Monkey 47: il gin tedesco che vuole salvare il pianeta (o almeno quello delle scimmie)
“Siamo i primati che abbiamo il primato di minare la vita di altri primati. Uno scioglilingua? Un gioco di parole? Niente affatto, è un dato di fatto: la deforestazione e il bracconaggio stanno decimando il numero dei primati nel mondo. Monkey 47 non può restare indifferente. E tu?”.
Basterebbe questa dichiarazione di intenti per capire lo spirito (a proposito di giochi di parole) alla base dell’iniziativa ideata da Monkey 47 per marcare i suoi primi dieci anni nella produzione di gin. Un anniversario importante che la distilleria tedesca ha deciso di dedicare al suo animale simbolo e alla salvaguardia dei suoi simili con un progetto dall’elevato tasso allegorico: scopriamolo insieme.
Un’edizione limitata contro l’estinzione
“The empty bottles limited edition”: questo il nome dell’edizione limitata che Monkey 47 ha presentato e venduto sul suo shop fino alla fine di giugno 2020 (e andata sold out in breve tempo). Una serie composta da sei bottiglie diverse, ciascuna dedicata a un primate a rischio di estinzione: la Callicebus miltoni (o Milton’s Titi in inglese, recentemente scoperta in Brasile), il Cercopiteco roloway (piccolo primate della Costa D’avorio e del Ghana), il Gorilla occidentale, l’Orango del Borneo, la scimmia leonina (Leontopithecus rosalia) e infine la Nasica (scimmia tipica del Borneo). Proprio loro sono stati ritratti – con il tipico stile illustrato del brand – sulle etichette della già iconica marca, che per l’occasione ha infatti modificato la sua famosa scimmietta per lasciare spazio alle “colleghe” più sfortunate, incorniciate dal cartiglio “sad but true” (triste ma vero). E di spazio, fuori e dentro la bottiglia, ce n’è abbastanza: già, perché per celebrare la felice ricorrenza, Monkey 47 non ha sviluppato ricette inedite del suo rinomato gin, ma ha lasciato le bottiglie completamente vuote.
“Vuote di gin ma piene di valori, metafora concreta del vuoto che stiamo creando intorno a noi”: così si legge nelle dichiarazioni dei due fondatori, Alexander Stein e Christoph Keller. Un’iniziativa volta quindi a sensibilizzare il grande pubblico su un tema urgente e attuale: la progressiva distruzione, da parte dell’uomo, di habitat e territori e la conseguente scomparsa delle specie che vi abitano. Oltre all’immagine, infatti, le bottiglie ospitano anche diverse indicazioni sui singoli primati ritratti, di cui è possibile approfondire ulteriormente condizioni di vita e minacce sul sito ufficiale dell’azienda.
Monkey 47, non nuova a collaborazioni virtuose e sperimentazioni creative, ha così promosso l’acquisto delle sue empty bottles (25 euro l’una) per devolverne tutti i profitti al WWF, impegnato da anni nella tutela dell’ambiente e nella salvaguardia degli animali. Un’edizione speciale, quindi, in cui le etichette sono un vero e proprio memento mori e un invito concreto a riflettere sulle conseguenze delle nostre azioni, a livello macroscopico: vogliamo davvero ritrovarci con un pianeta vuoto, testimonianza di quello che è stato e poteva essere, ma che è irrimediabilmente scomparso?
Ma non è finita qui, perché la distilleria ha anche patrocinato la realizzazione di “Can creativity save animals’ lives?” (Può la creatività salvare le vite animali?): una mostra “bestiale”, come l’ha definita la stessa Monkey 47, curata da Archipanic.com per isola design district, che quest’anno sostituisce virtualmente la Milano Design Week. Partner dell’evento, Monkey 47 favorisce la visibilità di 6 progetti artistici internazionali che si schierano contro il bracconaggio e l’atteggiamento insostenibile di certe realtà, spesso dovute a meccanismi commerciali irresponsabili (come non ripensare a quanto sta accadendo per il tonno rosso?).
Monkey 47: il gin teutonico dalle origini leggendarie
Realtà e leggenda si mescolano nella storia di Monkey 47, il gin nato nella Foresta Nera, in Germania, nel 2010 per volontà di un imprenditore tedesco, Alexander Stein, e di Christoph Keller, tra i distillatori più autorevoli al mondo. Secondo quanto narrato dai due soci sul sito ufficiale dell’azienda, infatti, l’idea di produrre un gin nella Schwarzwald sarebbe venuta ad Alexander, al tempo top manager di Nokia a Detroit, che, mollato tutto per inseguire questa nuova “ossessione” – parole sue – si sarebbe messo in contatto con Christoph. L’ispirazione, però, non è nata dal nulla, ma dalla vicenda di Montgomery Collins, colonnello inglese che nel dopoguerra venne inviato a Berlino per rimettere in sesto il semi-distrutto zoo cittadino. Qui, pare che strinse amicizia con una scimmietta soprannominata Max, e dopo qualche anno si ritirò nella Foresta Nera per aprire un piccolo ristorante, The monkey wild, dove serviva il gin fatto con le sue mani con ingredienti locali.
Affascinato dalla prospettiva di poter ricreare la ricetta di Collins e dare vita così a un gin autoctono, Alexander fece i bagagli e fece ritorno in Germania, dove il sodalizio con Keller (e l’esperienza di quest’ultimo sul campo) gli dettero ragione. Dopo due anni di ricerca e sperimentazioni, in quasi totale bancarotta, i due arrivarono infatti alla formulazione perfetta del loro London Dry Gin. Oltre all’immancabile ginepro, la composizione (nota solo ai fondatori) del gin tedesco è arricchita da 47 ingredienti botanici diversi, accuratamente scelti e dosati, per la maggior parte raccolti a mano proprio nei dintorni della distilleria, come l’acacia, la camomilla, i fiori di sambuco, scorze di agrumi e sei tipi diversi di pepe.
La distillazione avviene nei tradizionali contenitori di rame e l’unico additivo è l’acqua della sorgente che sgorga lì vicino.
Che sia romanzata o meno, la storia del gin Monkey 47 (avete capito perché si chiama così?) testimonia non solo come profitto e attenzione per l’ambiente possano, anzi debbano convivere, ma anche quanto intrecciate possano essere le vicende degli uomini e, quindi, del cibo. Come la Germania, anche l’Italia ha infatti sviluppato una sua filiera di gin locale. E pensare che le radici di questa bevanda sono in realtà fiamminghe… a riprova del fatto che una globalizzazione sostenibile può esistere.
E voi eravate a conoscenza di questo progetto? Ne conoscete altri simili? Segnalatecelo nei commenti.