Sicilia: sui peloritani alla scoperta del maiorchino

Redazione

di Giuseppe Biscari (peppe57).14 febbraio 2009, ore 12.00: Partenza da Modica alla volta di Novara di Sicilia. Sul mio camper siamo in cinque: mia moglie, io, mio figlio Giorgio (4 anni), Fabio ed Anna, una coppia d’amici con cui spesso viaggiamo. Non potendo guidare causa immobilizzazione del braccio destro, prende il volante Fabio.Dopo circa 4 ore di viaggio arriviamo nei pressi di Novara di Sicilia: il tempo non è particolarmente bello e fa molto freddo, tuttavia, siamo armati delle migliori intenzioni…gastronomiche, soprattutto.Chiediamo informazioni e parcheggiamo il camper in un’area di sosta riservata in Piazza Annibale di Francia, davanti all’Orfanotrofio Francescano. Ci sono già altri equipaggi tra cui notiamo altri amici camperisti di Ragusa. Scesi dal camper constatiamo con enorme disappunto di aver dimenticato a casa la macchina fotografica. Anche Fabio ed Anna ne sono sprovvisti, in quanto hanno dovuto lasciarla alle figlie che sono in gita altrove per i fatti loro. Pazienza!!Cominciamo a girare per il paesino che è uno dei borghi di origine medievale più belli d’Italia. Se non fosse per le automobili che testardamente cercano di occupare gli spazi davanti agli edifici più significativi e per il degrado di alcune zone non ancora risanate, il borgo sarebbe una meraviglia. Dalla guida apprendiamo che il nome della cittadina deriva da «Noa», vocabolo di origine sicana che significa «maggese» a indicare la vocazione agricola della zona. Con i Romani cambiò in «Novalia» (campo di grano) e per gli Arabi fu «Nouah» (giardino, orto, fiore). Dal medioevo si ritrovano Nucaria, La Nuara, La Nucharia, Nugaria, Nutaria, Nocerai, Noara fino alla definitiva trasformazione in Novara.Novara di Sicilia è adagiata sulla pendice della montagna poco a valle di un imponente sperone di roccia, la Rocca Salvatesta detta Cervino di Sicilia, che domina la cittadina. Le piccole case affastellate l’una sull’altra, la trama di vicoli e delle viuzze talvolta sormontati da archi, i decori delle facciate, l’eleganza dei palazzi, la sontuosità delle chiese danno fascino a un assetto urbanistico d’impronta tipicamente medievale.Avvicinandoci a Novara di Sicilia abbiamo letto un cartello che la indicava come «città della pietra», e passeggiando per la città, infatti, ci spieghiamo il perché di questo nome che sottolinea come, nel corso dei secoli, la lotta della gente di questo posto con un territorio tutto sommato poco ospitale, caratterizzato dalla durezza della pietra. Il mestiere (ma meglio sarebbe dire l’arte) più diffuso a Novara di Sicilia, infatti, è quello di scalpellino, professione che si tramanda da secoli di padre in figlio. L’immagine di città della pietra infatti, viene data proprio dalle strade in basole di pietra dette «Ciappe» e dai bellissimi portali del Duomo e delle Chiese di S. Nicolò, di S. Antonio, di S. Giorgio e dell’Annunziata, dalle cornici dei balconi, dalle mensole dei balconi degli antichi palazzi chiamati «Cagnò» (o Cagnoni), tutte opere di rilievo realizzate dal ‘500 al ‘700 da quei veri e propri artisti che sono stati e ancora oggi sono gli scalpellini di Novara di Sicilia. Noi abbiamo visitato la bottega artigiana Mario Affannato Scalpellino (Via Nazionale n.184 Tel: 0941.65 08 14).Passeggiando a passo spedito, anche per difenderci dal freddo saliamo su fino all’antico castello Saraceno, di cui oggi restano i ruderi, situato su una rupe a strapiombo di rara bellezza, nonostante la parte alta del poggio su cui sorge la cittadina non è stata risparmiata da interventi edilizi a dir poco sconsiderati. Dalla cima si gode un panorama incantevole e lo sguardo spazia fino verso il mare e – anche se c’è un po’ di foschia si intravedono abbastanza nette i profili isole Eolie. Ridiscendiamo in paese percorrendo la Via Dante che Alighieri collega l’area del castello al sottostante Duomo che fu edificato sui resti di una chiesetta nel XVI secolo. La chiesa presenta una bella facciata monumentale con un’ampia scalinata. Al suo interno, a tre navate che poggiano su dodici colonne di pietra arenaria con capitelli corinzi, il Duomo custodisce dodici altari di ottima fattura. L’abside ospita un coro ligneo settecentesco; di grande pregio sono