Caciofiore della campagna romana: il formaggio dall’anima vegetale

Roberto Caravaggi
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    Lungi dall’essere “solo” un formaggio, il caciofiore racconta di un prodotto unico per storia e caratteristiche. Innanzitutto, nel ricco panorama delle eccellenze casearie italiane, è uno dei rari esempi di formaggi a caglio vegetale. Significa che per la coagulazione del latte non si usano sostanze di origine animale, come il classico caglio di vitello, bensì il fiore del carciofo selvatico o, in alternativa, il cardo, erbe di cui la campagna romana abbonda da sempre. Ecco perché è tipico di quel territorio, come riportato nel nome stesso. Ma la sua unicità è soprattutto l’essere stato letteralmente riesumato dai libri di storia. Nonostante tutto lasci supporre che qualcosa di simile esistesse già ai tempi dell’Antica Roma, è solo in anni recenti che è stato riportato alla luce, fino a diventare presidio Slow Food. Con così tante interessanti premesse, non resta ora che andare a scoprire tutto sul caciofiore della campagna romana.

    Credits @Associazione Formaggi Storici della Campagna Romana

    Dall’Antica Roma all’oblio, fino alla riscoperta: il caciofiore della campagna romana presidio Slow Food  

    Il caciofiore della campagna romana è noto anche come caciofiore di Columella. E qui c’è già un fondamentale riferimento storico… e non solo. Lucio Giunio Moderato Columella è infatti uno scrittore dell’Antica Roma, che nella sua opera De re rustica testimonia quanto l’arte casearia fosse pratica consolidata e diffusa sin d’allora. Proprio dallo studio dei suoi scritti si è risaliti alla realizzazione di formaggi con coagulanti del latte di origine vegetale, che nel 2002 ha dato impulso a un progetto promosso dalla Camera del Commercio di Roma, culminato due anni più tardi nella prima produzione di caciofiore, creando così il paradosso di un formaggio nato di recente dalle ceneri di una storia millenaria.
    Oltre a essere incluso nel registro PAT (Prodotti Agroalimentari Tradizionali) del MIPAAF, oggi il caciofiore della campagna romana è anche un presidio Slow Food. Quest’ultima, insieme all’Associazione Formaggi Storici della Campagna Romana, ne tutela il marchio, garantendo il rispetto del disciplinare di produzione, al quale aderiscono attualmente sei realtà, tutte distribuite tra Roma e dintorni. Sono loro i depositari di questo autentico tesoro della gastronomia italiana.

    L’essenza della campagna romana racchiusi in un formaggio

    Una mattonella di formaggio di grande intensità aromatica: è questo, in sintesi, il biglietto da visita del caciofiore della campagna romana. La forma infatti è quella di un parallelepipedo di circa dieci centimetri per lato e 4-5 centimetri d’altezza, con le facce irregolarmente squadrate e la crosta grinzosa, giallognola e completamente edibile. All’interno la pasta è compatta e morbida, con un’occhiatura rada appena accennata e una lieve tendenza cremosa, a seconda del grado di stagionatura. Quest’ultimo influisce anche sulle caratteristiche organolettiche: più maturano, più le forme acquisiscono sfumature aromatiche. Non è particolarmente sapido, né piccante, ma ha un gusto pieno e avvolgente, che parla soprattutto di erbe di campo, quelle di cui si nutrono gli ovini da cui deriva il latte. A completare il profilo sensoriale, la nota vagamente amarognola del cardo selvatico usato come coagulante.    

    Tutta l’arte del fare un formaggio che ha pochi eguali

    Come abbiamo detto, il caciofiore della campagna romana è un formaggio a base di latte di pecora, motivo per cui viene considerato l’antenato del ben più noto pecorino romano. A differenza di quest’ultimo però, che può essere ottenuto anche da latte termizzato, il caciofiore è solo a latte crudo, cosa che ne rende più difficile la lavorazione. Il latte non trattato termicamente è infatti più delicato, ma al tempo stesso mantiene meglio tutta la sua impronta aromatica. Così l’alimentazione degli ovini al pascolo libero, che si nutrono delle erbe spontanee della campagna romana, diventa un valore aggiunto.

    L’altro elemento caratterizzante è l’utilizzo del carciofo selvatico o del cardo come coagulante. Niente caglio animale dunque, come avviene per quasi tutte le produzioni casearie. Sono in particolare i pistilli viola di questa pianta spontanea ad essere colti nel loro periodo di massima fioritura, che avviene tra giugno e luglio, e fatti essiccare all’ombra. Se ne ottiene poi un infuso che, opportunamente filtrato, viene aggiunto al latte mantenuto alla temperatura costante di 38°C. Grazie all’azione proteolitica degli enzimi di questa pianta, si ottiene la cagliata, che viene prima messa a spurgare nelle tipiche fuscelle che ne determineranno la forma, poi salata a secco.

