Imparare a fare la pizza in carcere per immaginare il futuro
L’arte della pizza come strumento di riscatto, di integrazione e di futuro. Nasce con questo ambizioso obiettivo la collaborazione tra il pizzaiolo Ciro Di Maio, titolare della pizzeria “San Ciro” di Brescia, Luisa Ravagnani, garante dei diritti delle persone private della libertà personale del Comune di Brescia e Francesca Paola Lucrezi, direttrice del carcere Canton Morbello della città. Dieci detenuti hanno seguito, per due mesi, il primo percorso di formazione dedicato alla preparazione della pizza tenuto da Ciro che abbiamo incontrato per farci raccontare com’è andata.
La pizza come speranza per il futuro: la storia di Ciro che insegna ai detenuti
Ciro Di Maio è un giovane pizzaiolo di origine napoletana che oggi ha 33 anni e vive e lavora a Brescia dove si è trasferito nel 2015. La sua pizzeria funziona, il lavoro non manca, ma Ciro ha fortemente voluto realizzare qualcosa per gli altri. “Tutto nasce dalla mia esperienza: noi abitavamo nelle case popolari, abbiamo toccato con mano le difficoltà di tanti ragazzi che non hanno avuto la possibilità di studiare: c’è chi si mette a lavorare e chi invece si perde. Abbiamo voluto entrare nelle carceri per mostrare una possibile strada” racconta “Ho visto molti amici finire male. Per questo ho deciso di impegnarmi in prima persona per aiutarli.”
Un progetto, dunque, che parte dall’esperienza di Ciro, da ciò che ha visto attorno a sé crescendo. Lui stesso ha lasciato gli studi all’Istituto alberghiero, ma ci racconta che per lui il lavoro è stato fondamentale, come del resto lo è anche la famiglia. Per lui è un vero e proprio valore: tant’è che “San Ciro”, la sua pizzeria, prende il nome dai nonni, mentre per questo percorso si è fatto ispirare anche da suo padre si è dedicato a lungo al volontariato per aiutare i giovani ad uscire dalle tossicodipendenze.
“Oggi penso di essere estremamente fortunato” commenta Ciro “per questo penso sia giusto donare a chi è meno fortunato la possibilità di trovarsi un lavoro, una speranza per quanto uscirà dal carcere. In questo momento storico, tra l’altro, c’è una richiesta sempre maggiore di pizzaioli e di persone che si vogliano impegnare nell’ambiente della ristorazione. Abbiamo pensato di proporre un corso di questo tipo proprio per favorire anche un’opportunità concreta di assunzione alle persone che seguiranno il corso”.
Dalla formazione al lavoro, come si è svolto il progetto
Il percorso formativo si è svolto da marzo a maggio del 2023. Durante questi due mesi, un gruppo di 10 detenuti ha seguito due lezioni alla settimana dedicate al mondo della pizza. Da una parte teorica dedicata alle farine, alle lievitazioni e alle tecniche dell’impasto perfetto, a una serie di lezioni pratiche con le strutture del carcere, come il forno elettrico per la cottura.
I partecipanti sono persone accusate di reati minori che stanno trascorrendo un periodo breve di detenzione in carcere e che, presto, potranno uscire. “Il reinserimento non è facile” commenta Ciro “per questo il progetto è ambizioso, ma vogliamo essere un punto di riferimento per queste persone quando usciranno. Vogliamo essere un amico da chiamare per ripartire.”
“Imparare un mestiere in carcere rappresenta una concreta possibilità di utilizzare il tempo della pena per prepararsi a un futuro lontano dalle scelte devianti che in precedenza hanno condotto al carcere” ha aggiunto Luisa Ravagnani. “L’impegno di Ciro in questo progetto dimostra che la collettività esterna è in grado di abbandonare pregiudizi e stigma per trasformarsi in elemento fondamentale del percorso di reinserimento. Non resta che sperare che l’entusiasmo di Ciro contagi anche altri imprenditori che, come lui, sappiano credere nelle seconde possibilità.”
Le fa eco la direttrice Lucrezi: “L’attività professionalizzante, oltre a conferire competenze, è particolarmente “appetibile” per la spendibilità nel mondo del lavoro. È senz’altro auspicabile la ripetizione dell’attività all’interno del carcere e sarebbe un importante risultato se altri pizzaioli accettassero la proposta di Ciro di consorziati in tal senso: fare sistema garantisce efficacia e tenuta nei risultati”.
Dopo questa prima edizione, Ciro e i suoi colleghi sono già al lavoro per riprendere il percorso in autunno. “Ciò che mi ha colpito di questi mesi è stato il contatto con i detenuti: il corso di formazione era anche un momento di svago: il giorno in cui noi entravamo in carcere era anche un’opportunità per tutti di parlare d’altro. Non ero mai entrato dentro un carcere, porterò sempre con me la consapevolezza di quanto è significativo e bello essere liberi e tutte quelle piccole cose quotidiane che diamo per scontate. A volte non le apprezziamo davvero, mentre ho incontrato persone profondamente riconoscenti e ciò ha formato anche me.”
La speranza è che il cibo possa essere uno strumento di crescita, come lo è per il gruppo di ragazzi di Cotti in Fragranza, il laboratorio e bistrot dedicato ai dolci curato dai ragazzi dell’Istituto Penale Minorile Malaspina di Palermo, o per quelli del ristorante Brigata Pratello, il ristorante nato nel carcere omonimo di Bologna. “Spero che possano cambiare il loro destino e sapere che non è scritto: certo, ci vuole tanta volontà, ma anche la ricetta per un’ottima pizza può fare comodo!”.
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