Montebore: da formaggio quasi scomparso a Presidio Slow Food

Roberto Caravaggi
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    Si chiama Montebore ed è un formaggio unico nel suo genere. Inconfondibile già nel modo di presentarsi, con la sua caratteristica forma a torta nuziale o “a castellino”, è una specialità piemontese dalle origini tanto antiche quanto leggendarie. Tuttavia, nonostante la fama,, nel secolo scorso ha rischiato di perdersi… Fino al riscatto, che negli ultimi anni gli ha restituito la dimensione di eccellenza casearia italiana, nobilitata dal Presidio Slow Food e inclusa nel registro PAT (Prodotti Agroalimentari Tradizionali) del MIPAAF. Curiosi di sapere di più su storia, produzione e caratteristiche del formaggio Montebore?

    Montebore, un’antica storia tra nobiltà e leggenda 

    Ci sono varie leggende ed episodi storici legati al Montebore. A partire da quello secondo cui, nel 1489, fu l’unico formaggio servito al banchetto delle nozze tra Isabella d’Aragona e il Duca di Milano Gian Galeazzo Sforza, celebrate a Tortona (provincia di Alessandria). C’è addirittura chi ipotizza che la particolare forma a torta nuziale sia legata al genio di Leonardo Da Vinci, che di quello sfarzoso matrimonio fu cerimoniere. La fama del Montebore, tuttavia, era già consolidata da tempo e se ne trova traccia in documenti che riportano addirittura al XII secolo, nei quali si racconta di un ricco cittadino tortonese che ne inviò cinquanta forme a un alto prelato per favorire la promozione del fratello prete.

    formaggio montebore

    Foto di Roberto Caravaggi

    Ma in epoca più recente, la sua produzione ha però conosciuto una battuta d’arresto che ha rischiato di causarne l’estinzione. Negli anni cinquanta del secolo scorso, infatti, dopo la guerra, molti contadini e allevatori abbandonarono le valli e la vita di campagna e di questo formaggio si persero gradualmente le tracce. Fino al 1997, quando è stato avviato un progetto di filiera, che ha coinvolto anche la Facoltà di Agraria dell’Università di Torino e che ha portato a rintracciare le anziane donne depositarie della tradizionale tecnica di produzione. Nel 1999 poi, grazie in particolare a due giovani produttori locali che in seguito hanno dato vita alla Cooperativa Agricola Valle Nostra, il Montebore è stato presentato al salone internazionale Cheese. L’originalità della sua forma e le sue caratteristiche hanno conquistato critica e pubblico, contribuendone al definitivo rilancio, culminato nel 2001, con la definizione di un disciplinare di produzione e nell’istituzione di un Consorzio di tutela.

    Le caratteristiche del Montebore, un formaggio unico

    Il Montebore, come detto, si presenta con un’originale forma, che ricorda sia una torta nuziale che un piccolo castello. Si tratta, di fatto, di tre robiole di diametro diverso sovrapposte una all’altra: la più grande alla base, quella più piccola in cima. Oltre alla leggenda legata a Da Vinci, pare che sia stato così concepito proprio per rendere in qualche modo omaggio al castello di Folchetto Malaspina, detto “il castellino”, di cui oggi a Montebore, frazione del comune di Dernice (provincia di Alessandria), è rimasta traccia in un rudere.

    montebore

    Foto di Roberto Caravaggi

    Il Montebore è prodotto a latte crudo, misto vacca e pecora: il disciplinare prevede il 75% di latte vaccino e il restante 25% ovino, ammettendo anche l’eventuale presenza fino al 5% di latte caprino. Latte che deve provenire esclusivamente da razze autoctone e allevate al pascolo nel territorio stesso di produzione. Ciò si traduce in un formaggio che si caratterizza per un retrogusto erbaceo più o meno marcato a seconda del grado di stagionatura. Nelle forme più giovani, dalla crosta bianca, liscia e umida e la pasta morbida, di primo impatto prevale un sentore lattiginoso, mentre in quelle più mature la crosta diventa via via più rugosa, col colore che vira verso il giallo paglierino e la pasta che si fa compatta e friabile. Qui il gusto si fa più complesso, con un’intensità aromatica in cui emerge una piccantezza capace di accentuare il sapore selvatico delle erbe di campo.

