zinco 3,9 mg; rame 0,06 mg; selenio 17 µg
    • Vitamine: B1 0,03 mg; B2 0,3 mg; B3 6,3 mg.

    E voi mangiate il coniglio o preferite evitarlo?

    Fonti:

    Coldiretti
    Atlante delle razze di conigli
    Parlamento europeo
    Compassion in World Farming – CIWF
    Essere animali
    Animal Equality Italia
    Food Composition Database – USDA

     

    Matteo è nato a Bologna e vive a San Giorgio di Piano (Bo), è giornalista, sommelier e assaggiatore di olio d'oliva, ha collaborato con il Dipartimento di Scienze e Tecnologie agro-alimentari dell'Università di Bologna. Per Il Giornale del Cibo si occupa di attualità, salute, cultura e politica alimentare. Apprezza i cibi e le bevande dai gusti autentici, decisi e di carattere. A tavola ama la tradizione ma gli piace anche sperimentare: per lui in cucina non può mancare la creatività, "perché è impossibile farne a meno!"

    Lascia un commento