Bollitore d'acqua

Bollire e filtrare l’acqua del rubinetto aiuta a ridurre le microplastiche: lo studio

Alessia Rossi
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    È da anni che sentiamo parlare di microplastiche, eppure recenti studi in tutto il mondo hanno evidenziato che finora potremmo aver visto soltanto la punta dell’iceberg. Le microplastiche sono ovunque: nell’ambiente che ci circonda, dal terreno alle acque (addirittura sono state trovate nelle profondità dell’Oceano Antartico), negli alimenti che mangiamo, dai pesci ai vegetali, e di conseguenza perfino nel nostro organismo con ripercussioni potenzialmente dannose per la nostra salute. Negli ultimi tempi, a destare preoccupazione si aggiungono anche ulteriori evidenze sulla presenza di nano/microplastiche (NMP) nell’acqua del rubinetto. Tuttavia, un recente studio ha scoperto letteralmente… l’acqua calda: bollire l’acqua del rubinetto aiuterebbe a eliminare buona parte delle microplastiche presenti al suo interno. 

     

    Come? Ne parliamo in questo articolo, ma prima facciamo un punto sulla questione delle microplastiche.

    Microplastiche: un’emergenza per l’ambiente e la salute umana 

    Quantità di microplastica in una bottiglietta d'acqua

    YRABOTA/shutterstock

    Quando parliamo di microplastiche e nano-plastiche, ci riferiamo a particelle di plastica di dimensioni comprese da 1 µm a 5 mm di lunghezza, o addirittura ancora inferiori a <1 µm. La plastica che produciamo, infatti, quando si degrada, lo fa scomponendosi in minuscoli frammenti, che finiscono per accumularsi in grandi quantità nell’ambiente e qui ci rimangono per molto tempo, dato il lungo processo di decomposizione. Queste particelle destano preoccupazioni per la salute umana, in quanto le loro dimensioni estremamente ridotte le rendono suscettibili a entrare nel corpo umano e ad accumularsi anche in organi vitali. 

     

    Negli ultimi anni sono aumentati gli studi sulla loro diffusione, al punto che ne è stata dimostrata la presenza nell’aria che respiriamo, nelle nuvole, nei tessuti muscolari di cetacei e pesci, molti dei quali diffusi nella nostra alimentazione; quindi ritroviamo le microplastiche in molti cibi che mangiamo, nel latte materno, e di recente, per la prima volta, perfino nei fluidi follicolari ovarici di donne che si sottopongono a Procreazione Medicalmente Assistita (PMA), tanto da essere  definite “una minaccia significativa all’integrità del patrimonio genetico” trasmesso alle future generazioni. 

     

    Un altro rischio per la salute umana arriverebbe appunto dal consumo di acqua potabile, sia contenuta nelle bottiglie di plastica che quella del rubinetto. Sulla seconda è stata condotta un’inchiesta nel 2017 da Orb Media, un’organizzazione non profit statunitense, che per la prima volta ha esaminato questa problematica su scala globale evidenziando una diffusa contaminazione dell’acqua potabile in tutto il mondo, sebbene con concentrazioni variabili. Un altro importante studio è stato presentato nel 2020 al congresso della Geological Society of America, condotto dai ricercatori dell’Università di Saint Louis (Missouri, Usa). Secondo questa ricerca, una parte delle microplastiche presenti nel terreno e nelle acque superficiali penetra nel sottosuolo, contaminando le falde acquifere che spesso costituiscono la fonte primaria di acqua potabile, un fenomeno amplificato dall’incremento di eventi meteorologici intensi cui abbiamo assistito negli ultimi anni.

    Nel 2022, inoltre, uno studio italiano ha dimostrato la presenza di nano e microplastiche sia nell’acqua del rubinetto che in quella contenuta nelle bottiglie di plastica, con una concentrazione però nettamente inferiori nella prima rispetto alla seconda.

    Bollire e filtrare l’acqua per eliminare le microplastiche: lo studio

    Appare evidente come affrontare questo problema sia di prioritaria importanza, sia per l’ambiente che per la nostra salute: qualunque gesto, anche piccolo e quotidiano, sia in grado di diminuire la presenza di queste microparticelle sarà essenziale. Proprio da questo punto sembra partire lo studio Drinking Boiled Tap Water Reduces Human Intake of Nanoplastics and Microplastics, pubblicato su Environmental Science & Technology Letters dell’American Chemical Society da un team di ricercatori cinesi della School of Biomedical Engineering della Guangzhou Medical University e del Center for Environmental Microplastics Studies del Guangdong Key Laboratory of Environmental Pollution and Health della Jinan University. 

     

    Lo studio riporta che “Bere acqua bollita, un’antica tradizione in alcuni paesi asiatici, è presumibilmente benefico per la salute umana, poiché l’ebollizione può rimuovere alcune sostanze chimiche e la maggior parte delle sostanze biologiche. Tuttavia, non è chiaro se l’ebollizione sia efficace nel rimuovere gli NMP dall’acqua del rubinetto. Qui presentiamo la prova che gli NMP di polistirene, polietilene e polipropilene possono co-precipitare con incrostanti di carbonato di calcio (CaCO3) nell’acqua del rubinetto dopo l’ebollizione. L’ebollizione dell’acqua dura (>120 mg L–1 di CaCO3) può rimuovere almeno l’80% degli NMP di polistirene, polietilene e polipropilene di dimensioni comprese tra 0,1 e 150 μm. Le temperature elevate promuovono la nucleazione di CaCO3 sugli NMP, con conseguente incapsulamento e aggregazione degli NMP all’interno degli incrostanti CaCO3”.

