dolci tipici campani

La Campania e i suoi dolci tipici

Roberto Caravaggi
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    Mettiamoci in viaggio per una regione che sa bene come prendere per la gola: oggi parliamo, infatti, di dolci tipici campani. La Campania, del resto, è una terra dalla forte tradizione legata al cibo. E i dolci non fanno certo eccezione. Pastiera napoletana, torta caprese, babà, sfogliatella e delizia al limone rappresentano forse la massima espressione della pasticceria campana. Di certo, si tratta di dolci conosciuti e apprezzati ovunque e che si portano dietro storie spesso curiose. Andiamo dunque a scoprirne origine, curiosità, insieme a qualche dritta su dove assaporarli.

    Pastiera Napoletana, il dolce della tradizione pasquale

    pastiera napoletana

    Iniziamo questo viaggio tra i dolci tipici campani da quello legato soprattutto alla tradizione pasquale. Stiamo parlando della pastiera napoletana, le cui origini si dividono tra mitologia e leggenda popolare. Una versione è legata alla sirena Partenope, che nelle acque del Golfo di Napoli aveva dimora e che proprio per questo è considerata simbolo della città. Il suo canto di primavera aveva deliziato così tanto Napoli e i suoi abitanti, che questi avevano espresso la loro gratitudine portandole in dono le risorse più preziose della natura: farina, uova, grano, ricotta, acqua di fiori d’arancio e zucchero. Partenope li lasciò, a sua volta, in offerta agli dei, che grazie alla loro arte divina crearono la prima pastiera, dalla dolcezza capace di superare persino il canto della sirena. Un’altra leggenda ne attribuisce, invece, l’origine alla disavventura di alcuni pescatori. Partiti per il mare e sorpresi da avverse condizioni metereologiche, rimasero in mare aperto per un giorno e una notte. Quando fecero miracolosamente ritorno a riva, raccontarono di essere riusciti a sopravvivere grazie alla “pasta di ieri” (proprio dall’accostamento delle parole pasta e ieri deriverebbe il termine pastiera), a base di ricotta e di grano. A partire da questo episodio si iniziò a preparare la pastiera e a considerarla simbolo di rinascita.

    Qualsiasi sia la sua vera origine, resta la certezza di un dolce che ha saputo radicarsi in tutto il territorio campano. La pastiera napoletana, a dispetto del nome, non è legata unicamente a Napoli. Si tratta, anzi, di un dolce tradizionalmente preparato in tutte le case e che si presta anche a varie interpretazioni. Nella sua versione più conosciuta è una base di pasta frolla farcita con ricotta, grano bollito nel latte e scorze d’arancia candita. Non di rado poi si aggiunge una speziatura di cannella. Una volta cotta si presenta come una crostata: colore giallo oro ai bordi e superficie leggermente brunita e decorata con un intreccio di larghe strisce di frolla. In alcune zone viene preparata anche con il riso al posto del grano o, come nel caso di Mondragone (comune del casertano), con tagliolini di pasta fresca al posto della ricotta. 

    Il Babà, un dolce d’adozione?

    babà

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    Che lo si chiami babà o babbà, com’è più noto nell’accezione popolare, ci stiamo riferendo a qualcosa che fa subito pensare a Napoli. Eppure si tratta di una specialità nata lontano dalla città partenopea. L’invenzione è, infatti, attribuita al re polacco Stanislao Leszcynsky. Durante il suo esilio in Lorena, esasperato dalla consistenza troppo asciutta del Kugelhupf, un dolce tipico locale, lo gettò via, colpendo una bottiglia di rhum. Il dolce si imbevve così della bevanda e conquistò il re polacco, che decise di dedicarlo ad Alì Babà, protagonista de Le mille e una notte, uno dei suoi libri preferiti. Da lì, il babà venne dapprima scoperto e diffuso dai pasticceri parigini, poi, con la dominazione borbonica, arrivò fino a Napoli. Qui trovò la sua consacrazione, coi pasticceri napoletani che ne perfezionarono la ricetta, rendendolo più soffice grazie alla loro esperienza in fatto di lievitazione degli impasti. Ma soprattutto gli diedero quella forma a fungo che lo contraddistingue.

