Soul Food: 5 piatti simbolo della comunità afro-americana negli Stati Uniti

Giulia Ubaldi
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    Avete mai sentito parlare del “soul food”? Ci sarebbe moltissimo da dire su questo tipo di cucina in quanto simbolo dell’identità e della storia della comunità afro-americana negli Stati Uniti. Ma ci limiteremo a spiegarvi che cos’è e soprattutto a parlarvi dei quattro piatti che meglio ne rappresentano lo spirito e l’essenza. Il tutto grazie a Ilaria e William, una coppia di cuochi italo-americana: lei, che oggi lavora nel mondo del food marketing, ha imparato a cucinare perché a lui mancava troppo il cibo che sua madre gli cucinava, il soul food appunto. Così ha elaborato una cucina italo-americana fusion con alcuni prodotti italiani, aiutando anche altri americani in Italia a ritrovare i sapori di casa! “Durante il periodo del Covid, mio marito era stanco della troppa pasta, così ho chiesto supporto a sua mamma e sua nonna perché volevo farlo sentire a casa attraverso i piatti di famiglia. Ma loro cucinano da sempre a occhio, quindi ho dovuto costringerle a scrivere dosi e ricette”. Che sono esattamente quelle che vi daremo oggi! 

    Che cos’è il soul food 

    Come forse già saprete, la parola soul è legata in modo generale alla cultura afro-americana, come ad esempio alla musica. Da qui nasce l’espressione soul food, letteralmente “cibo dell’anima”, che è la cucina che meglio racconta l’identità della comunità afro-americana negli Stati Uniti, in particolare quella del Sud. Si tratta di piatti che uniscono alcune ricette originarie dell’Africa con ingredienti americani, dando vita a una cucina che racconta perfettamente la loro storia. Pare che questo termine sia stato coniato negli anni Sessanta da Amiri Baraka, un personaggio importante nella lotta contro le discriminazioni razziali. E nel giro di poco tempo si è diffuso ovunque, soprattutto a livello popolare, indicando un particolare tipo di cibo fortemente identificativo per la comunità, capace di creare un forte senso di appartenenza. 

    Jacqueline F Cooper/shutterstock.com

    Negli anni sono nati vari ristoranti che propongono soul food, ma il soul food resta il cibo che si mangia nelle case afro-americane di tutti gli Stati Uniti, soprattutto nel Sud, o ad Harlem, a New York. Lo canta anche Tupac: “My mom cooks soul food. Got the munchies for some soul food”, ovvero “mia mamma cucina soul food. Ho un languorino per il soul food”. Ma in realtà è la chiesa il luogo per eccellenza di questo tipo di cucina. Di solito, la domenica dopo la funzione e il gospel, un momento molto forte di condivisione, ogni famiglia porta qualcosa da mangiare preparato a casa da condividere con tutti. “Per questo nulla ti riporta a casa come il soul food”. Pensate che a volte scatta anche una competizione tra le diverse chiese a proposito del cibo! Se passate da New York, William consiglia di andare alla Mother AME Zion Church, una delle più autentiche rimaste, dove trovare un ambiente davvero familiare. 

    Ma veniamo ai piatti: in cosa consiste il soul food? Dato che di cibo casalingo parliamo, è difficile trovare dei piatti che siano presenti in modo codificato e uguale in tutte le case! L’unica caratteristica comune è la presenza della componente dolce, anche nelle ricette salate. Lo zucchero, ad esempio, viene utilizzato in quasi tutte le preparazioni. Oggi vi parleremo di quelle più emblematiche, ma prima sarà importante però chiarire una cosa prima: William ci spiega che in America non ci sono orari, si mangia quando si ha fame, non c’è una divisione così rigida come in Italia tra colazione, pranzo e cena. “Infatti, appena sono arrivato a Milano avevo sempre fame perché dovevo aspettare l’ora di pranzo o di cena, e quando chiedevo a Ilaria perché non potevo mangiare, lei mi rispondeva: bisogna aspettare l’ora di pranzo!”

