Lotta all'agromafia

Buone pratiche per un consumatore consapevole

Redazione

Era il 1994. Fidenza, provincia di Parma. Un piccolo gruppo di famiglie non si fida e decide di impiegare il proprio tempo libero per verificare di persona la provenienza di ciò che sta mangiando. Una semplice curiosità che vent’anni dopo avrebbe contagiato migliaia di persone. Furono i primi, ispirati da un convegno a Verona, a fondare un gruppo di acquisto solidale in Italia.

Oggi la loro idea si è radicata e ha preso diverse strade, ampliata dal progresso e dalla voglia di qualità e trasparenza. E può essere considerata un paradigma del pugno di buone pratiche che è possibile attuare per combattere le infiltrazioni criminali nella filiera del cibo. La battaglia di quelle famiglie emiliane era più in generale contro le inefficienze e le disuguaglianze dell’attuale sistema economico e di consumo, un modello che può essere tranquillamente utilizzato anche nella lotta alla mafia.

Consumo consapevole


Pasti a chilometro zero

E’ il principio che guida, da ormai sette anni, il sito internet Le verdure del mio orto. Gli ideatori, che col tempo ne hanno fatto un business, ripetono alla nausea un ragionamento tanto scontato, quanto dimenticato: solo con un numero limitato di chilometri percorsi i prodotti arrivano freschi nella nostra cucina. E così, in quattro regioni italiane (Piemonte, Lombardia, Lazio e Toscana) danno la possibilità agli utenti di comporre il loro orto a distanza (si possono scegliere le dimensioni in base al prezzo), i cui prodotti vengono coltivati dalle aziende che aderiscono al progetto.

Il tutto nasce “dall’amore per la natura, e dal desiderio di trasmettere questo sentimento partendo dalle piccole cose, come da un orticello, microcosmo che racchiude in sé tutto il sapere della natura”. Fu lo scrittore statunitense Gary Paul Nabhan, nel 2001, a teorizzare per primo il chilometro zero nel libro Coming home to eat, in cui raccontava le sue avventure alla ricerca di cibi dalla provenienza circoscritta a 400 chilometri. Oggi il raggio è calato parecchio, e i seguaci di questo credo si informano scrupolosamente sull’azienda, il giorno di raccolta, il tipo di coltivazione.


La spesa consapevole

Legato al dogma precedente, ma dalle sfaccettature e dalle applicazioni sconfinate, oggi il mantra dell’acquisto consapevole è entrato nell’uso quotidiano e investe tutti i settori del commercio. In tema di lotta all’agromafia in Italia è un passaparola che ha trovato una buona codificazione nei decaloghi redatti da associazioni di categoria, movimenti e sigle a difesa del consumatore (come Concorrenza leale), e che mette in guardia l’utente da prodotti sospetti, sia delle multinazionali che legati alla criminalità.

Non esiste però, per ora, un corrispettivo made in Italy della app Usa Buycott, che in due anni ha avuto un successo oltre ogni previsione. Basta avvicinare lo smartphone al codice a barre del prodotto e visualizzare le informazioni: l’applicazione riconosce la merce, da dove arriva, qual è il suo albero genealogico.

Buycott
Buycott dà la possibilità di aderire a una serie di campagne a favore dell’ambiente, dei diritti civili, degli animali o dei diritti delle donne: in questo modo, nel momento in cui viene effettuata la scansione del codice a barre, l’applicazione suggerisce se boicottare il prodotto (boycott) o procedere nell’acquisto (buycott).

 

Il boom dei GAS: I gruppi di acquisto solidale

In sette anni sono cresciuti del 400%. Il quattrocento percento! I gruppi di acquisto solidale hanno toccato quota 2000, secondo le stime di Rete Gas, il principale coordinamento dei gruppi esistenti, che segnala un giro d’affari da 90 milioni l’anno e circa 400mila persone coinvolte stabilmente.

Un volano per la crescita di nuovi gruppi, che hanno iniziato a scambiarsi informazioni su prodotti e produttori. Ma cosa sono? Il sito di Retegas li descrive così: “Il Gruppo d’acquisto solidale si costituisce, in genere, per favorire la riflessione sui temi dell’alimentazione con prodotti biologici, l’acquisto dei prodotti stessi a prezzi accessibili e per stabilire patti fiduciari tra consumatori e produttori. Si stabilisce un canale fiduciario tra produttori e consumatori, alimentato dal comune interesse e definito da parametri condivisi. La merce termina di essere solo prodotto e diventa anche strumento di relazione tra soggetti che, oltre ai ruoli di produttori e consumatori, mettono in gioco i propri volti e le proprie storie”.

Partecipare è semplice: ci si incontra per acquistare alla fonte prodotti che verranno poi redistribuiti tra i membri del gruppo. “I gruppi – dice ancora Retegas – cercano prodotti provenienti da piccoli produttori locali per avere la possibilità di conoscerli direttamente e per ridurre l’inquinamento e lo spreco di energia derivanti dal trasporto”.

 

Visionare personalmente le aziende: la filiera si accorcia

E’ una pratica che sta prendendo piede su tutto il territorio nazionale, sulla spinta dei mercatini bio ormai capillarmente diffusi. L’utente interroga il piccolo produttore, gli chiede come e cosa coltiva, si rende conto del rispetto dell’ambiente che mette in atto e dell’onestà dell’azienda, e appena può si mette in marcia per andare a trovarlo. E’ il modo più diretto, per l’agricoltore, per mostrare la sua estraneità all’illegalità e a qualsiasi forma di agromafia, la sua adesione a principi etici basati sulla qualità e il rispetto delle leggi. Diverse fattorie bio, infine, commercializzano in loco i loro prodotti. E’ la filiera che diventa cortissima.

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