    Il babà o babbà, comunque lo si voglia chiamare, è soffice, con un impasto reso morbido dalla bagna al rhum di cui è imbevuto. La componente alcolica è protagonista nella sua versione classica. Solitamente di piccole dimensioni (15-20 centimetri di lunghezza, 5-6 cm di diametro), ne esistono anche declinazioni diverse, da quella mignon, che vede il babà protagonista degli assortimenti di piccola pasticceria, a quella gigante (fino a 35-40 cm). La creatività partenopea, poi, ha saputo inventare anche la torta babà. Gli ingredienti di base sono gli stessi, a cambiare è semplicemente la forma: tipicamente alta, si può presentare a cupola, tipo zuccotto, o come una sorta di ciambella, con la superficie liscia o più comunemente decorata da ciuffetti di panna o di crema, frutti rossi, scorze di frutta candita o scaglie di cioccolato. Esistono altre interpretazioni di questo dolce, che giocano soprattutto sul sostituire la bagna al rhum col limoncello, ad esempio, oppure con sciroppo di frutta o col caffè, tanto per citare un altro elemento protagonista della tradizione napoletana.  

    Uno sfizio chiamato sfogliatella

    sfogliatella napoletana

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    In ogni pasticceria o panetteria di Napoli e, più in generale, di tutta la Campania, un dolce che non può mancare è la sfogliatella. Le sue origini sono riconducibili a Conca dei Marini, località della provincia di Salerno, che fa parte della costiera amalfitana. È qui, nel Conservatorio Santa Rosa da Lima, all’epoca monastero domenicano, che nasce (nel XVIII secolo) l’antenata della sfogliatella. Leggenda vuole che fu preparata utilizzando della pasta di semola avanzata e mischiata ad altri ingredienti, quali frutta secca, zucchero e limoncello. Con l’impasto così ottenuto si farcirono degli involucri di pasta sfoglia da cuocere in forno. Il successo fu tale che il dolce si diffuse presto anche al di fuori del monastero e divenne presto noto come Santarosa, in onore della monaca cui era dedicato il convento. Fu poi il pasticcere Pasquale Pintauro a portare la ricetta a Napoli e a farla sua, introducendo delle modifiche che ne hanno consacrato il successo quale dolce tipico della tradizione campana. 

    Sfogliatella riccia, frolla e coda d’aragosta 

    La ricetta originale della Santarosa era a base di pasta sfoglia. Oggi esistono però due varianti di sfogliatella napoletana, riccia e frolla. La distinzione sta proprio nell’involucro esterno, che può essere di pasta frolla, appunto, o di pasta sfoglia. Quest’ultima è la versione più diffusa, con la caratteristica forma a fagottino dalla superficie increspata. Non a caso, viene detta anche sfoglia riccia e, soprattutto nel salernitano, è tipica in una versione detta coda d’aragosta, più grande nelle dimensioni e con una farcitura a base di crema, panna o marmellata. Il ripieno della sfogliatella classica, riccia o frolla che sia è tradizionalmente costituito da ricotta, zucchero, uovo e semolino, cui viene spesso aggiunto l’aroma di vaniglia o di cannella. In alcuni casi l’impasto è arricchito da scorze candite d’arancia e di cedro. Nella versione riccia, la superficie esterna risulta croccante, per poi rompersi al morso e regalare al palato frammenti che ben si mischiano a freschezza e cremosità della farcia.

    Torta caprese, storia di una dolce dimenticanza

    torta caprese

    Sono tanti i prodotti e le specialità della tradizione enogastronomica italiana frutto di una svista o di una dimenticanza. È il caso della torta caprese, nata intorno agli anni venti del secolo scorso. Protagonista del fortunato errore, il pasticcere Carmine Di Fiore. Nel voler preparare un dolce a base di cioccolato e mandorle in onore di tre malviventi in missione a Capri per conto del boss italo-americano Al Capone, Di Fiore dimenticò un ingrediente fondamentale: la farina. Dimenticanza che è divenuta chiave del successo nonché elemento caratterizzante di questo dolce. Il risultato è, infatti, una torta dalla consistenza morbida, che avvolge letteralmente il palato dell’aroma pieno del cioccolato, con la nota inconfondibile delle mandorle ad arricchirne il gusto e a variarne la consistenza. L’impasto è a base di burro, uova, zucchero, cui si aggiungono cacao amaro o cioccolato fondente opportunamente sciolto e mandorle tritate. Dopo la cottura si presenta naturalmente color marrone scuro, con una  crosticina esterna di cioccolato e l’interno morbido. Si serve a temperatura ambiente, spesso spolverata di zucchero a velo. 