l’altare del Sacramento in marmo intarsiato a smalto, il battistero in marmo cipollino locale sormontato da una cupoletta in legno, la statua dell’Assunta e il grande crocifisso in legno. I mensoloni lignei a intarsi del XVII secolo, provenienti dalla chiesa demolita di San Sebastiano, sono collocati davanti all’altare maggiore dal quale si officiano i riti sacri.Proseguendo il nostro girovagare arriviamo l centro del paese dove è situata la Chiesa di San Nicolò (secolo XVII) recentemente restaurata, con il suo artistico prospetto in cima a una grande gradinata in pietra.Visitiamo anche la Chiesa dell’Annunziata (secolo XVII) anch’essa a tre navate con colonne in pietra a sezione quadrata e diversi capolavori, tra cui un organo a canne del ‘700 e il gruppo statuario dell’Annunciazione di scuola gaginiana.Nella parte bassa del borgo si trova la Chiese monumentali di San Giorgio Martire (oggi adibita ad auditorium),e la suggestiva Chiesa di Sant’Antonio, che conserva il portale in stile normanno e la torre campanaria a guglia, sontuosa e finemente decorata, oltre a custodire statue lignee e dipinti su tela. Nel frattempo si sono fatte le 19,30. il freddo e la scarpinata ci inducono a tornare al camper. Decidiamo, però, di cenare in ristorante. Assunte informazioni su dove trovare cucina tipica la maggior parte delle persone consultate ci indica l’agriturismo "Il Girasole" in Contrada Greco, poco fuori dal paese. Telefoniamo e molto cortesemente ci rispondono che – essendo San Valentino – sono al completo, ma quattro posti ce li rimediano. A questo punto il rischio è di perdere il posto con il camper. Ritelefoniamo all’Agriturismo e ci dicono che acconsentono a farci parcheggiare nello spazio antistante la struttura.Arrivati all’Agriturismo troviamo un posto accogliente e persone veramente di squisita gentilezza. Scopriamo così che Novara di Sicilia non è solo la città della pietra, ma un’inaspettata regina di gastronomia.Cominciamo con assaggi di salumi tipici della zona, e – ovviamente – con il maiorchino, la ricotta salata, quella infornata e con altre pietanze tutte a prova di dieta. Ci propongono anche il piatto tradizionale del festino di mezz’agosto è la pasta ‘dal bel nome di «lampi e truoni» preparato con fagioli, cicerchie, granoturco, lenticchie e grano bolliti e conditi con finocchietto selvatico ed un olio dal sapore eccezionale. Ma il colpo di grazia ce lo infliggono con i «frittui» (spero di aver trascritto bene), carne di maiale lessa insieme a cotiche, trippa, polmone, cuore e fegato dello stesso maiale. È veramente troppo pesante anche per chi – come noi – ha robusti appetiti: ne consumiamo una piccola porzione solo per assaggiarla.Non rinunciamo, però, agli assaggi di dolci cominciando dal «risu niru» (una sorta di budino a base riso mescolato a nocciole tostate con aggiunta di cacao, caffè, buccia d’arancia candita e cannella), i «cassatelli» (frolle con impasto di fichi secchi, miele, cannella, nocciole molto simile ai nucatoli), i «ravliò» (ravioli fritti ripieni di ricotta fresca profumata alla cannella avvolti in una pasta bagnata con il vino) e i «ita r’apostulu» (dita d’apostolo), uno speciale cannolo di ricotta con l’involucro di pasta ricoperto di glassa.Una cena spettacolare!! Gradita anche dal piccolo Giorgio che in fatto di cibo è – tra i miei figli – quello dai gusti meno difficili. S’è fatto tardi e decidiamo di andare a dormire. Paghiamo il conto (una cifra onesta per quello che abbiamo consumato), e rientriamo in camper.15 febbraio 2009. L’appuntamento è al centro di Novara di Sicilia per quella che è la vera ragione della nostra gita sui Peloritani: una visita guidata alla scoperta del del formaggio maiorchino. Raggiunto il punto d’incontro ci consegnano il programma della giornata e scopriamo che Novara di Sicilia è uno dei presìdi Slow food della Sicilia. La visita prevede anche una degustazione di formaggi e di piatti tipici del luogo secondo il programma elaborato dall’Accademia del gusto mediterraneo che ha organizzato la manifestazione con il contributo di Pietro Pappalardo, maestro assaggiatore dell’Onaf, che guiderà le degustazioni. Durante la visita con relativa degustazione apprendiamo che il Maiorchino abbia fatto la sua comparsa intorno al Seicento e che questo