Terreno dopo l'agroforestazione

Agroforestazione: di cosa si tratta e perché fa bene all’ambiente e alla produzione agricola?

Matteo Garuti
2

     

    Il concetto di agroforestazione negli ultimi anni si è fatto strada sempre di più in ambito agronomico, per i suoi vantaggi in tema di sostenibilità e non solo. Si tratta di una modalità di coltivazione che prevede la coesistenza in uno stesso campo di piante di taglia bassa a destinazione alimentare, come i cereali, insieme ad alberi ad alto fusto. Ma come si pratica e quanto può migliorare la produzione e la salute degli ambienti agricoli? Dopo aver approfondito i vantaggi dell’agricoltura rigenerativa, ecco perché l’agroforestazione rappresenta una scelta virtuosa da considerare con attenzione.

    Agroforestazione: cos’è e quali sono le origini

    esempio di campo per l'agroforestazione

    PHILIPPE MONTIGNY/shutterstock

    Parlare di agroforestazione, termine derivato dall’inglese “agroforestry”, significa entrare in un’idea di agricoltura diversa da quella a cui siamo abituati. Questa pratica, infatti, è considerata positivamente sia dal punto di vista economico per gli agricoltori, sia per il suo ruolo importante in chiave di sostenibilità e riduzione delle emissioni, ma anche in difesa della biodiversità.

    L’agroforestazione prevede di coltivare nello stesso terreno grano, mais o altre erbacee annuali e poliennali insieme ad alberi ad alto fusto come il pioppo, un tempo tipico delle campagne. In sostanza, si vogliono avere differenti colture su uno stesso suolo, favorendo una coesistenza che aumenta la redditività del campo migliorando notevolmente l’ambiente agricolo. Gli alberi, infatti, catturano anidride carbonica e inquinanti dall’atmosfera e offrono molteplici benefici ai terreni, in termini di ricchezza di vita e sicurezza idrogeologica. In più, sono molte le specie di insetti, uccelli e piccoli mammiferi che gli alberi possono ospitare, creature importanti per l’ecosistema e funzionali anche per una crescita sana delle piante coltivate.

    Un sistema agroforestale completo, quindi, prevede la combinazione eterogenea di alberi, arbusti e colture stagionali, che possono anche essere accompagnate dall’allevamento di bestiame. In ambito naturale, un esempio di questo tipo è la savana, dove gli alberi sono distanziati tra loro e lasciano filtrare la luce per le erbe sottostanti, che nutrono gli erbivori i quali, a loro volta, sono predati da altri animali carnivori.

     

    Come è facile intuire, interpretare l’agroforestazione come una novità non è corretto. Prima dell’industrializzazione e della meccanizzazione dell’agricoltura, infatti, era comune consociare più colture, anche piantando gli alberi sui bordi dei campi per delimitare le proprietà o sostenere la produzione di legname per diversi utilizzi. Abbiamo diversi esempi di questa modalità che dalla seconda metà del Novecento è andata perdendosi, ma che in precedenza ha segnato il paesaggio rurale italiano. Se nel Nord era tipico piantare gelsi sui bordi dei campi, per riparare dal vento, produrre legno e nutrire con le foglie i bachi da seta, nel Sud spesso il grano duro si seminava negli oliveti. In Emilia e non solo, fin dai tempi antichi gli alberi di olmo, acero e altre varietà sostenevano la coltivazione di uva, creando le strutture note come “piantate” o “viti maritate”.

    Perché l’agroforestazione fa bene all’agricoltura

    L'agroforestazione fa bene all'agricoltura e ai pascoli

    William Edge/shutterstock

    Entrando nel dettaglio, i vantaggi dell’agroforestazione sono diversi e dal punto di vista agronomico continuano a essere studiate tutte le opportunità che questa tecnica può consentire. 

    Innanzitutto, come avveniva in passato, gli agricoltori possono contare su fonti di reddito differenziate, perché gli alberi periodicamente possono essere destinati alla produzione di legname oppure, in base alle specie, diventare un’ulteriore fonte di produzione alimentare, come lo sono quelli da frutto.

    Inoltre, la vicinanza con gli alberi aumenta la resa delle colture, ma una consociazione positiva può avvenire anche nelle realtà rurali meno sviluppate, dove è importante implementare e diversificare la produzione dei campi. Non a caso, sistemi di questo tipo trovano una proficua applicazione in diverse aree della fascia tropicale e subtropicale.

