Premio Nobel per la Pace 2020 al World Food Programme: cos’è e cosa fa?
Per “il suo impegno a migliorare le condizioni per la pace nelle aree di guerra e per la sua attività nell’opporsi all’uso della fame come arma di conflitti” il Premio Nobel per la pace di quest’anno è stato assegnato al World Food Programme (WFP), agenzia delle Nazioni Unite che si occupa della lotta contro la fame nel mondo. Un avvenimento importante, che va a riconoscere i grandi sforzi compiuti, in un anno particolarmente complesso, per la tutela di milioni di persone nel mondo che si trovano ogni giorno in condizioni di difficoltà nell’accesso al cibo e all’acqua. Scopriamo di che cosa si occupa questa organizzazione e le ragioni che le sono valse l’importante premio.
Cosa fa il World Food Programme? L’impegno per contrastare la fame nel mondo
Istituito nel 1961 per volontà del presidente degli Stati Uniti Dwight D. Eisenhower, il World Food Programme è un organizzazione delle Nazioni Unite che ha l’obiettivo di “salvare e cambiare le vite, fornendo assistenza alimentare nelle emergenze e lavorando con le comunità per migliorarne la nutrizione e costruirne la resilienza”.
Nel 2019, il WFP – che ha sede a Roma – ha assistito 97 milioni di persone in 88 paesi del mondo e ogni anno distribuisce 15 miliardi di razioni alimentari, soprattutto in aree colpite da emergenze e conflitti. Il primo intervento del programma è stato nel 1962 in Iran, in seguito a un grave terremoto. Ma si è attivato anche in numerose crisi della seconda metà del Novecento, dalle guerre in Jugoslavia allo tsunami che ha colpito il Sud est asiatico nel 2004, fino al più recente e drammatico terremoto di Haiti o alla pandemia da Coronavirus.
Soltanto nella prima metà del 2020, ha inviato e distribuito carichi di aiuti in 120 paesi dove la combinazione tra gli effetti della pandemia, i cambiamenti climatici e le condizioni di crisi e conflitto hanno messo gravemente a repentaglio la vita e la salute di parte della popolazione.
Sebbene il World Food Programme si occupi di assistenza alimentare per tutti, da anni ormai riserva un’attenzione specifica a categorie particolarmente vulnerabili come i bambini. Parte delle attività sono finalizzate a combattere il rischio di malnutrizione intervenendo sui primi “1.000 giorni di vita”: periodo che va dal concepimento ai primi due anni del bambino, ritenuto di cruciale importanza per uno sviluppo in salute.
Da oltre 50 anni, l’organizzazione si dedica anche ai bambini e alle bambine in età scolare. Sempre nel 2019, ha fornito pasti a scuola per 17,3 milioni di alunni e alunne in 50 paesi, soprattutto laddove le scuole sono in aree remote e difficilmente accessibili.
Chi sostiene il World Food Programme?
Sin dalla sua fondazione, il World Food Programme è sostenuto attraverso donazioni volontarie, effettuate primariamente dai governi nazionali, ma anche da aziende e donatori privati che scelgono di finanziare le sue iniziative. Nel 2019, sono stati raccolti 8 miliardi di dollari impiegati per realizzare le centinaia di progetti promossi in partnership con centinaia di organizzazioni non governative locali o internazionali. Il WFP lavora a stretto contatto con le altre due organizzazioni delle Nazioni Unite che hanno sede a Roma con mandato affine: la FAO e il Fondo Internazionale per lo Sviluppo Agricolo (IFAD). Lo staff è, complessivamente, composto da circa 17.000 persone di cui il 90% opera direttamente nei territori dove il programma agisce.
La nuova emergenza è la crisi climatica
Negli anni, l’attività del WFP si è evoluta: se inizialmente era stato istituito per rispondere a situazioni emergenziali, progressivamente ha iniziato ad occuparsi con sempre maggiore attenzione a temi, come il cambiamento climatico, che possono generare vere e proprie emergenze, se non verranno presi dei provvedimenti tempestivi. Inoltre, uno dei punti focali dell’Agenda 2030 per lo Sviluppo Sostenibile è proprio la lotta contro la fame. La comunità internazionale si è presa questo impegno, tuttavia una persona su nove ancora non ha cibo a sufficienza e questa condizione rischia di peggiorare a causa della pandemia.
