cultura umanistica

La cultura è un fattore propulsivo di libertà?

Giuliano Gallini
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    Nell’articolo pubblicato il 24 luglio “Le élite non leggono: perché la cultura è così sottovalutata?”, mi lamentavo del prevalere delle culture anti-intellettuali – che considerano inutili (e spesso da svillaneggiare) i libri, la letteratura, lo studio della storia e di altre materie umanistiche, la frequentazione dei musei, l’arte cinematografica e così via – su quelle che invece continuano a dare valore a quel tipo di cultura. Mi sono poi permesso un poco di ironia: un tempo gli intellettuali erano associati alle élite economiche del paese – professori universitari, ricca borghesia, classe media colta – ed erano da alcuni considerati “nemici di classe”. Oggi, forse, le élite economiche non leggono e gli intellettuali fanno fatica ad arrivare a fine mese.

    Si è aperto, su queste pagine e su Facebook, un bel dibattito su questi concetti, anche se qualcuno non riesce proprio a dire che non è d’accordo senza aggiungere aggressività gratuita, ma tant’è. Un lettore afferma che “alla base della cultura c’è l’Educazione. Dove non esistono etica e rispetto non può crescere la cultura”, una frase molto centrata per questo dibattito, e per molti versi anche per web e per la televisione. Un altro lettore, sconsolato, afferma che “i commenti che ho letto dimostrano quanto lei abbia ragione.” Fortunatamente, accanto a chi crede che la cultura umanistica sia sopravvalutata e che non abbia futuro, c’è ancora chi legge buoni romanzi senza pensare di perdere tempo.

    Franklin Foer, scrittore e giornalista di The New Republic e The Atlantic Magazine, autore per Longanesi di un saggio denuncia sui poteri di Google, Facebook, Amazon eccetera, conclude così una intervista apparsa recentemente su Robinson di La Repubblica: “La lettura di un libro, intendo proprio il libro di carta, è uno degli ultimi atti nei quali non veniamo sorvegliati, analizzati, spiati da una azienda tecnologica. Né veniamo distratti costantemente da messaggi collaterali, pubblicità o altro […] la cultura stampata sulla carta è oggi una forma di resistenza e di ribellione […] e ci consente di accedere alla contemplazione […]” .

    La cultura umanistica alimenta il senso critico

    Non posso rispondere a tutti i commenti. Mi preme però chiarire un fraintendimento, sicuramente causato da me. Non intendevo considerare la cultura umanistica come fattore positivo perché propulsivo di competitività. Anch’io sono d’accordo con il lettore che ha sollevato la questione: la cultura è fattore propulsivo di libertà ed è importante soprattutto per questo, non certo perché aumenta la competitività economica. Non aumenta le competenze tecniche: ma alimentando lo spirito critico e la capacità di analisi consente a tutti noi di essere liberi.

    Ho citato l’aspetto della competitività per cercare di convincere anche i lettori più opportunisti dell’utilità della cultura.  Ho un po’ studiato le cause del calo di produttività e competitività dell’Italia negli ultimi vent’anni, ho anche organizzato un seminario e un pubblico dibattito su questo, due anni fa al Festival di Internazionale a Ferrara. Esistono correlazioni significative tra la caduta degli investimenti pubblici e privati in istruzione e cultura in Italia e la caduta della competitività e della capacità immaginativa e innovativa delle nostre imprese. Proprio perché cala lo spirito critico, aumenta il conformismo e diminuisce la libertà individuale e collettiva, e ci impoveriamo anche materialmente, non solo spiritualmente. La cultura non costa, costa l’ignoranza.

    Credo non occorra conoscere la Divina Commedia per piantare un chiodo, ma se la si conosce forse lo si pianta più dritto. Abbiamo bisogno di bravi tecnici… e di forti lettori.

    Scrittore di romanzi, lettore appassionato ed esperto del mondo del cibo e della ristorazione. Crede profondamente nel valore della cultura. In cucina non può mancare un buon bicchiere di vino per tirarsi su quando sì sbaglia (cosa che, afferma, a lui succede spesso).

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