Frutta e verdura confezionata, in Italia i consumi crescono dell’11%
Sono passati quasi sei mesi dall’introduzione in tutti i supermercati dell’obbligo di acquistare frutta e verdura in sacchetti biodegradabili a pagamento. Questo vincolo, introdotto in Italia per recepire una normativa europea che mira, nel suo complesso, alla riduzione del consumo di microplastiche in ambito alimentare, ha scatenato non poche polemiche, ma che impatto ha avuto nelle abitudini dei consumatori? I primi dati non sembrano lasciare spazio a dubbi: è boom per la frutta e verdura confezionata.
Boom per la frutta e verdura confezionata in Italia
Sono stati resi pubblici nel mese di maggio, infatti, i risultati dell’analisi realizzata da Ismea, l’Istituto di servizi per il mercato agricolo alimentare con il supporto di Nielsen: sono state coinvolte 9.000 famiglie italiane, raccogliendo le loro dichiarazioni a proposito del consumo e dell’acquisto di frutta e verdura.
Per quanto riguarda il primo trimestre 2018, sono due i dati che emergono chiaramente: da un lato è cresciuto dell’1% l’acquisto di prodotti ortofrutticoli freschi, agevolato da un generale ribasso dei prezzi. Nel complesso, sempre secondo i dati dell’Ismea, il prezzo medio di una spesa è calato del 2,5% rispetto al primo trimestre del 2017. Un calo che ha coinvolto in maniera trasversale i vari elementi della spesa. Interessante è poi notare come siano cresciuti gli acquisti soprattutto di ortaggi, patate e agrumi, questi ultimi spinti anche dalla rinnovata attenzione dei consumatori per la stagionalità e freschezza dei cibi messi nel carrello, come evidenziato dalla ricerca Coop-Nomisma sulla spesa degli italiani.
Mentre cresce la quantità di frutta e verdura che viene acquistata, cambia in maniera significativa la tipologia di prodotti ortofrutticoli scelti. In particolare, nei primi tre mesi del 2018, i prodotti “confezionati” vengono sensibilmente preferiti a quelli “sfusi”. I dati della ricerca parlano chiaro: gli acquisti nei sacchetti biodegradabili sono calati del 3,5% rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente, mentre quelli dei confezionati sono aumentati ben dell’11%.
Conseguenza dell’obbligo di pagamento?
Il fatto che, oggi, la spesa di ortofrutticoli confezionati rappresenti il 32% del totale conferma un trend di crescita di questi prodotti che i ricercatori avevano rilevato già in precedenza. Tuttavia, ciò che colpisce nel rapporto Ismea è l’intensità e l’accelerazione di questo processo: è proprio questo elemento che può far pensare che esista un nesso reale tra l’introduzione dei sacchetti biodegradabili a pagamento e l’abbandono dei prodotti sfusi.
“Si tratta di numeri che rendono ipotizzabile come la reazione istintiva avversa dei consumatori – anche a seguito del forte seguito mediatico attribuito all’evento – abbia fornito un’accelerazione a un processo di sostituzione di per sé già in atto” che, tuttavia, proprio alla luce del dibattito pubblico a proposito dell’introduzione della legge 123/2017, assume toni paradossali.
Verdura confezionata: costa di più e ha un impatto ambientale peggiore
Lo scopo della direttiva europea 215/720, che rappresenta il quadro all’interno del quale è stata introdotta in Italia la norma sui sacchetti biodegradabili, è ridurre o prevenire l’impatto degli imballaggi e dei loro rifiuti sull’ambiente. Consapevole, per esempio, della quantità di plastica negli alimenti e degli studi effettuati sui rifiuti plastici in mare, l’Unione Europea ha avviato diverse azioni di prevenzione e sensibilizzazione, chiamando i paesi membri a un’assunzione di responsabilità rispetto al futuro del pianeta.
Come evidenziato già dai primi giorni di entrata in vigore nella nuova norma, in Italia è mancata un’efficace campagna di comunicazione che spiegasse il perché del prezzo dei sacchetti, che si è stabilizzato attorno ai 2 centesimi. Sebbene questo cambiamento non sia risolutivo di per sé e da alcuni venga criticato poiché non consente l’utilizzo di reti riutilizzabili e riciclabili al posto di sacchetti monouso, la differenza dell’impatto ambientale ed economico dell’acquisto di ortaggi “sfusi” e “confezionati” è significativo.
In primo luogo, infatti, gli imballaggi impiegati per confezionare frutta e verdura industrialmente sono molto spesso di materiali plastici, gli stessi che si trasformano in rifiuti in mare, capaci di contaminare i pesci che poi andiamo a mangiare.
Inoltre, zucchine, pomodori e melanzane già imbustate costano, mediamente, il 43% in più al chilogrammo delle stesse verdure sfuse. Nel caso dei pomodori, per fare un esempio, la differenza raggiunge picchi del 73%. Paradossale, dunque, che per evitare il pagamento di un sacchetto ecologico al prezzo di 2 centesimi, si preferisca un prodotto che costa il doppio. Senza considerare il fatto che, non potendo selezionare la quantità di frutta o verdura che si desidera acquistare, ci si espone maggiormente al rischio di sprecarne una parte.
Il risultato sembrerebbe proprio che, per evitare una nuova regola percepita come “antipatica”, si stiano realizzando gli scenari che quella stessa norma voleva scongiurare sia a livello economico che ambientale. Anche voi avete notato un successo dei prodotti ortofrutticoli confezionati?
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