    Peanuts e pane con burro di arachidi e confettura

    VelP/shutterstock.com

    “È la classica merenda di quando eravamo piccoli” racconta William. Due semplici fette di pane, da spalmare con burro di arachidi e confettura d’uva, che qui è più difficile da trovare, quindi Ilaria suggerisce quella di pesche. Il tutto accompagnato dalle noccioline americane, peanuts. “Le arachidi sono un legume, quindi un elemento proteico, e sono un ottimo sostituto della carne” spiega William. “I primi a introdurle in Nord America furono i migranti che provenivano dall’Africa. Per questo rappresentano perfettamente l’anima soul food e il cibo afro-americano!”. 

    Le noccioline americane infatti erano spesso l’unico cibo che veniva dato agli schiavi durante le traversate oceaniche, e per lungo tempo sono state considerate un cibo di scarto per gli animali. Sono state introdotte negli Stati Uniti del Sud nel 1700, ma solo nel 1800 hanno iniziato a “esplodere” da un punto di vista commerciale. In quello stesso periodo, dal 1700 al 1800, l’Africa Occidentale diede sempre più spazio alla coltivazione dell’arachide: solo quando arrivarono i primi schiavi con esperienza di coltivazione dell’arachide, anche in Nord America ci fu il boom della produzione. Fu poi George Washington Carver, scienziato agricolo afro-americano, a intraprendere nel 1860 una forte campagna per sostituire la coltivazione del cotone con quella dell’arachide. Carver scrisse anche 100 ricette sull’utilizzo delle noccioline e del burro di arachide, la cui associazione con pane e confettura è oggi estremamente rappresentativa degli Stati Uniti. Dunque, sono una presenza immancabile per cominciare un vero pasto soul food

    Cornbread, il pane di tutti negli Stati Uniti

    Foto di Francesco Fraliga

    Passiamo ora a una delle ricette più emblematiche che ci sia, nata dall’incontro tra i nativi americani e gli afro-americani: il cornbread, che troviamo citato sia in vari film come Il Miglio Verde che in molte canzoni come Formation di Beyoncé – “I like cornbreads and collard greens”. Ritenuto il “pane” di tutti negli Stati Uniti, in realtà assomiglia quasi più a una torta e ora vi spieghiamo perché. Di base si prepara con farina 00, farina di mais, olio e latticello, una bevanda dal sapore acidulo che si ricava dal sottoprodotto della trasformazione della panna o del latte in burro (di cui vi avevamo parlato a proposito della cucina algerina). Ma come tutti i piatti casalinghi, ogni famiglia americana ha la sua ricetta: esiste una versione del Nord diversa dalla versione del Sud, esiste la questione zucchero sì o zucchero no, la domanda “io non ci metto il lardo e tu?”, e poi esiste una questione profonda di identità. Se sei americano il cornbread ti rappresenta perché il mais (corn) è l’America. Il cornbread proviene dalla tradizione nativa americana, che è alla base della cultura di quella terra”. Ma se sei afro-americano, il cornbread ha un significato ancora più profondo: è il simbolo della resilienza e della possibilità di superare le avversità. Il mais infatti era uno dei pochi alimenti disponibili nelle case africane in America. Resistente al suolo, il popolo africano ne ha studiato dai nativi americani l’utilizzo e ha prodotto preparazioni che presto sono entrate anche nelle case bianche dove i neri prestavano servizio. Per gli afro-americani era il pane che si portavano nei campi e che costituiva il loro pranzo, mentre nelle case bianche era il pane che faceva da accompagnamento al pasto. E una cosa accomunava entrambe: le mani che lo preparavano erano sempre afro-americane. “È perfetto anche il giorno dopo pucciato nel latte, ma è talmente buono che il giorno dopo non ci arriva mai, perché non riesci mai a mangiarne solo un morso o un piccolo pezzo!” 

