innovazione e tradizione in cucina

Innovare senza distruggere: la tradizione in cucina secondo Pierluigi Gallo

Redazione
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    Nuovi ritmi di vita, estremamente veloci, abbinati alla scarsa conoscenza della storia culinaria, hanno creato una sorta di epoca oscura. La recente inversione di marcia, originata dalla rinascita delle trattorie e dalla riproposizione di alcuni piatti, ha dato vita a un movimento culinario contraddistinto dalla ricerca e dalla sperimentazione, per proporre in chiave moderna piatti storici, una sorta di mix tra innovazione e tradizione in cucina per rendere accessibili sapori intensi troppo spesso ritenuti ostici da alcuni palati.

    Nel mio continuo girovagare per ristoranti, bistrot ed altri locali, mi sono imbattuto in tante proposte, alcune fantastiche altre pessime, che mi hanno portato a chiedermi quale possa essere il processo creativo da seguire per ottenere un buon risultato. L’apice delle rivisitazioni è stato raggiunto da Angelo Sabatelli con le sue orecchiette condite con un clamoroso ragù, ma recentemente sono rimasto folgorato da una straordinaria Genovese assaggiata da Giulia Restaurant, locale della capitale situato sul Lungotevere, guidato in cucina dallo chef Pierluigi Gallo. Ed è proprio a lui che ho chiesto cosa significa innovare la tradizione e qual è la strada migliore da percorrere.

    Tradizione e innovazione in cucina: le moderne interpretazioni

    Campano di nascita, abruzzese d’adozione, Pierluigi Gallo ha un legame forte, quasi viscerale, con la tradizione, grazie agli anni trascorsi nella trattoria di famiglia, tra sapori intensi e ritmi massacranti. La sua rivisitazione della genovese, la sua capacità di rendere moderno, equilibrato ed elegante questo piatto della tradizione, ha fatto nascere in me la voglia di confrontarmi con lui per capire come si arriva ad una proposta di questo tipo, quali conoscenza sono necessarie quante prove consentono di giungere ad un risultato di questo tipo.

    L’importanza della conoscenza

    Un sapore intenso e delicato al tempo stesso, la setosa consistenza della crema di cipolle, l’incredibile morbidezza della carne, la perfetta cottura della pasta, la salsa di yogurt a donare una parte acida che contrasta in maniera impeccabile gli altri elementi del piatto: la Genovese di Pierluigi Gallo riesce a proporre in chiave moderna ed elegante un piatto icona delle lunghe, talvolta lunghissime cotture, con le conseguenti difficoltà nella fase digestiva. Ciò però non accade con questa rivisitazione, ideata perché “ho un forte legame con la tradizione, nato grazie al lavoro nel ristorante di famiglia ed al fatto che in casa cucinavano solo mia nonna e la nonna di mia moglie”. Secondo lo chef è possibile rivisitare la tradizione “solo se la si migliora, altrimenti è inutile proporre questo tipo di cucina. Nella rivisitazione non può assolutamente mancare il ricordo, sensoriale e di memoria, ma anche olfattivo, del piatto originale. La nuova proposta deve ricordare i sapori che si provavano in passato”.

    genovese pierluigi gallo

    Foto di Luca Sessa

    Il processo creativo dell’innovazione

    Il suo processo creativo, in particolare per quel che concerne l’ideazione dei primi, è piuttosto rapido: “procedo a intuito, penso a un piatto, lo realizzo e spesso poi occorre solo mettere a punto alcuni dettagli, come il bilanciamento delle salse, per trovare il perfetto equilibrio”. Nella Genovese ad esempio, per non far prevalere eccessivamente il sapore del parmigiano nella fase di mantecatura, ha utilizzato del brodo che conteneva poco formaggio, e solo successivamente ha aggiunto ancora un po’ di parmigiano. Tradizione non vuol dire solo rivisitare un piatto, ma anche usare un prodotto tipico in chiave moderna, come avvenuto nel suo piatto con il baccalà e la ventricina: “Tre anni fa agli Ulivi (ristorante nel quale ha lavorato) feci un baccalà con paprica e un’aria di mozzarella, ma era una proposta sbagliata per quel tipo di contesto. Da quel vecchio partito sono però ripartito per creare una combinazione particolare: ho pensato ai prodotti che contengono paprica o peperone e mi è venuta in mente la ventricina; ho quindi voluto inserire un prodotto tipico, della tradizione, per realizzare un piatto moderno”.

    Studiare la cucina regionale

    “Negli ultimi anni, da quando sono diventato padre, non riesco a girare molto alla ricerca di ristoranti da scoprire, ma quando ho provato qualcosa di nuovo ho capito che fondamentalmente che a tanti mancano le basi”. Secondo lo chef Gallo un corso di cucina può servire per apprendere le tecniche, ma a suo avviso occorre dedicare un mese di lezioni o un intero modulo formativo alle cucine regionali. “Se non sai fare un ragù, una fettina panata, una polpetta, se non sai ricreare i piatti della cosiddetta cucina della nonna, se qui a Roma non sai fare la trippa o la coda, non puoi provare a rivisitare la tradizione”. Eseguire in modo corretto queste ricette è un punto fondamentale per poter rivisitare in modo corretto la tradizione. I ragazzi di oggi non la conoscono, “perché partono troppo avanti, convinti di sapere già tutto”, ma dopo i corsi professionali probabilmente dovrebbero ‘sudare’ un paio di anni in trattoria, veri e propri luoghi di battaglia, “dove ti insegnano a gestire 300 coperti, a fare 60 carbonare quasi in contemporanea, in 5 minuti, dove impari a pulire i fegatini e a cucinare la trippa”.

    pierluigi gallo piatti

    Foto di Luca Sessa

    La necessità della gavetta

    “Oggi dopo i corsi si passa subito in ristoranti stellati o gourmet, e trovo sia sbagliato: sono partito in cucina con mio padre, che ad oggi fa ancora 300 coperti al giorno, 200 fritture a sera, 100 arrosti. Ricordo i sapori di quella cucina, ho fatto tanta gavetta”. Bruciare le tappe è controproducente, perché probabilmente ogni 100 ragazzi c’è 1 solo fenomeno, e tutti gli altri corrono il rischio di rovinarsi subito. “Vedo stagisti e giovani che sanno tagliare alla perfezione le verdure, sfilettare un pesce, chiudere i tortellini, ma non sanno preparare un buon ragù; quando ho chiesto loro di preparare una pasta per la brigata il risultato è stato terribile”. Pierluigi ha ‘costretto’ alcuni ragazzi passati nella sua cucina ad andare a lavorare in trattoria, perché a suo avviso solo dopo quel passaggio potevano poi approcciare un certo tipo di ristoranti di alto livello. “Bisogna saper trattare al meglio le materie prime, per sfruttare appieno le possibilità date di questo periodo storico: tecniche, strumentazioni e tecnologie moderne per fare piatti più leggeri e puliti, ma con gli stessi sapori del passato”.

    Nella cucina dello chef Gallo sono presenti i sapori intensi della tradizione ma con la leggerezza dovuta a un certo tipo di lavorazione, a dir poco meticolosa. Unita naturalmente alla consapevolezza, alla voglia di lavorare sul ricordo, per proporre il gusto del passato in chiave moderna, ed è questo quindi il principale consiglio per chi vuole cimentarsi con una rivisitazione personale della tradizione: partire da una profonda conoscenza per trasformare i piatti in maniera consapevole.

    Immagine in evidenza: Facebook.com/pg/giuliarestaurantroma

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