     

    Rispetto alla monocoltura, i sistemi agroforestali permettono di impiegare più efficientemente le radiazioni solari per la fotosintesi, l’acqua e i minerali del suolo per l’assorbimento radicale. La pratica dell’agroforestazione, inoltre, può costituire delle sinergie positive tra piante diverse evitando la competizione per le risorse. L’abbinamento tra forme e periodi di sviluppo differenti, come ad esempio il frumento e l’albero di pioppo, consente infatti un completamento virtuoso nell’ambiente agricolo. Quando i cicli vegetativi avvengono in tempi diversi, le radici si sviluppano in profondità differenti e gli alberi offrono una barriera naturale per le piante di bassa taglia, il rapporto si esprime al meglio.

    Inoltre, i pascoli arborati favoriscono il benessere e la resa produttiva degli animali, riducendone lo stress termico durante l’estate. Nuovi sistemi di questo tipo, detti silvo-pastorali, sono studiati e praticati anche in Italia, soprattutto con l’allevamento di pollame sotto la copertura di alberi da frutto e ulivi.

     

    Spostandosi sul fronte della sostenibilità, sono infine evidenti i vantaggi nello stoccaggio del carbonio e nell’assorbimento degli inquinanti, ma anche nell’offrire una casa e una fonte di cibo per tante forme di vita. Riducendo l’impatto ecologico dell’agricoltura, l’agroforestazione può quindi avere un ruolo nel contrasto ai cambiamenti climatici.

    I limiti dell’agroforestazione

    Questa modalità di impostare lo spazio agricolo, però, sconta alcuni limiti. Tra questi c’è sicuramente un aumento di lavoro e competenze dovuto alla necessità di una progettazione specifica, per evitare che le piante entrino in competizione per le risorse vitali e nei tempi di raccolta o manutenzione. Le forme dell’agroforestazione possono essere diverse, quella ritenuta migliore prevede la creazione di impianti arborei con sesti regolari, sotto i quali coltivare la specie a taglia bassa. La vecchia pratica di piantare gli alberi lungo i limiti dei campi offre vantaggi inferiori, mentre la messa a dimora di filari intervallati da ampie fasce coltivate con specie a taglia bassa rappresenta una soluzione intermedia.

     

    Un altro aspetto che può creare difficoltà è la diversa reazione ai trattamenti con prodotti agrochimici di piante che vivono e si sviluppano a piccola distanza. Occorre quindi considerare queste differenze, perché un prodotto può essere utile per il frumento ma nuocere ai pioppi. Anche per tale ragione, ad ogni modo, l’agroforestazione è ideale quando si sposa con la conduzione in biologico. In questo senso, è funzionale anche la selezione di nuove varietà resistenti che non necessitano di particolari interventi fitosanitari.

    A frenare una maggiore diffusione dell’agroforestazione è inoltre la mancanza di attrezzature idonee alla lavorazione di un ambiente agricolo diverso dal campo aperto, per il quale sono invece progettati strumenti e macchinari agricoli.

    L’agroforestazione può svilupparsi ed essere adottata su più larga scala?

    Contadini che lavorano all'agroforestazione del terreno

    henrique ferrera/shutterstock

    Al netto degli ostacoli menzionati, l’agroforestazione è un’opportunità che almeno in certe situazioni può essere conveniente, una tendenza che potrà aumentare sulla rotta di una produzione alimentare più sostenibile. La diffusione dell’agroforestazione in Europa è stata studiata dal progetto europeo Agforward, con l’obiettivo di valorizzare i sistemi agroforestali tradizionali e innovare questa pratica, che al momento copre circa il 10% delle superfici agricole europee – mentre alcune zone italiane superano la media. Tuttavia, come argomenta uno studio pubblicato su Agroforestry Systems, in Italia l’agroforestazione è ancora sottoutilizzata rispetto alle sue potenzialità – pensiamo ad esempio all’area appenninica ma non solo – soprattutto per l’idea ancora prevalente della netta separazione tra foresta e spazio agricolo. Per invertire la rotta servirà un approccio più olistico dell’agricoltura, a tutti i livelli e a partire dalla Politica agricola comunitaria, ma anche un’applicazione mirata e scientifica di questa modalità.

     


    Immagine in evidenza di: Snapshot freddy/shutterstock

     

    Matteo è nato a Bologna e vive a San Giorgio di Piano (Bo), è giornalista, sommelier e assaggiatore di olio d'oliva, ha collaborato con il Dipartimento di Scienze e Tecnologie agro-alimentari dell'Università di Bologna. Per Il Giornale del Cibo si occupa di attualità, salute, cultura e politica alimentare. Apprezza i cibi e le bevande dai gusti autentici, decisi e di carattere. A tavola ama la tradizione ma gli piace anche sperimentare: per lui in cucina non può mancare la creatività, "perché è impossibile farne a meno!"

    Lascia un commento