    La ricetta del cornbread

    Come anticipato ogni famiglia lo prepara in modo diverso, quindi questa che segue è la ricetta della nonna di William, Granny Joe. Ma su una cosa dovete fare sempre molta attenzione, perché non ci sono varie teorie o punti di vista differenti: il vero cornbread si fa prepara in una/nella pentola di ghisa

    Ingredienti 

    • 30 g farina 00
    • 30 g farina di mais
    • 4 g di agente lievitante in polvere
    • 2 g di sale
    • 33 g di zucchero
    • 30 g di uovo (circa metà uovo)
    • 23 g di burro fuso
    • 60 ml di latticello

    Procedimento

    1. Imburrate la teglia di ghisa e mettetela in forno durante la preparazione dell’impasto. 
    2. In un recipiente unite tutti gli ingredienti secchi, quindi farina 00, farina di mais, agente lievitante in polvere, sale e zucchero. 
    3. In un altro recipiente unite gli ingredienti liquidi, quindi uovo, burro e latticello.
    4. Versate la componente secca gradualmente nella parte liquida e mischiate.
    5. Quando il composto risulta omogeneo, versate nella teglia di ghisa e cuocete per circa 20-25 minuti nel forno a 200°C

    Ma come anticipato da Beyoncé, il cornbread si mangia sempre in accompagnamento ai collard greens. 

    Collard greens, i protagonisti del primo pasto di Obama alla Casa Bianca

    Brent Hofacker/shutterstock.com

    Obama mangiò collard greens per la sua prima cena alla Casa Bianca. Già questo potrebbe bastare per farvi intuire l’importanza di questo piatto: “una tavola di festa non è davvero completa senza collard greens, soprattutto in una casa afro-americana” spiega William. 

    I collard greens sono un parente a foglia larga e di colore verde scuro del cavolo, che vengono cucinati con una serie di spezie, aceto, cipolla, pollo, brodo di pollo e zucchero (non dimenticate la costante presenza di una componente dolce). Erano una delle poche verdure che gli afro-americani potevano coltivare nelle loro case durante la schiavitù, con la quale ricreavano le loro originali ricette africane. Per questo i collard greens si sono insinuati nelle case afro-americane e sono diventati l’accompagnamento perfetto per un pasto soul food

    In Italia i collard greens non esistono, sono davvero introvabili e non vengono coltivati. “Ma un pasto soul food non dice necessariamente di avere questa verdura. L’importante è che sia presente una componente di greens, cioè di una verdura verde, qualsiasi essa sia. Così con mio marito abbiamo fatto diversi esperimenti con cavolo cappuccio, verza, e così via, e abbiamo concluso che il cavolo nero è la verdura che assicura la resa migliore per una ricetta soul!” racconta Ilaria. Fondamentale però è che ci sia il Cajun, una miscela piccante di spezie di New Orleans che invece ormai si trova facilmente anche in Italia e che non potete non conoscere se parliamo di soul food

    La ricetta dei collard greens

    Anche di questo ovviamente ci sono un’infinità di ricette, ma noi vi diamo quella classica e più tradizionale che ci sia della nonna di William. 

    Foto di Francesco Fraliga

    Ingredienti 

    • 150 g di cavolo nero
    • 10 g di olio
    • 45 g di cipolla tagliata (circa 1/3 di una cipolla grande)
    • 2 g di aglio fresco tagliato (circa 1 spicchio)
    • 15 g di peperoncino verde sotto aceto (circa 1 peperoncino)
    • 60 g di pollo (parti consigliate: coscia o sovracoscia)
    • 75 ml di brodo di pollo
    • 5 ml di aceto bianco
    • 5 g di zucchero
    • 0,5 g di spezia Cajun
    • 2 g di aglio in polvere
    • 0,5 g di peperoncino

    Procedimento

    1. Pulite il cavolo nero eliminando le coste e tagliate a piccoli pezzi le foglie. 
    2. In una pentola, fate soffriggere la cipolla con i peperoncini verdi nell’olio e aggiungete l’aglio quando la cipolla si sarà imbiondita. 
    3. Togliete dal fuoco e aggiungete il pollo. Bagnate tutto con il brodo e lasciate sobbollire per circa 30-40 minuti.
    4. Aggiungete il cavolo nero e tutti gli aromi, quindi aceto, zucchero, spezia Cajun, aglio in polvere e peperoncino.
    5. Lasciate sobbollire a fuoco basso per circa 2 ore.