formaggio viene prodotto nel periodo compreso tra la fine di gennaio e la seconda decade di giugno perché è solo in quest’arco di tempo che è possibile trovare il pascolo naturale migliore per l’alimentazione delle pecore e delle capre.Una delle principali caratteristiche peculiari di questo formaggio, infatti, è proprio quella di essere prodotto miscelando insieme latte di pecora e latte di capra, in percentuali che in pratica variano ogni giorno, ma che in genere si attestano intorno al 60 % di latte di pecora e al 40 % di latte di capra.Il Maiorchino ha una a complessa e costosa tecnica di produzione e ciò ha fatto sì che i produttori si indirizzassero verso forme di caseificazione più remunerative, il che – ci dicono – ha portato al serio rischio di estinzione di questo formaggio, inoltre il mercato non sembra sempre premiare con un prezzo adeguato un lavoro del genere e le grandi qualità di questo formaggio. È per questo che Slow food, in collaborazione con il Corfilac di Ragusa vuole convincere i casari a riprendere la produzione di un formaggio che ha grandi potenzialità, ma che per ora è solo un prodotto di nicchia prodotto quasi esclusivamente su ordinazione.Finita la visita assistiamo all’antico gioco della Maiorchina un singolare torneo che consiste nel far rotolare una forma di formaggio maiorchino stagionato lungo un percorso che si snoda per oltre lungo le viuzze del paese. Giocano 16 squadre di tre concorrenti si parte dalla «cantuea da chiazza» per arrivare al traguardo arrivando fino ad un traguardo due chilometri più giù detto «a sarva». Il gioco ha delle regole precise tra cui quella che ogni squadra deve indicare il proprio capitano che è l’unico che potrà conferire con i giudici di gara per far eventualmente valere le proprie ragioni.Ogni squadra poi deve munirisi di un laccio detto «lazzada» da attorcigliare al maiorchino per il lancio; inizia il gioco la squadra che risulta prima per sorteggio (detto «toccu»).Ogni contendente deve lanciare il maiorchino dal punto segnato, senza alcuna rincorsa, facendo leva solo sul piede d’appoggio («pedi fermu»). Nel caso in cui la forma di formaggio dovesse rompersi durante la gara, verrà sostituita con un’altra forma di maiorchino di uguale peso ed il lancio precedente verrà comunque ritenuto valido. Si aggiudica la vittoria chi arriva primo e con meno colpi a colpire «a sarva». Rimaniamo colpiti dall’interesse sentito vivamente dagli spettatori, che parteggiano per l’una o per l’altra squadra contendente.Si respira un’atmosfera di esultanza e di esaltazione, di emulazione e rivalità, di confronti e preferenze, di previsioni e pronostici, mentre, nel brusio della gente, partigiana di una o l’altra parte, si ascoltano voci che invitano a prestare attenzione all’imminente lancio della maiorchìna e si ridestano i ricordi di lanci famosi di giocatori che hanno fatto la storia del «gioco della maiorchìna». Si sentono pronunciare, durante il gioco, parole strane, si ascoltano parole ed accenti arcaici. Mi spiegano che sono parole che non si ripetono nell’anno, ma soltanto in occasione di questa sagra invernale novarese: la gente di questo posto, infatti, parla un dialetto particolare: il «gallo-italico».La manifestazione, che dura per tutta la settimana di Carnevale si conclude con la rituale Sagra del Maiorchino (di cui abbiamo un assaggio) in quanto l’apice di questa sagra sarà il giorno 24 febbraio che consiste in una degustazione di ricotta, tuma, maiorchino e, dulcis in fundo, in una mega maccheronata al sugo di carne di maiale imbiancata ovviamente da abbondante maiorchino grattugiato.Il tempo si sta facendo veramente brutto. Prima che peggiori ulteriormente decidiamo di raggiungere il camper per il rientro a casa. Non prima però, di aver fatto scorta di salumi e formaggi negli stand della Sagra e dei dolci tipici acquistati presso il Bar pasticceria Angelia (Via Nazionale n.151 Tel e fax: 0941/65 01 00  Mail: pasticceria_angelina@tiscali.it).Siamo stanchi, ma soddisfatti per aver conosciuto tradizioni diverse da quelle a cui siamo abituati, per aver visitato un affascinante borgo antico al riparo dalle frenesie della vita di città e per aver gustato piatti dal sapore unico ed irripetibile.

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