La tavola del Gattopardo
è tornata per una sera a Santa Margherita di Belice di Giuditta Lagonigro. Tra le varie manifestazioni che si rincorrono dalla primavera all’autunno, una in particolare ha catturato il mio interesse, mi auguro anche il vostro, facendo riemergere ricordi di lontane letture e solleticando la mia curiosità. Mi riferisco all’evento intitolato ‘Nel salotto di Tomasi di Lampedusa, fra dolci reminiscenze e sogni condivisi Alla Tavola del Gattopardo’ organizzato l’11 agosto scorso nel maestoso Palazzo Filangeri-Curtò di Santa Margherita del Belìce (AG), dall’Associazione Parco Letterario ‘il Gattopardo’, dedicata a Giuseppe Tomasi di Lampedusa e dalla locale Pro Loco. Protagonisti della serata sono alcuni piatti minuziosamente illustrati nelle pagine de Il Gattopardo da Tomasi di Lampedusa, attraverso il Principe di Salina, che raccontano la fastosa cena di benvenuto ad Angelica, insieme a altri prodotti della tradizione gastronomica locale e ragionale. Grande attrazione della serata, la Tavola degli Sposi apparecchiata con una preziosa tovaglia ricamata con la preziosa e ormai rara tecnica dello ‘sfilato siciliano’ e che accoglie con delicatezza due splendide opere d’arte culinarie. Signore e signori, ecco a voi il timballo che fu servito alla cena in onore di Angelica (nel film interpretata da Claudia Cardinale) e il trionfo di gola Il timballo è descritto così dal principe Salina: L’oro brunito dall’involucro, la fragranza di zucchero e di cannella che ne emanava non era che il preludio della sensazione di delizia che si sprigionava dall’interno, quando il coltello squarciava la crosta ne erompeva dapprima un fumo carico di aromi e si scorgevano poi fegatini di pollo, le ovettine due (uova non nate), le sfilettature di prosciutto di pollo e di tartufi nella massa untuosa, caldissima, dei maccheroni corti, cui l’estratto di carne conferiva un prezioso color camoscio In questa versione forse non incontrerebbe i nostri gusti. Per questo lo chef chiamato a riproporlo lo ha adattato al gusto contemporaneo dopo numerose prove. L’altra maestosa presenza sulla tavola degli sposi è il trionfo di gola, una vera opera d’arte di alta pasticceria. E’ un dolce a forma di cupola (il nome è già un racconto), composto con strati di pan di Spagna, pasta frolla, zuccata, crema pasticciera, bianco mangiare, crema di pistacchi, pasta reale, granelle di pistacchio, ricoperto con marzapane e riccamente decorato. Per accompagnarlo, i colorati rosoli della tradizione, anch’essi compagni di un meraviglioso viaggio indietro nel tempo che invita ad approfondire la conoscenza delle nostre radici, a sapere di più del nostro passato per meglio ragionare sul futuro. Anche dietro un timballo o un dolce c’è la storia dell’umanità. Superata la meraviglia della Tavola degli Sposi, comincia un interessantissimo tour gastronomico del giardino. La serata, ci racconta il Prof. Bonifacio, va intesa in senso sinestetico: un territorio ‘da introiettare’ attraverso l’olfatto e il gusto. Davvero tanto da guardare, annusare, assaggiare, gustare, memorizzare. Ci avviamo lungo il ‘sentiero gastronomico’ reso arduo da una fievole illuminazione che ben rende l’atmosfera dei tempi che furono. E’ quasi un girone dei golosi ma senza Cerbero, nessuna traccia dei dannati in bella mostra solo tentatrici prelibatezze dolci e salate. Ecco i formaggi. La vastedda della Valle del Belìce Dop (denominazione origine protetta), l’unico formaggio a pasta filata che si ottiene dal latte di pecora. Il latte è solo quello munto da maggio a ottobre da pecore che hanno partorito l’anno precedente. Poi c’è il pecorino nelle sue diverse stagionature, è il più antico formaggio siciliano ed è prodotto da latte intero di pecore allevate a pascolo spontaneo, il caglio è di agnello. Il pecorino primo sale è un formaggio a pasta dura prodotto nel periodo che va da ottobre a giugno con latte ovino, ha una leggera salatura e si consuma dopo dieci giorni. Si fregia della Dop quello che raggiunge una stagionatura di quattro mesi. Il pecorino semi stagionato o secondo sale è mediamente salato, si consuma dopo 45/50 giorni dalla sua produzione. Infine, per seguire un esatto ordine di assaggio, il pecorino stagionato dal caratteristico profumo pungente, vegetale, che ricorda l’erba dei pascoli e fa pregustare la leggera piccantezza che si sentirà in bocca, più decisa se i tempi della stagionatura sono più lunghi. Se grattugiato, insaporisce i piatti, è ottimo anche come formaggio da tavola magari accompagnato dalle ‘muffolette’, le fragranti e soffici pagnotte tipiche dei giorni di festa siciliani. L’interessante e istruttiva chiacchierata con il prof. Portolano dell’Università di Palermo, si allarga anche ad altri