    Ma i collard greens non si mangiano mai senza quello che è forse il protagonista del soul food

    Gospel bird, il pollo fritto dei pranzi della domenica

    C’è un rumore che fa subito capire che un gospel bird è in preparazione. Ed è quello del pollo che, prima di essere fritto, viene sbattuto nella carta per far sì che assorba tutte le spezie in cui è stato marinato durante la notte. “Fa shaky shaky” racconta William. 

    Foto di Francesco Fraliga

    Il gospel bird, come viene comunemente chiamato il pollo fritto, è forse il piatto che viene più associato al pranzo della domenica in chiesa dopo il gospel e la messa, quindi al soul food. E Ilaria ci spiega perché: “nell’Africa occidentale il pollo era protagonista di una serie di rituali, che la popolazione afro-americana ha continuato a mantenere anche negli Stati Uniti. Ad esempio, agli schiavi era consentito allevare polli, che venivano poi mangiati nelle occasioni speciali. Ovviamente tutta la procedura di preparazione era a carico degli schiavi: dall’uccisione dell’animale fino alla frittura. È così che preparare il pollo fritto è diventato un’arte per il popolo afro- americano. In realtà le origini del pollo fritto pare siano scozzesi, ma i cuochi afro-americani degli Stati del Sud lo hanno fatto diventare un cibo icona tra il XVII e il XIX secolo, soprattutto per la marinatura con le spezie e per la tecnica di frittura, che in Scozia invece avveniva nel lardo”. Ma soprattutto, oggi il pollo fritto rappresenta per eccellenza i momenti di condivisione in famiglia: “non ci sarà mai una riunione di famiglia senza pollo fritto” continua William. 

    Come preparare il pollo fritto: la ricetta

    Anche in questo caso, come tutte le ricette casalinghe degne di questo nome, la preparazione cambia di casa in casa, ma di base viene sempre marinato per tutta la notte con il latticello che lo rende più morbido, salsa piccante, peperoncino, aglio, sale e pepe, per poi essere infarinato e fritto. Ecco come lo ha sempre fatto la nonna di William, con le dosi sempre per una persona. 

    Ingredienti 

    • 260 g di alette di pollo (circa 2 alette)
    • 90 g di latticello
    • 2 gocce di tabasco
    • 5 g di sale
    • 5 g di aglio in polvere
    • 2,5 g di cipolla in polvere
    • 100 g di farina
    • 2 g di paprika 
    • 2 g di senape in polvere (opzionale)
    • 2 g di origano (opzionale)
    • 1 litro olio di arachidi (per la frittura)
    • q.b. di sale 
    • q.b. di pepe

    Procedimento

    1. In un recipiente preparate il pollo per la marinatura: salate, aggiungete l’aglio e la cipolla in polvere assicurandosi di insaporire bene le alette. 
    2. Aggiungete il tabasco e coprite con il latticello. Il pollo va lasciato marinare in frigorifero da un minimo di 2 ore fino a tutta la notte (più marina, meglio è). 
    3. Trascorso questo tempo, preparate la farina con gli aromi (a gusto) e infarinate il pollo
    4. Fate riscaldare l’olio e quando ben caldo aggiungete le alette di pollo per la frittura.
    5. Friggete in olio bollente per circa 5-6 minuti, poi fate scolare su un foglio di carta assorbente, aggiungete sale e pepe e servite.

    E ora possiamo passare al dolce! 

