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Donne e cibo: le avvelenatrici nella storia

Adriana Angelieri

Tra donne e cibo esiste un legame ancestrale e profondo: dall’allattamento materno, fino al lavoro ai fornelli, le donne sono sempre state considerate le depositarie dei segreti dell’arte culinaria.

Romanzi, racconti e favole, da sempre specchio della società, ci hanno abituato ad accostare l’idea del cibo al mondo femminile. E attraverso le immagini di seduttrici, ammaliatrici e streghe, la letteratura ci ha portati a considerare il cibo non solo come fonte di sostentamento e vita, ma anche come portatore di morte e sofferenza. Basti pensare alla fattucchiere delle fiabe, in primis Grimilde che adoperò una mela per avvelenare l’innocente Biancaneve, o la strega di Hӓnsel e Gretel che utilizzò la golosità dei due fratellini per poterli imprigionare tra le pareti della sua cucina.

Ed è proprio in cucina, per secoli luogo di reclusione sociale, che nel corso della storia le donne hanno sperimentato una prima forma di liberazione, rendendo il cibo uno strumento di seduzione e di vendetta, lenta e subdola.

Nel corso della storia, gli esempi di donne che si sono servite del cibo come mezzo per attirare nemici, mariti e avversari nella trappola della morte, non sono di certo pochi.
Ecco alcune delle ricette mortali più famose.

Donne e cibo: le ricette mortali delle avvelenatrici

  • I funghi di Locusta: Il primo esempio di legame mortifero tra donne e cibo lo abbiamo nell’antica Roma dove Locusta, conosciuta come negoziante di filtri d’amore e veleni di ogni sorta, aiutò Agrippina nell’assassinio di Claudio. Si dice, infatti, che fu proprio Locusta a preparare il delizioso piatto di funghi velenosi, che nel 54 d.C. diede la morte all’imperatore.
  • L’acqua di Tofana: siamo nel 1654, quando Giulia Tofana, cortigiana e fattucchiera, ideò quello che sarebbe stato il veleno storico per tutto il Rinascimento: l’acqua di Tofana. Ottenuta miscelando acqua bollente, anidride arseniosa, limature di piombo e antimonio, si dice che l’acqua di Tofana diede la morte a circa 600 persone.
  • L’aceto dei pidocchi: Giovanna Bonanno divenne avvelenatrice di professione quando, nel 1786, scoprì per puro caso la pericolosità dell’”aceto dei pidocchi”, una soluzione di vino bianco e aceto, completamente inodore e insapore. Dal quel momento “la vecchia dell’aceto” si servì di questo potentissimo veleno per aiutare le proprie clienti, per lo più nobildonne, a liberarsi di amanti e mariti.
  • Pudding e miele: Siamo nel 1806 quando Mary Bateman convince i coniugi Perigo che i sui magici pudding e un cucchiaio di miele fossero la cura perfetta contro i malanni di stagione. Peccato che i Perigo non fossero a conoscenza dell’ingrediente segreto di Mary: arsenico.

Se leggendo questo articolo, vi sono  saltate alla mente strane idee di vendetta, vi consiglio di lasciar perdere intrugli e pozioni, e di dedicarvi alla preparazione di una buona cenetta (da scegliere nel nostro ricettario) da condividere con gli amici.

Perchè, come diceva Alda Merini: La miglior vendetta? La felicità. Non c’è niente che faccia più impazzire la gente del vederti felice.

Adriana è Responsabile di Redazione e Social Media Manager per Il Giornale del Cibo dal 2016. Siciliana di origine, si è trasferita a Bologna per i tortellini e per la sua carriera. Unendo la sua grande passione per l'alimentazione alle competenze nei progetti editoriali, si dedica alla guida del team redazionale e alla creazione di contenuti che garantiscano ai lettori un'informazione chiara, utile e accurata. Oltre che per i tortellini, il suo cuore batte per i risotti, di ogni tipo, purché fatti bene! Il profumo del basilico e l'olio buono sono gli ingredienti che non possono mai mancare nella sua cucina.

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