formaggi tipici siciliani che meritano di essere valorizzati, tutelati e presentati a un pubblico più vasto. Ci riferiamo al Ragusano Dop, chiamato più comunemente, cascavaddu ragusano, formaggio a pasta filata che si ottiene da latte crudo di vacca; sicuramente uno dei più antichi formaggi siciliani, dal gusto delicato ma deciso, prende il nome caciocavallo dall’usanza di sistemare le forme del formaggio a cavallo di un asse, per favorire una migliore asciugatura. Il latte utilizzato proviene da vacche che pascolano liberamente nello splendido territorio dell’altopiano degli Iblei. La maggior parte delle vacche appartiene alle razze Frisona Italiana e Bruna Italiana, molto produttive, che hanno soppiantato quasi completamente la vacca Modicana, razza molto pregiata, autoctona, rustica ma meno produttiva delle altre. Allo scopo di chiudere il cerchio della territorialità, si sta lavorando per legare il Ragusano Dop alla sola razza Modicana, promuovendo e incoraggiando il ritorno di mandrie modicane sui lussureggianti pascoli iblei. Lo stesso discorso si potrebbe fare con il caciocavallo palermitano, prodotto nei territori di Cinisi e Godrano, ricchissimi di storia. Il latte freschissimo viene filtrato in una tina di legno in cui si pone il caglio di agnello. Dopo un laborioso processo di lavorazione le forme, che mani esperte faranno diventare ovoidali, vengono sistemate in un locale aerato, in appositi contenitori dove riposeranno dai due ai sei mesi, acquisendo la classica forma di parallelepipedo. Per il Caciocavallo Palermitano si utilizza il latte proveniente dalle vacche Cinisare, razza autoctona a manto nero che rientra tra le razze italiane podoliche. Gli animali pascolano quasi completamente allo stato brado, sono resistenti e longevi. A causa però di alcuni problemi che non approfondiamo in questa sede, le vacche Cinisare rischiano di scomparire, quindi bisognerebbe impegnarsi per superare gli ostacoli emersi e continuare a produrre il Caciocavallo Palermitano con il latte delle vacche Cinisare garantendo ad allevatori e produttori le dovute tutele giuridiche ed economiche. Il nostro percorso sensoriale continua con altri piatti succulenti: la caponata, la peperonata, i pomodori secchi, la frittata con i finocchietti selvatici, un piatto con la salsiccia di maiale, cavoli, olive nere e patate, le sarde, macco con le fave, parmigiana di melanzane e la gallina ripiena In abbinamento, i vini della locale Cantina Corbera. Senza soluzione di continuità appare ai nostri occhi un meraviglioso spettacolo di dolci di tutte le forme: cannolicchi con bucce di mandorle, cannoli mignon; le siringate, ricotta zuccherata fritta, spremuta direttamente nell’olio da un sàc a poche; la pignolata, dolce composto da piccoli pezzi di pasta fritta conditi con il miele (simili agli strufoli), le sfinge, dall’arabo isfang (morbido), frittelle di farina, patate, uova, zucchero, scorzetta di limone; il freschissimo gelo di melone Che dolce fatica assaggiare tutto! Una presentazione a parte meritano le minni di virgini, dolce legato alla cittadina di Sambuca di Sicilia.. con farina, uova, latte, lievito, zuccata, crema e cioccolato. Il nome è dovuto alla forma che ricorda i seni (minni in dialetto siciliano). Il Parco Letterario, inaugurato il 29 ottobre 2001, si propone di aiutare la città di Santa Margherita del Belìce, a ritrovare la sua storia, soprattutto dopo il disastroso terremoto. Le attività costituiscono un incentivo allo sviluppo del turismo. Anche l’evento cui ho avuto il piacere e l’onore di partecipare, insieme al Presidente Nazionale della Compagnia del Cibo Sincero, Martino Ragusa rientra nelle attività di promozione del territorio. Palazzo Filangeri – Curtò rappresenta uno dei più importanti simboli della storia di anta Margherita del Belìce. Fu costruito nel XVI secolo su un antico fortilizio arabo, i vari eredi lo ampliarono fino all’ultimo progetto di Nicolò Filangeri (1800). Nel 1968 il terribile terremoto del Belice lo distrusse quasi completamente. Oggi, dopo la ristrutturazione di alcune parti è la sede del Municipio e ospita il Parco Letterario Giuseppe Tomasi di Lampedusa insieme al Museo della Memoria. Il Palazzo Filangeri Cutò è conosciuto come il palazzo del Gattopardo perchè Tomasi di Lampedusa vi ha trascorso molte estati, non a caso l’autore fa muovere i suoi personaggi all’interno delle sale di quello che cita come il palazzo di Donnafugata.Ringrazio le nostre gentili guide: Il Dottor Paolo Campo e il Prof. Giuseppe Aquilino. Bravi anche i ragazzi della compagnia teatrale di Santa Margherita di Belìce, i Gatti-Pardi, che in costume d’epoca, hanno rappresentato i personaggi de Il Gattopardo leggendo le pagine del libro in cui si descrive la cena