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Riconoscere il cibo “buono, pulito e giusto”: il progetto delle etichette narranti di Slow Food

Alessia Rossi
2 minuti

     

    Il tema delle etichette alimentari è quanto mai caldo, spalancando le porte a una quantità di posizioni, controversie e dibattiti. In questi anni, sono stati diversi i tentativi avanzati da Istituzioni, Università, aziende e start up per trovare nuove forme di etichettatura dei prodotti alimentari che tengano conto di altri aspetti oltre all’analisi chimico-fisica degli alimenti, come l’effettiva salubrità e la sostenibilità. Dalla discussa etichetta a semaforo francese alla NutrInform Battery sviluppata dal Ministero dello Sviluppo Economico italiano, dai primi tentativi di climate labeling fino all’ultima proposta italiana chiamata Positive Food, che punta a “promuovere un approccio olistico e multidisciplinare alla sostenibilità alimentare”: sono solo alcune tra le possibilità comparse recentemente. A queste, già da qualche anno si è aggiunta anche l’etichetta narrante di Slow Food, una contro-etichetta che integra quella obbligatoria per legge. Per l’associazione, “la qualità di un prodotto alimentare è innanzi tutto una narrazione”, per questo c’è bisogno di un’etichetta che restituisca al consumatore il reale valore del cibo e della sua produzione, per un acquisto più consapevole. 

    Vediamo insieme di cosa si tratta e cosa prevede esattamente questo tipo di etichetta!

    Restituire il valore della qualità di un prodotto alimentare

    Ammettiamolo: leggere le etichette alimentari, districandosi tra sigle, simboli, numeri e scritte in piccolo, è tutt’altro che semplice. Per non parlare dei claim spesso mistificanti che accompagnano i prodotti, come i falsi appellativi al biologico, oppure quelli che richiamano a vaghi metodi di produzione tradizionale, o ancora delle generiche indicazioni ambientali come “rispettoso dell’ambiente”, “naturale”, “a impatto climatico zero”, senza però essere supportate da prove concrete. Acquistare consapevolmente, sapendo cosa si nasconde dietro un prodotto alimentare, oltre all’aspetto nutrizionale, non è così immediato o scontato. Per questo, da anni Slow Food promuove un nuovo tipo di etichettatura, apposta accanto a quella prevista obbligatoriamente dalla legge, che fornisce informazioni sui produttori, sulle varietà vegetali e sui territori dove sono coltivate, sulle razze animali allevate, sulle tecniche di coltivazione, di allevamento e di lavorazione, sul benessere animale, e così via. L’obiettivo è restituire tutta la complessità che sottende il processo produttivo di un dato alimento, dal campo fino alla tavola, e il suo reale valore.

    etichetta narrante cos'è

    Tijana Simic/shutterstock.com

    Secondo Slow Food, infatti, la qualità di un prodotto non è data solo dal puro valore nutrizionale, ma anche dall’origine, dalla storia, dalla tecnica di trasformazione, e comprende questi aspetti:

    • Buono. Con questo termine, Slow Food indica la bontà organolettica, che deriva dalla scelta di materie prime di qualità, da metodi produttivi non troppo invasivi che mantengano la naturalità dei prodotti e, quindi, dalla competenza di chi produce
    • Pulito. Il cibo non deve essere buono solo per noi, ma anche per il pianeta: con “pulito” si intende quindi il rispetto dell’ambiente, che si ottiene grazie all’impiego di pratiche agricole e zootecniche, di trasformazione, di commercializzazione e di consumo il più possibile sostenibili. Tutti i passaggi della filiera agroalimentare – consumo incluso – dovrebbero, infatti, salvaguardare gli ecosistemi e la biodiversità, e non danneggiarla.
    • Giusto. Dietro a ogni prodotto alimentare c’è qualcuno che lo produce: per questo, è fondamentale che ciò che acquistiamo sia prodotto senza sfruttamento, diretto o indiretto, di chi lavora, e che siano previsti paghe giuste ed eque, prezzi di vendita remunerativi ma non irragionevoli, rispetto verso le diversità culturali.

    Cos’è l’etichetta narrante di Slow Food e a cosa serve?

    Come riporta Slow Food, il loro obiettivo è di promuovere una comunicazione trasparente per quanto riguarda le etichette dei prodotti alimentari affinché i consumatori possano fare scelte di acquisto consapevoli, una volta informati sulla qualità e salubrità degli alimenti che consumano e sulla tracciabilità dei prodotti

    Nasce così l’etichetta narrante che – è bene specificare – non si sostituisce all’etichetta legale, ma l’accompagna e la completa mediante l’applicazione sulle confezioni di ulteriori informazioni. Si tratta di una sorta di approfondimento che può riguardare aspetti diversi, come le razze animali e il loro benessere, le diverse tecniche di coltivazione, la lavorazione dei trasformati e i territori di provenienza, le modalità di conservazione e consumo, e così via. Nel caso in cui sul packaging del prodotto non ci sia spazio sufficiente per inserire l’etichetta narrante, si può inserire un QR code che rimanda a una pagina del sito con tutte le informazioni necessarie.