    Fino al 90% di microplastiche in meno nell’acqua dura

    Filtro per l'acqua

    Pixel-Shot/shutterstock

    Che cosa significa, quindi? Nella pratica, i ricercatori hanno condotto le analisi sull’acqua della città di Guangzhou (Cina), arricchita con nano e microplastiche. Hanno notato che, dopo bollitura e raffreddamento, l’acqua formava incrostazioni di calcare (carbonato di calcio) che incapsulavano le particelle di plastica, di dimensioni abbastanza grandi da poter essere rimosse attraverso un comune filtro. 

     

    Questa semplice strategia dell’acqua bollente può “decontaminare” gli NMP dall’acqua del rubinetto domestico e ha il potenziale per alleviare in modo tutto sommato semplice e innocuo l’assunzione di NMP da parte dell’uomo attraverso il consumo di acqua. Questo approccio, specificano i ricercatori, è quindi più efficace con le acque dure che con quelle morbide, quindi contenenti meno calcio: la bollitura dell’acqua morbida rimuove solo il 25% circa delle microplastiche, mentre l’acqua dura bollente ne rimuove fino al 90%.

     

    In conclusione, i ricercatori sostengono che la bollitura tramite bollitori elettrici o fornelli a gas potrebbe essere un trattamento dell’acqua domestico “rispettoso dell’ambiente”. In questo contesto, ridurre l’assunzione di NMP da parte dell’uomo bevendo acqua bollita è un approccio fattibile che, secondo loro, vale la pena promuovere a livello mondiale.

    Microplastiche e acqua potabile: come comportarsi?

    Bicchiere d'acqua da rubinetto

    New Africa/shutterstock

    Visti questi dati è importante fare però una specifica. Occorre infatti evitare che si instauri un pericoloso circolo vizioso, ossia la promozione dell’uso dell’acqua in bottiglie di plastica che invece favorisce la formazione di nuove microplastiche. Una scorretta informazione porta molte persone a preferire l’acqua in bottiglia ritenendola “più buona, salutare e sicura” di quella del rubinetto. 

     

    Sembra che in Italia non ci si fidi dell’acqua del rubinetto, anche se è sottoposta a controlli più stringenti rispetto alle acque minerali confezionate ed è ritenuta tra le migliori d’Europa, soprattutto considerando che il 75-80% ha origine profonda. Questa “sfiducia” si riscontra nella vita reale: ogni italiano beve 208 litri di acqua in bottiglia in un anno, una scelta che costa 240 euro pro-capite e danneggia l’ambiente. Consumiamo infatti 30 milioni di bottiglie di plastica e 7 di vetro al giorno, ossia ben 13,5 miliardi di bottiglie all’anno che diventano rifiuti da gestire, secondo una ricerca presentata in occasione del Festival dell’Acqua, organizzato da Utilitalia (la Federazione delle imprese idriche, ambientali ed energetiche) in collaborazione con SMAT nel 2022. Gli studi sopra riportati, inoltre, dovrebbero incoraggiare i consumatori e le consumatrici a bere acqua proveniente dal rubinetto, al fine di limitare il più possibile la loro esposizione a queste pericolose particelle in quanto la loro presenza è senz’altro minore, e a ridurre la produzione di rifiuti plastici.

     

    Appare quindi evidente come sia fondamentale un cambio di rotta. I controlli stringenti a monte, una corretta manutenzione delle tubature di casa, l’uso di appositi filtri e sistemi di depurazione, nonché la diminuzione drastica dell’uso dell’acqua in bottiglie di plastica e – perché no? – perfino la bollitura, aiutano a rendere l’acqua potabile ancora più sicura.
    Ciò detto, entro il 2024 la Commissione Europea si propone di sviluppare una metodologia per misurare la presenza di microplastiche nell’acqua destinata al consumo umano e di  varare un atto delegato per garantire che il riutilizzo delle acque reflue trattate per l’irrigazione agricola sia sicuro. Il commissario per l’Ambiente, gli oceani e la pesca, Virginijus Sinkevičius, ha dichiarato: “Vogliamo essere sicuri che l’acqua che utilizziamo, da quella potabile a quella per l’irrigazione, soddisfi sempre i più elevati standard di sicurezza possibili. Con gli standard odierni, i cittadini possono essere certi che la loro acqua potabile sarà attentamente monitorata rispetto alla presenza di microplastiche e che qualsiasi acqua reflua riutilizzata è sicura, limita i prelievi eccessivi di acqua e aiuta a ripristinare il ciclo dell’acqua interrotto”.

     

    La riduzione dell’esposizione umana alle nano/microplastiche rappresenta una sfida per gli anni a venire. Servono allora stringenti misure globali per controllare meglio la dispersione dei materiali plastici nell’ambiente e maggiori controlli sulle microplastiche nelle acque potabili. Intanto, come consumatori, possiamo – e dobbiamo – impegnarci il più possibile per diminuire l’uso della plastica nella nostra vita quotidiana.

     

    Voi consumate abitualmente acqua del rubinetto?

     


    Immagine in evidenza di: Avocado_studio/shutterstock

     

    È nata vicino a Bologna, ma dopo l'università si è trasferita a Torino per due anni, dove ha frequentato la Scuola Holden. Adesso è tornata a casa e lavora come ghost e web writer. Non ha molta pazienza in cucina, a parte per i dolci, che adora preparare insieme alla madre: ciambelle, plumcake e torte della nonna non hanno segreti per lei. Sta imparando a tirare la sfoglia come una vera azdora (o almeno, ci prova).

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