    Esistono alcune varianti della torta caprese, che prevedono l’aggiunta di nocciole o noci tritate, insieme oppure in sostituzione delle mandorle. Ha trovato una certa diffusione anche la versione bianca, dove cioccolato fondente e mandorle lasciano spazio a cioccolato bianco e limone. Ne risulta un dolce che conserva le caratteristiche dell’originale in fatto di morbidezza interna, ma dal gusto completamente diverso. Una preparazione che si presta a essere servita anche da frigo, per esaltare la freschezza del limone. 

    Una vera delizia… al limone

    delizia limone

    Parlando di Campania e dei suoi dolci tipici, non possiamo ormai fare a meno di citare la delizia al limone. Seppur di recente invenzione (1978), è entrata a pieno titolo tra le specialità dolciarie che vantano l’iscrizione al registro dei PAT (Prodotti Agroalimentari Tradizionali) del Ministero delle Politiche Agricole, Alimentari e Forestali. Si tratta di una cupola di pan di Spagna con bagna al limoncello e farcitura di crema al limone. Crema al limone che va a comporre (insieme alla panna) anche la glassa di copertura esterna, dove si presenta dunque bianca e cremosa, spesso decorata in superficie da ciuffetti di panna o di crema e da scorze di limone o dalla classica ciliegina sulla sommità. La paternità di questo dolce è attribuita al pasticcere sorrentino Carmine Marzuillo. Oltre a essere preparata come torta, è molto diffusa la versione monoporzione, comunemente chiamata anche tettarella, per la forma che ricorda quella di un seno femminile. Si serve generalmente fredda, per esaltare il senso di freschezza del limone, il cui aroma emerge come protagonista assoluto e trionfante.  

    Dolci tipici campani: dove assaggiarli?

    Non possiamo concludere questo viaggio tra i dolci tipici campani senza qualche suggerimento su dove mangiare le specialità di cui vi abbiamo parlato. Quelli che proporremo di seguito sono alcuni posti che abbiamo avuto modo di conoscere e apprezzare direttamente. A partire da Napoli, la città capoluogo, dove la fervida creatività per cui i suoi abitanti sono noti trova espressione anche nell’arte pasticcera. In ogni quartiere ci si imbatte in forni, pasticcerie e caffetterie che ingolosiscono coi loro profumi e attraggono con l’assortimento aldilà delle vetrine. 

    I dolci campani a Napoli

    sfogliatelle napoletane pasticceria

    Iniziamo da un vero campione della sfogliatella. Si tratta dell’Antico Forno Fratelli Attanasio, in Vico Ferrovia, a ridosso della stazione centrale. C’è poi Casa Infante, dove la specialità è l’ottimo gelato artigianale, ma trova spazio anche il babà, proposto in varie declinazioni. Dalla versione più classica, fino agli originali bicchieri in cui strati di babà vengono alternati a creme a base di vari gusti: Nutella, Oreo, crema pasticcera e fragoline di bosco, solo per citare alcuni esempi. Come non citare poi la Pasticceria Capparelli? Ottime le sue sfogliatelle, così come la pastiera napoletana: alta, generosa e appagante. Da non perdere poi il babà, che qui viene proposto anche in formato gigante. Qualità eccellente a prezzi davvero onesti. Da provare. Così come non si può fare a meno di suggerire una deviazione verso Rione Sanità, sede della mitica Pasticceria Poppella. Anche qui c’è solo l’imbarazzo della scelta in fatto di dolci della tradizione campana. Il locale è noto, tuttavia, soprattutto per il suo Fiocco di Neve, un soffice bauletto di pasta con ripieno costituito da una crema a base di latte fresco e ricotta di pecora. Una deliziosa nuvola di gusto, proposta anche con ripieno a base di pistacchio o di cioccolato. 