    Montebore: tecnica di produzione e stagionatura

    Come detto, il Montebore è un formaggio dalla storia quasi millenaria, che porta quindi con sé una tradizione casearia tanto antica quanto consolidata nel tempo. Qualcosa che si è rischiato di perdere definitivamente e che oggi è stato invece codificato nel disciplinare del consorzio. Oltre alle caratteristiche e all’alimentazione degli animali da cui deve provenire la materia prima di base, il latte, è stato messo nero su bianco anche il metodo di produzione. La lavorazione avviene dapprima portando il latte alla temperatura di 36 °C, poi si rompe la cagliata per mezzo di un cucchiaio di legno e infine la si pone nelle tipiche formelle, dove viene rivoltata e salata. Trascorse dieci ore, le forme si sono in parte compattate e asciugate e vengono quindi poste una sopra l’altra, con diametro crescente, in quella che è la tipica struttura del Montebore. Così avviene la stagionatura, che può durare da venti giorni a quattro mesi, fino anche a dodici mesi.

    Paolo Bernardotti Studio/shutterstock.com

    Zona di produzione: il formaggio fiore all’occhiello dei colli tortonesi

    Un prodotto che porta il nome di una località non può che essere espressione del territorio da cui ha origine. Montebore è, infatti, il nome di una frazione del comune di Dernice. L’area in cui sorge è quella dei colli tortonesi, a cavallo tra le Valli Curone, Grue e Borbera, nell’estremità sud della provincia di Alessandria. In questa terra di confine, con l’Oltrepo pavese da una parte e la Liguria dall’altra, agricoltura e allevamento hanno sempre rappresentato la principale fonte di sostentamento. Da questa vocazione rurale ha origine una specialità come il Montebore: i prati che si aprono tra le valli offrono spazi dove gli animali hanno facilità nel pascolare liberi e alimentarsi con quelle erbe spontanee fondamentali nel conferire al loro latte un bouquet aromatico, che si ritrova puntualmente poi nel formaggio che ne deriva.

    Oggi il Montebore è un fiore all’occhiello dell’intera Unione Montana Valli Curone-Grue-Ossona e della confinante Unione Montana Valli Borbera e Spinti: è nei comuni di quest’area che si concentra la sua produzione.

    Il Montebore in cucina

    Come accennato in precedenza, a seconda del periodo di stagionatura, il Montebore presenta caratteristiche gustative molto diverse. Ciò lo rende, di conseguenza, versatile in cucina. A partire dai primi piatti: se le forme più mature si prestano a essere grattugiate su una pasta o in fonduta, quelle semi stagionate danno il meglio di sé in mantecazione, come nel risotto con pere spadellate, rosmarino e granella di nocciole. Un’altra originale ricetta è quella dei cannelloni ripieni di spinaci e besciamella a base di Montebore, col formaggio che va a dare una nota sapida all’interno di una preparazione prevalentemente burrosa. Lasciato sciogliere su dei fagottini di pasta sfoglia ripieni di purè di patate al tartufo diventa, invece, un trionfo di sapori piemontesi. Come non provarlo poi tagliato a tocchetti e aggiunto nella fase finale di amalgama della polenta? Ma il Montebore è anche da gustare anche in purezza, dove se ne apprezza al meglio la lavorazione artigianale, che gli conferisce quella pastosità che fa la differenza rispetto a qualsiasi formaggio industriale.

    Vi abbiamo accompagnato con piacere alla scoperta del formaggio Montebore che merita di essere considerato a pieno titolo tra le eccellenze casearie italiane.

     

    Voi lo conoscevate già? Avete avuto occasione di assaggiarlo?


    Immagine in evidenza di: Paolo Bernardotti Studio/shutterstock.com

    La prima passione di Roberto è la scrittura, la seconda è la buona cucina. Dopo anni da collaboratore di testate giornalistiche locali, nella redazione de Il Giornale del Cibo ha trovato il suo habitat ideale. Itinerari enogastronomici ed eccellenze alimentari, con qualche incursione nel mondo della birra artigianale, sono le aree tematiche con cui cerca di trasmettere "emozioni di gusto". Come quella di assaporare una piadina romagnola generosamente farcita di squacquerone e rucola, o una focaccia di Recco fatta a regola d’arte.

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