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Miele italiano in Crisi: la produzione è in picchiata

Redazione

Il miele italiano è in caduta libera. A poco serve spiegare che la perdita media della produzione di quest’anno è del 30%, non del 70% calcolato invece sullo scorso anno e rimbalzato ormai su tutti i mezzi di informazione come simbolo della débacle. Tra aziende importanti che vanno verso la chiusura, produzioni regionali in pericolo, prezzi al consumo che cominciano a salire e il rischio sofisticazioni dietro l’angolo, la parola crisi è la più efficace descrizione di un comparto mai così giù, secondo gli addetti ai lavori negli ultimi 35 anni. Se a questo si aggiungono le notizie provenienti dagli Stati Uniti sulla presenza massiccia di glifosato nel prodotto a stelle e strisce, il quadro a tinte fosche è completo. Ma il settore italiano, un tempo eccellenza assoluta nella produzione mondiale, vuole rialzarsi. Vediamo come, a partire dai dati oggettivi del crollo.

Miele italiano in crisi: quali sono i motivi 

I numeri: un crollo senza precedenti

miele italiano

Sono proiezioni, ma se gli addetti ai lavori le snocciolano con tanta sicurezza significa che sono vicine al vero. Il Consorzio nazionale produttori e l’Osservatorio nazionale miele le hanno date in pasto agli organi d’informazione a settembre, denunciando in modo fragoroso il problema e chiedendo esplicitamente aiuto al ministero competente. Quest’anno, dunque, la produzione sarà di sole 1000 tonnellate, con un calo del 70% rispetto al 2015: ce n’è abbastanza, per gli amanti della statistica ad effetto, per definire l’annata la peggiore degli ultimi 35 anni. Nel dettaglio: la raccolta di miele di acacia bio è scesa dalle 437 alle 184 tonnellate, quello di acacia convenzionale da 266 a 91, il pregiato miele di agrumi è calato da 54 a 35 tonnellate per la produzione bio e da 174 a 148 per quella convenzionale.

Le regioni: la debacle di Sicilia e Triveneto

Calabria, Puglia, Piemonte, Lombardia. Ma soprattutto Sicilia e Triveneto. Sono le regioni in cui l’aria che si respira nel settore è meno buona. Territori dalla raccolta solitamente importante e oggi in difficoltà, con aziende che rischiano la sparizione e numeri in certi casi vicini allo zero. Li elenca Giancarlo Naldi, presidente dell’Osservatorio nazionale miele, entrando nel dettaglio regionale: “La produzione è andata a picco soprattutto per i due grandi mieli italiani, quello di acacia e  quello di agrumi: il 65/70% in meno per quello d’acacia, con produzione persa in Lombardia e nel Triveneto, e scarsa nel resto d’Italia. Per il miele di agrumi è andata anche peggio: 70/75% in meno, quasi niente in Sicilia, poco in Puglia e in Calabria”.

I dati del comparto: per alcuni è un settore in salute

apicoltori

I numeri del settore, in termini di elenco aziende, non risentono ancora della crisi. E fanno invidia a Paesi più potenti: sul territorio nazionale ci sono oggi 42.650 apicoltori, di cui 20mila professionisti e il resto hobbisti, e un milione e mezzo di alveari. Negli Stati Uniti, ad esempio, ce ne sono appena 500 mila in più. Il settore è in costante crescita, c’è una grande richiesta del nostro miele”, puntualizza in effetti Naldi. Sono numeri che vengono ripetuti come mantra da chi preferirebbe non fare allarmismo, e per questo precisa: il crollo del 70% si riferisce solo allo scorso anno, la media del calo è invece intorno al 30%. Il miele italiano, aggiunge e chiosa Andrea Olivero viceministro del Mipaaf – “è una delle eccellenze del nostro paese, per qualità e varietà, con produzioni monoflora uniche al mondo”.

I motivi della crisi del miele italiano e le conseguenze del crollo della produzione

Quali sono allora le ragioni del crollo? A spiegarle sinteticamente è Diego Pagani, presidente nazionale di Conapi, principale fautore dell’appello lanciato a istituzioni e opinione pubblica: “Sono principalmente due: i cambiamenti climatici, di cui le api sono il primo sensore, e l’abuso di pesticidi in agricoltura, che provoca il fenomeno dello spopolamento improvviso di intere colonie. Le api sono delle vere e proprie sentinelle ambientali, dei bioindicatori capaci di intercettare immediatamente le sostanze inquinanti. Peccato che il progetto Beenet sia stato interrotto per mancanza di fondi”. Si tratta del monitoraggio degli alveari e dell’ambiente, promosso e finanziato dal ministero in collaborazione con altre istituzioni, enti di ricerca e università: venne lanciato nel 2011, è stato chiuso nel 2014 ma se ne auspica ora il rifinanziamento. Le conseguenze, per alcuni versi già evidenti, della crisi sono sostanzialmente due: l’aumento del prezzo di vendita e il rischio di sofisticazioni, con possibili introduzioni in Italia materia prima di scarsa qualità proveniente da Paesi extraeuropei.

La minaccia glifosato

miele glifosato

L’abuso di pesticidi, stando alle parole di Conapi, è dunque una delle cause principali del fenomeno. Nel mirino il più celebre degli erbicidi. Si tratta del glifosato, per cui l’Unione europea ha di recente deliberato una proroga temporanea della licenza. In attesa che si stabilisca la pericolosità del prodotto per l’uomo, arrivano dagli Stati Uniti notizie non incoraggianti: L’agenzia statunitense per la sicurezza alimentare Fda (sul solco scavato un anno fa da docenti della Boston University), ha trovato residui della sostanza in campioni di miele prodotto negli Usa. A rivelarlo sono i documenti ottenuti dall’associazione dei consumatori U.S. Right to Know, che per averli ha fatto richiesta tramite il Freedom of Information Act, una legge che permette l’accesso a documenti riservati.

Il periodico EcoWatch ha poi spiegato come alcuni campioni abbiano mostrato livelli doppi di residui di glifosato rispetto al limite legale consentito nell’Unione europea: 107 parti per miliardo contro 50, il limite consentito dalla Ue. Negli Stati Uniti, invece, non c’è alcun livello di tolleranza legale.

Chi volesse sapere qualcosa in più sul glifosato e le sue conseguenze potrebbe dare uno sguardo a uno degli articoli che gli abbiamo dedicato. Quanto alla fusione Bayer-Monsanto, importante proprio nei discorsi sull’erbicida, l’abbiamo approfondita di recente con un’intervista a un docente universitario di economia agraria. E tornando al miele, ci sono anche gli esempi virtuosi di cui prova a resistere alla crisi, o a ignorarla: è il caso degli apicoltori urbani, sbarcati di recente anche a Torino.

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