    A questo punto inizia la stagionatura, in locali che garantiscano il giusto grado di temperatura e umidità, dove le forme vengono adagiate su assi di legno e rivoltate quotidianamente per evitare un eccessivo sviluppo di muffe in superficie. Dopo 35-40 giorni il formaggio è pronto per il consumo. Solo a seguito del superamento delle analisi di routine la Camera del Commercio di Roma appone il suo sigillo di garanzia, che certifica l’autenticità del prodotto. La maturazione può proseguire fino a 90 giorni dalla data di produzione: è questo l’arco temporale durante il quale gli enzimi del caglio vegetale sono vivi e comportano una continua evoluzione di aspetto, consistenza aroma e gusto. Dopodiché inizia il decadimento delle caratteristiche organolettiche. Il caciofiore della campagna romana è prodotto da ottobre a giugno ed è commercializzato in forme da circa 400 grammi. Non si trova nella grande distribuzione, ma alcuni dei produttori aderenti al disciplinare dispongono di un sito con sezione dedicata alla vendita a distanza e spedizione in tutta Italia. 

    Caciofiore: il cuore di un’arte casearia che pulsa nella campagna romana 

    Il nome parla chiaro: il caciofiore della campagna romana è un prodotto tipico dell’area agricola che si sviluppa a ridosso della capitale. È questo il territorio in cui trovano il loro habitat sia la Cynara cardunculus, sia la Cynara scolymus, nomi scientifici rispettivamente del cardo e del carciofo selvatico. Proprio l’abbondanza di queste specie vegetali ha ispirato l’antica produzione casearia, cui Columella faceva riferimento nei suoi scritti e che ha dato il là al progetto di recupero e di valorizzazione promosso dalla Camera del Commercio di Roma. Oggi le aziende impegnate nella produzione del caciofiore della campagna romana sono cinque e sono distribuite tra Trevignano Romano, Capena, Guidonia Montecelio e Bracciano, ovvero nella zona compresa tra Roma e la parte nord-est del suo territorio provinciale, fino al lago di Bracciano. Qui abbondano gli spazi a vocazione agricola, dove sono allevati gli ovini, in particolare delle razze Sarda e Comisana, alimentati senza ricorso a insilati e talvolta lasciati al pascolo libero. 

    Credits @Associazione Formaggi Storici della Campagna Romana

    Come assaporare al meglio il caciofiore della campagna romana

    Con un profilo aromatico come quello che abbiamo descritto, va da sé che il caciofiore della campagna romana sa regalare vere emozioni di gusto. Il modo migliore per apprezzarne tutte le sfumature sensoriali è assaporarlo in purezza, meglio se lasciato a temperatura ambiente un paio d’ore prima di consumarlo. In questo modo la pasta interna si ammorbidisce e diventa deliziosamente fondente al palato

    Per un ideale matrimonio di sapori laziali, un valido suggerimento è accompagnarlo con delle fette di pane di Lariano, specialità fornaia a doppia lievitazione, con farina semi-integrale e lievito naturale, che viene cotto in forni tipicamente alimentati a legna di castagno. Alla croccantezza della crosta esterna fa da contraltare una parte interna morbida e spugnosa, che cede facilmente al palato regalando quei bei sentori di cereale tostato. 

    Ma il caciofiore può essere elemento caratterizzante di primi piatti: in un risotto, ad esempio, insieme ai porri, che con la loro delicata dolcezza erbacea ne esaltano l’intensità, oppure alternato a strati di radicchio e sfoglie di pasta tirata sottile per una raffinata lasagna vegetariana. Tagliato a listarelle e unito a un’acciuga può diventare il ripieno di fiori di zucca che, pastellati e fritti o anche semplicemente cotti in forno, regalano un’autentica esplosione di gusto. Allo stesso modo può essere la farcia di un insolito involtino di pesce di lago, come il coregone, per un felice contrasto di sapori. Non è raro, infine, trovarlo come elemento base di focacce o pizze gourmet, magari in abbinamento ad altri ingredienti di pregio, quali ad esempio la Susianella di Viterbo o l’Oliva Salella Ammaccata del Cilento (entrambi presidi Slow Food).

    Dopo tutto questo parlare di caciofiore della campagna romana, vi è venuta voglia di provarlo?


    Immagine in evidenza di: Associazione Formaggi Storici della Campagna Romana

     

    La prima passione di Roberto è la scrittura, la seconda è la buona cucina. Dopo anni da collaboratore di testate giornalistiche locali, nella redazione de Il Giornale del Cibo ha trovato il suo habitat ideale. Itinerari enogastronomici ed eccellenze alimentari, con qualche incursione nel mondo della birra artigianale, sono le aree tematiche con cui cerca di trasmettere "emozioni di gusto". Come quella di assaporare una piadina romagnola generosamente farcita di squacquerone e rucola, o una focaccia di Recco fatta a regola d’arte.

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