Sono i “nodi d’amore” di Valeggio. Di Martino. Sono arrivato a Valeggio sul Mincio, una piccola città in provincia di Verona, attratto dalla fama dei suoi tortellini. Avete letto bene, ho scritto proprio tortellini. Oltre ai bolognesi (o modenesi, ma questa è un’altra storia) ci sono anche i tortellini di Valeggio, rinomati al punto da essere la specialità di ben 30 ristoranti, in un paese che conta solo 11.000 abitanti, tutti nati grazie alla loro fama. Pare che l’organizzazione e la professionalità dei ristoratori valeggiani sia da Guiness dei primati, per rendersene conto basta partecipare alla “Festa del tortellino” nella seconda metà di giugno, quando sul ponte visconteo sopra il Mincio viene allestita una tavolata per 4500 persone tutte servite contemporaneamente con tonnellate di tortellini. Potete immaginare lo stupore della mia metà bolognese allevata a tagliatelle e tortellini e portatrice di quel briciolo di sciovinismo gastronomico comune a tutti quelli che sono nati o cresciuti sotto le due torri: non ho preso subito per buona la notizia dell’esistenza di un replicante del nostro tortellino, così ho condotto una mini-inchiesta tra ristoratori, pastai, appassionati di cucina e gente del posto. Mi hanno subito informato che anche il tortellino valeggiano, come il bolognese, vanta una leggenda sulle sue origini. Anziché l’ombelico di Venere, qui entra in gioco un amore impossibile tra Malco, un capitano dei Visconti, e Silvia, una ninfa del Mincio. L’amore si concluse con un fatale tuffo di Malco nelle acque del fiume e in sua memoria sarebbe rimasto sulla riva un fazzoletto di seta e oro annodato, dono di Silvia. Per ricordare quella vicenda così triste e romantica, le ragazze del luogo avrebbero cominciato a trascorrere le domeniche mattina ritagliando quadrati di sfoglia sottile come la seta per poi annodarli con il “nodo d’amore”. Il particolare della seta vi lascia intendere come la sfoglia dei tortellini valeggiani sia sottilissima, molto più di quella dei bolognesi ed è diverso anche il nodo, più tenue e propenso a sciogliersi durante la cottura, come tanti nodi d’amore. Diverso è anche il ripieno, fatto con carni arrostite, tritate e impastate con uova e grana padano, e il modo di servirli: al burro e salvia, anziché in brodo. Alla fine della ricerca, che ha compreso assaggi e incursioni in cucine private e di ristoranti, sono arrivato alla conclusione che si tratta di una preparazione relativamente recente, nata più o meno da un secolo, in seguito allo scambio di ricette tra le mondine venete, lombarde e emiliane che si trovavano a lavorare nelle medesime risaie. Mi sono convinto che le mantovane hanno passato alle veronesi la ricetta dei loro agnolini, quelli del “sorbir d’agnoli”, mentre le bolognesi e le modenesi hanno finito col suggerire il nome di “tortellino” fino a imporlo. Le prove che potrei portare davanti a un ipotetico tribunale sono tante e credo inconfutabili: intanto la ricetta dei tortellini di Valeggio è molto più simile a quella degli agnolini, poi bisogna considerare che Mantova e Valeggio distano solo 30 chilometri e sono entrambe sul Mincio, quindi nella stessa area di “cultura fluviale”. Quanto alla leggenda, non si perde nella notte dei tempi, ma è stata coniata pochi anni fa dall’orafo-gastronomo Alberto Zucchetta. La madre di tutte le prove, comunque, la forniscono alcuni anziani di Valeggio che continuano a chiamarli “agnolign” con lo “gn” finale. In conclusione, ci troviamo di fronte a un’operazione di marketing perfettamente riuscita che ha utilizzato il nome tortellino forse in maniera troppo disinvolta in un’epoca in cui si tiene conto delle denominazioni di origine. Detto questo, è anche vero che in materia gastronomica non esiste marketing che possa funzionare a lungo in assenza di qualità e i tortellini di Valeggio sono un prodotto eccellente per la sottigliezza della sfoglia, per il sapore equilibrato del ripieno e per quel nodo tanto tenue. Buoni al punto da risultare penalizzati da un nome in prestito. Ne meriterebbero uno tutto loro, come “agnolini” o “nodi d’amore”. Per la degustazione consiglio il ristorante il Bue d’Oro, al quale i tortellini devono molto della loro fama. “È stato il Bue d’oro a fare conoscere i tortellini” mi ha detto la titolare Cinzia Zara “seguito prima dagli altri due ristoranti storici del paese il Lepre e L’Antica Locanda e poi, poco alla volta, da tutti gli altri. Dopo sono arrivati i pastifici artigianali, la sagra e tutto il resto. Ma i tortellini devono gran parte del loro successo a mia nonna Caterina Zara, che nel 1927 trasformò in ristorante la stazione di posta del sevizio a cavalli tra Venezia e Milano”. Oltre ai tortellini ripieni di carne, vi consiglio di provare i tortelli ripieni di straccone, un formaggio morbido tipico della zona simile allo stracchino. Per i secondi potete orientarvi sui pesci del lago di Garda, la trota e il lavarello, o su quelli di fiume: l’anguilla, il luccio e il cavedano. Ottimo anche il coniglio disossato e alla brace. Al momento del dessert ricordatevi di chiedere la fantastica crostata di pere e cioccolata. Un altro ramo della famiglia Zara ha aperto in una bellissima villa padronale del ’700, con tanto di chiesetta privata, il ristorante Bacco D’Oro. Ottime le carni, gli oli sono scelti con ammirevole cura e la cantina è fornitissima.
Anche il Veneto ha i suoi tortellini
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Adriana Angelieri
Adriana è Responsabile di Redazione e Social Media Manager per Il Giornale del Cibo dal 2016. Siciliana di origine, si è trasferita a Bologna per i tortellini e per la sua carriera. Unendo la sua grande passione per l'alimentazione alle competenze nei progetti editoriali, si dedica alla guida del team redazionale e alla creazione di contenuti che garantiscano ai lettori un'informazione chiara, utile e accurata. Oltre che per i tortellini, il suo cuore batte per i risotti, di ogni tipo, purché fatti bene! Il profumo del basilico e l'olio buono sono gli ingredienti che non possono mai mancare nella sua cucina.
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