A partire dal secondo Obiettivo dell’Agenda 2030, Fame Zero, il WFP ha sviluppato un piano d’azione che prevede cinque passi che, in maniera sinergica, risultano cruciali per ridurre il numero di persone al mondo che ancora oggi muoiono di fame o soffrono di forme di malnutrizione. In primo luogo, si pone l’attenzione sul mettere gli “ultimi” al primo posto, stimolando i governi nazionali ad estendere gli schemi di protezione anche e soprattutto alle persone più vulnerabili e con una modalità di sviluppo che sia concretamente inclusiva. La lotta contro la fame, nel piano del WFP, passa inoltre attraverso un miglioramento strutturale per facilitare l’approvvigionamento e una riduzione degli sprechi alimentari. Quarto ambito d’azione riguarda i bambini. “Per prevenire i deficit di sviluppo e promuovere uno sviluppo sano” si legge sul sito in italiano del programma “bisogna fare in modo che i bambini e le madri abbiano accesso ai necessari cibi nutrienti.”
Infine, una delle sfide più complesse, ma fondamentali per contrastare la fame nel mondo, riguarda la biodiversità e la sostenibilità delle colture, tematiche correlate alla crisi climatica. Le grandi monocolture, che occupano e impoveriscono i terreni, e l’assenza di varietà, diventano limiti alla disponibilità e all’accesso al cibo, per questo il World Food Programme si è mobilitato per aiutare gli agricoltori a considerare e identificare una maggiore diversificazione di colture, ma anche per sensibilizzare loro e le comunità sull’importanza di una dieta sana e bilanciata per sé, per gli altri e per il territorio.
Il World Food Programme vince il Nobel per la Pace
La scelta di assegnare al World Food Programme un riconoscimento importante come il Premio Nobel per la Pace di quest’anno ha un forte valore simbolico. Il Comitato norvegese che assegna il premio ha affermato che Covid-19 ha ulteriormente rafforzato l’importanza dell’agenzia: “La pandemia di Coronavirus ha contribuito a un forte aumento del numero di vittime della fame nel mondo e di fronte a essa, ha dimostrato una capacità impressionante di intensificare i suoi sforzi”.
Inoltre, si legge ancora tra le motivazioni del premio, “in paesi come Yemen, Repubblica Democratica del Congo, Nigeria, Sud Sudan e Burkina Faso, la combinazione tra un conflitto violento e la pandemia ha condotto a una drammatica crescita del numero delle persone che vivono sulla soglia della fame. Come l’organizzazione stessa ha dichiarato: ‘Fino al giorno in cui avremo un vaccino, il cibo è il miglior vaccino contro il caos”.
Il Premio Nobel – che porta nelle casse del WFP 10 milioni di corone svedesi pari a circa 1 milione di euro – lega, quindi, in maniera indissolubile la lotta contro la fame nel mondo con il mantenimento della pace. Permetterà, dunque, all’organizzazione di confermare e sviluppare molte delle iniziative in corso per contribuire concretamente all’auspicabile raggiungimento dell’obiettivo Zero Fame. “Questo premio” ha commentato il presidente del Comitato Italiano del WFP Vincenzo Sanasi d’Arpe, “è un appello orale alle istituzioni e comunità al raggiungimento dell’obiettivo FameZero, perché l’eliminazione della fame significa il raggiungimento della pace nel mondo.”
In un contesto interconnesso per cui la tutela dei diritti individuali e collettivi dev’essere globale, promuovere un approccio sostenibile alla filiera alimentare, garantire l’accesso al cibo, investire su una nutrizione adeguata per tutti sin da bambini è un fattore chiave per agire anche sui conflitti. E, d’altro canto, si evidenzia come guerre ed emergenze vadano a generare una forma di insicurezza che è anche alimentare, peggiorando le condizioni di vita di milioni di persone al mondo ogni giorno.