    Etichetta narrante: alcuni esempi

    Ma come si compone un’etichetta narrante? A seconda del prodotto in questione – formaggio, olio, ortaggio, agrume, legume e così via – le sezioni informative possono variare, per raccontarlo nel modo più completo possibile. In generale, però, c’è una parte in comune a tutte le tipologie di alimenti, contenente alcuni punti dedicati a raccontare il “territorio”. Ad esempio, sono riportate la zona di produzione e gli aspetti pedo-climatici, che contribuiscono a rendere unico quel prodotto conferendogli caratteristiche organolettiche identitarie. Non solo, l’etichetta si conclude con i “consigli d’uso” che approfondiscono le modalità di conservazione ed eventuali impieghi e abbinamenti. 

    Poi, se si tratta di prodotti “della terra”, c’è sempre una parte che riguarda la coltivazione, in cui vanno riportati anche aspetti tecnici come la tipologia di trattamenti somministrata, le modalità di diserbo e di irrigazione, in modo tale che il consumatore sia informato, o ancora le caratteristiche della varietà e dell’ecotipo utilizzato, magari illustrando alcuni elementi rilevanti della storia e di cosa rappresenta quel dato alimento per il territorio. Se i prodotti sono trasformati, viene riportata anche la descrizione del processo di trasformazione e degli ingredienti eventualmente aggiunti. 

    Invece, nel caso in cui siano derivati da una particolare razza animale, di fondamentale importanza è la sezione relativa all’animale stesso, che deve fornire indicazioni sul tipo e sulla modalità di allevamento, sulla composizione della razione alimentare, specificando se si somministrano mangimi o alimenti semplici (e in che percentuale), sulle caratteristiche dei ricoveri, sull’età e peso alla macellazione e sui trattamenti somministrati e molto altro. Allo stesso modo, le etichette dei formaggi raccontano le razze, le tipologie di allevamento e di alimentazione praticate (se i foraggi e i mangimi sono prodotti dall’azienda stessa o acquistati certificati OGM Free), la superficie di pascolo, l’effettivo benessere animale garantito nell’allevamento, la tecnica di lavorazione e quella di stagionatura.

    Per quanto riguarda invece i vini, le etichette narranti mettono a fuoco aspetti che nessun’altra etichettatura rileva, come i coadiuvanti tecnologici impiegati, i dettagli sulla coltivazione del vigneto e sulla lavorazione in cantina per un quadro completo.

    Dare voce ai produttori

    etichetta narrante slow food a cosa serve

    Akaberka/shutterstock.com

    Un aspetto senz’altro interessante è che ciò che viene riportato in etichetta è rilasciato dal produttore stesso, a patto di essere documentabile e veritiero. Da una parte, quindi, l’intento è di dare voce a chi quel prodotto lo conosce bene, dall’altra però non bisogna trarre in inganno il consumatore: in caso di controllo, quindi, le informazioni riportate devono essere dimostrabili, proprio come accade per l’etichetta legale. Chiarezza e affidabilità sono quindi le parole d’ordine di questa iniziativa.

    Insomma, l’etichetta narrante si propone come uno strumento in più, in supporto sia dei produttori che dei consumatori. I primi hanno dunque la possibilità – e la responsabilità – di raccontare come quel prodotto viene realizzato e tutto il buono che c’è dietro, i secondi invece possono conoscere, con un linguaggio comprensibile anche ai non addetti ai lavori, tutte le informazioni riguardanti il processo produttivo, che il produttore è in grado di dimostrare. Non solo: alcuni produttori, grazie alla tecnologia blockchain, hanno sviluppato una versione digitale dell’etichetta narrante che propone anche video, in cui è possibile vedere il prodotto in campo, la raccolta o la trasformazione.

    Cosa ne pensate di questa soluzione? Avete mai visto dei prodotti alimentari che riportano l’etichetta narrante?

     

    Fonti:

    slowfood.it

     

    Immagine in evidenza di: NIKS ADS/shutterstock.com

     

     

    È nata vicino a Bologna, ma dopo l'università si è trasferita a Torino per due anni, dove ha frequentato la Scuola Holden. Adesso è tornata a casa e lavora come ghost e web writer. Non ha molta pazienza in cucina, a parte per i dolci, che adora preparare insieme alla madre: ciambelle, plumcake e torte della nonna non hanno segreti per lei. Sta imparando a tirare la sfoglia come una vera azdora (o almeno, ci prova).

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