Donne contro caporalato

Verso una filiera legale, equa e dignitosa: nasce il progetto “Donne braccianti contro il caporalato”

Angela Caporale
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    “Ho iniziato a lavorare nei campi nel 1990 e da subito mi sono resa conto che c’era qualcosa che non andava. Orari non rispettati, velate minacce o avances… Io non ero una ragazzina, avevo 26 anni, e da subito ho sentito che dovevo fare qualcosa.” Comincia così la storia di Lucia Pompigna, tarantina, sfruttata e vittima di caporalato per quasi 30 anni e oggi parte del progetto “Donne braccianti contro il caporalato”, un’iniziativa dell’associazione No Cap di Yvan Sagnet per aiutare concretamente le donne braccianti a trovare un lavoro in agricoltura che rispettasse i loro diritti. Lo sfruttamento, infatti, non riguarda soltanto i braccianti uomini o di origine straniera, ma, soprattutto in alcune zone d’Italia e per certi tipi di colture, è un fenomeno femminile. La storia di Lucia, che abbiamo intervistato, ne è un esempio.

    Sfruttamento raccolta

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    Donne contro il caporalato, la storia della battaglia di Lucia Pompigna

    Lucia Pompigna vive a San Marzano, in provincia di Taranto in Puglia, una zona dove la maggior parte della manodopera è divisa tra il settore metallurgico e l’agricoltura. Una divisione netta, anche di genere. “In agricoltura siamo rimaste noi donne, spesso sin da giovanissime e senza possibilità di collocarsi in altri settori. Il lavoro nei campi è, spesso, l’unica opportunità che ha una ragazza che vuole o ha bisogno di lavorare” ci racconta Lucia, che aggiunge: “ciò ci espone a maggiori rischi. Non soltanto le paghe misere o il mancato rispetto dei contratti di lavoro, ma anche le avances di caporali e imprenditori agricoli.”

    È una storia, quella dello sfruttamento delle donne in agricoltura, che Lucia ha visto accadere con i propri occhi più e più volte a sé e alle proprie compagne. Mi racconta di battute a sfondo sessuale rivolte dai datori di lavoro alle ragazze, di mancato rispetto degli impegni presi, della presenza costante di mediatori – i caporali, spesso anche donne – che gestiscono i turni di lavoro e gli spostamenti, di vere e proprie violenze nascoste sotto al tappeto. “Sono poche le ragazze che riescono ad alzare la testa, per la maggior parte di loro il bisogno di lavorare è troppo grande e questo è l’unico modo che hanno. Ed è per questo che le donne diventano soggetti particolarmente fragili ed esposti ai ricatti dello sfruttamento.”

    Braccianti donne

    branislavpudar/shutterstock.com

    Lucia è, però, una di quelle che sin da subito ha agito per sé e per le altre affinché le forme di sfruttamento venissero smascherate. Un lungo percorso di attivismo sindacale, interviste e numerose denunce le hanno permesso di raccontare quanto accadeva nei campi in Puglia. Che si tratti della raccolta dei pomodori, delle arance o dell’uva, le modalità di reclutamento si ripetono sempre uguali: “sono loro a decidere giorno per giorno cosa fare, dove, con chi a che condizioni. Mi sentivo come un attrezzo, che il caporale metteva dove serviva.”

    Lucia Pompigna: “Mi sentivo un attrezzo, ma sono una persona e ho una dignità”

    Tra il 2015 e il 2017 qualcosa per Lucia, però, è cambiato. “Dopo denunce, minacce, mozioni sindacali e molte parole” racconta ancora, “mi sono accorta che c’era finalmente una legge importante sulla carta (la legge 199/2016 c.d. ‘legge contro il caporalato’, ndr) ma senza dei cambiamenti effettivi. Ho deciso allora di smettere quando mi sono resa conto che i pulmini che eravamo costrette a utilizzare per percorrere ogni giorno gli oltre 100 km che ci separavano dai campi viaggiavano senza assicurazione e senza freni. Mi sono detta: quanto rischio ogni giorno? Quanto vale la mia vita?”

     

    Una questione di dignità umana, di sicurezza e di rispetto dei diritti fondamentale di ciascuno hanno portato Lucia Pompigna, dunque, lontana dai campi, ma non dall’attivismo e dalla necessità di realizzare qualcosa di concreto per tutte le donne che vivevano e vivono la sua stessa situazione, ma senza riuscire a uscirne. “Ho provato il tutto per tutto tra denunce pubbliche, giornali, Parlamento, televisione, spesso da sola perché tutte e tutti hanno paura di perdere il lavoro. L’ho fatto perché era fondamentale per me innescare un cambiamento culturale. È ancora troppo raro che le braccianti abbiano la consapevolezza di dire: io sono una persona, una donna e devo essere rispettata.”

    L’incontro con Yvan Sagnet e “Donne braccianti contro il caporalato”

    Lucia Pompigna ha incontrato Yvan Sagnet, ex sindacalista e leader di una delle più importanti proteste contro il caporalato nel 2015 a Nardò, sempre in Puglia. Con l’associazione NoCap, Sagnet si è battuto per il riconoscimento dei diritti dei braccianti e delle braccianti e, più recentemente, ha sviluppato un primo esperimento di filiera etica in agricoltura in collaborazione con il gruppo Megamark e la rete Perlaterra. “All’inizio dell’anno” spiega Lucia, “abbiamo ripreso i contatti con l’obiettivo di realizzare qualcosa di concreto che dimostrasse anche alle donne braccianti che si può percorrere una strada alternativa.”

    Donne contro caporalato incontro

    interno.gov.it

    Così viene avviato il progetto “Donne braccianti contro il caporalato” che ha permesso l’assunzione di diverse decine di braccianti in Sicilia, in Basilicata e in Puglia con contratto dignitoso, che prevede 6 ore e mezza di lavoro al giorno e un compenso di 70 euro lordi, conformemente a quanto prevede la legge. Inoltre, sono garantiti anche alloggio e trasporti gratuiti e liberi dall’influenza del caporalato. “C’era e c’è bisogno di offrire alternative di questo tipo, concrete e pragmatiche, alle braccianti perché, finché ogni giorno dovranno ringraziare un caporale per poter lavorare, è difficile immaginare un vero cambiamento.”

    Quelli di “Donne braccianti contro il caporalato” sono i primi passi di questo cambiamento che, secondo Pompigna, dev’essere anche culturale e coinvolgere tutti gli attori della filiera alimentare: dal bracciante al consumatore. “Il nostro sforzo” conclude Lucia, “è dire che siamo tutti uguali, abbiamo tutti e tutte lo stesso problema, abbiamo bisogno di lavorare e possiamo farlo insieme rispettando i nostri diritti e la nostra dignità”.

    Passaporto friulano e cuore bolognese, Angela vive a Udine dove lavora come giornalista freelance. Per Il Giornale del Cibo scrive di attualità, sociale e food innovation. Il suo piatto preferito sono i tortelloni burro, salvia e una sana spolverata di parmigiano: comfort food per eccellenza, ha imparato a fare la sfoglia per poterli mangiare e condividere ogni volta che ne sente il bisogno.

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