    Sweet Potato Pie, l’importanza della patata dolce

    Foto di Francesco Fraliga

    Un vero pasto soul food non può non concludersi con un dolce a base di patata dolce, protagonista indiscussa di questa cucina. “Nella malinconia per la mancanza dell’igname, cioè il tubero chiamato anche yam molto diffuso e consumato in Africa, in America gli afro-americani si sono affezionati alla patata dolce che, seppur più piccola, ha un aspetto simile e rappresenta un legame con il Paese d’origine. Così nel tempo lo yam è diventato un simbolo del black power, che troviamo anche nelle canzoni di Kendrick Lamar come What’s the Yam, the Yam is the power that be. Insomma, quello con le patate dolci è un amore che non avrà mai fine!” ci racconta Ilaria. 

    Infatti, è presente in tantissimi piatti dai contorni ai dolci, come nella torta della domenica, in quella del Ringraziamento, di Natale… “
Mi raccomando, se siete invitati per il Ringraziamento o una domenica a casa di in una famiglia afro-americana non presentatevi mai con una pumpkin pie (la torta di zucca) perché potrebbero non farvi entrare!
” continua Ilaria. Meglio portare la sweet potato pie, quella che più richiama l’idea di soul food. 

    La ricetta della sweet potato pie

    Concludiamo questo viaggio nel mondo del soul food con la ricetta della sweet potato pie, sempre della nonna di William e sempre con le dosi per una persona.

    Ingredienti 

    Per la pie crust

    • 18 gr di farina 00
    • 1,5 gr di zucchero
    • 0,5 gr di sale
    • 6 ml di olio di girasole
    • 3 gr di burro fuso
    • 3-5 ml di acqua fredda da freezer

    Per il ripieno

    • 85 g di patate dolci
    • 10 g di burro a temperatura ambiente
    • 12 g di zucchero
    • 15 g di uovo a temperatura ambiente
    • 22 ml di latte evaporato
    • 0,5 ml di estratto di vaniglia
    • 0,5 g di cannella
    • 0,5 g di noce moscata
    • 0,5 g di sale

    Procedimento

    1. Iniziate con la preparazione della parte esteriore: in un recipiente mettete farina, zucchero e sale e mischiate.
    2. Unite poi l’olio e il burro e mischiate con una forchetta fino a ottenere un composto che somiglia a una sabbia bagnata. 
    3. Aggiungete l’acqua e con le mani formare una pallina. Fate raffreddare 30 minuti in frigorifero.
    4. Stendete la pie crust formando un cerchio e foderate lo stampo. 
    5. Cuocete la pie crust in forno a 180°C in modalità cottura blind, quindi con una stagnola e dei fagioli secchi per evitare che si sformi, per circa 10 minuti.
    6. Tirate fuori dal forno e bucherellate il fondo.
    7. Passiamo ora al ripieno. Pelate e tagliate a cubetti le patate dolci. Mettetele a bollire in acqua bollente per circa 15 minuti. Quando sono morbide, lasciatele intiepidire.
    8. Una volta tiepide, riducete il tutto in purea con uno schiacciapatate.
    9. In un altro recipiente mescolate burro, zucchero e uovo. 
    10. Unite le patate con il resto e aggiungete il latte evaporato e le spezie (vaniglia, cannella, sale e noce moscata).
    11. Formate la pie inserendo il ripieno all’interno e mettere in forno per circa 30-40 minuti
    12. Assicuratevi di coprire i bordi della crust con la stagnola per evitare che si bruci e infine servite. 

    Tutto questo pasto soul food, potete accompagnarlo con un classico tè americano, anche deteinato. 

    Vi abbiamo fatto voglia di provare a preparare uno di questi piatti, magari sulle note di Albert Leones “Al” Green


    Immagine in evidenza di: Joshua Resnick/shutterstock.com

    Antropologa del cibo, è nata a Milano, dove vive e scrive per varie testate, tra cui La Cucina Italiana, Scatti di Gusto, Vanity Fair e le Guide Espresso. Il suo piatto preferito sono gli spaghetti alle vongole, perché per lei sono diventati un'idea platonica: "qualsiasi loro manifestazione nella realtà sarà sempre una pallida copia di quella nell'iperuranio". Nella sua cucina non mancano mai pistilli di zafferano, che prima coltivava!"

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