    Pompei, Salerno e dintorni

    Spostandoci appena fuori Napoli, e più precisamente a Pompei, troviamo altri due locali degni di nota. La Pasticceria De Vivo, marchio storico che propone tutti i classici della tradizione napoletana, e la Pasticceria Gabbiano, del maestro pasticcere Salvatore Gabbiano, noto anche per i suoi lievitati. Sconfinando, invece, nella provincia di Salerno, nel comune di San Valentino Torio, troviamo il Panificio Ascolese. Nel laboratorio, con punto vendita annesso, si sfornano ogni giorno pane fresco, grandi lievitati e naturalmente le dolci sfiziosità della tradizione campana. Curioso, in particolare, il babà in vasocottura, proposto sia nella versione classica al rhum, sia al limoncello. Sempre in provincia di Salerno, ma più a sud, ovvero a Eboli, da segnalare la Pasticceria Angelo Grippa, che nel 2018 ha ottenuto il riconoscimento due torte di Gambero Rosso. Nel casertano, a Santa Maria Capua Vetere, da non perdere la Pasticceria Cappiello. La varietà di dolci proposti è straordinaria: dalle torte classiche a quelle più innovative, presentate sempre con uno stile accattivante, fino alle monoporzioni, dove spiccano i babà e le delizie al limone.

    Mangiare i dolci campani in Costiera Amalfitana

    Una menzione a parte la merita la costiera amalfitana, dove si trova un autentico luogo di culto per ogni goloso. A partire dalla pasticceria di Salvatore De Riso, uno dei più noti e affermati pasticceri italiani. Il suo laboratorio di Tramonti è una fucina di golosità d’ogni genere, che si trovano in vendita presso il suo punto vendita principale, la pasticceria di Minori. Qui si spazia dalle torte della tradizione a quelle per ricorrenze, dalla piccola pasticceria ai grandi lievitati. Deliziose e originali le monoporzioni, ottimo anche il gelato, tutto rigorosamente di produzione propria

    Alfonso Pepe e la pastiera lievitata

    pastiera monoporzioni

    Il nostro viaggio tra i profumi e i sapori dei dolci tipici campani non potrebbe trovare conclusione migliore della Pasticceria Pepe. Alfonso Pepe è uno dei più grandi maestri della pasticceria italiana, noto soprattutto per i suoi grandi lievitati. Oltre al panettone tradizionale (realizzato con materie prime 100% italiane) e a quello a base di albicocca Pellecchiella, una varietà tipica dell’area vesuviana, con profumo intenso e polpa gialla e zuccherina, il suo fiore all’occhiello è la pastiera lievitata. Un dolce a doppia lievitazione, che unisce sofficità e tessitura dell’impasto del panettone alla farcitura tipica della pastiera napoletana, a base quindi di ricotta, uova e grano bollito. Un’invenzione che fonde in un modo unico e indimenticabile l’arte di lievitista del Maestro Pepe e la tradizione partenopea che lo ispira da sempre. Ispirazione e passione che si ritrovano ancora in ciò che viene preparato e sfornato ogni giorno, nel laboratorio annesso alla pasticceria di Sant’Egidio del Monte Albino. Un locale ampio e accogliente, gestito dalla famiglia Pepe, dove si trova ogni delizia per una colazione o una pausa golosa. 

     

    Noi vi abbiamo condotto in questo ideale viaggio, che si conclude qui. Ora però tocca a voi… quali sono i posti dove avete assaporato i dolci tipici campani nella loro versione migliore?

     

    Nato a Milano, vive da sempre a Locate di Triulzi, nella provincia sud del capoluogo lombardo. Oltre a collaborare con alcune testate giornalistiche locali è food blogger per storiedifood.com, dove racconta soprattutto di specialità e piccole realtà artigianali. Il suo piatto preferito è la piadina romagnola perché, nella sua semplicità, sa appagare come poche altre cose.

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