vino invecchiato in mare nelle cantine sottomarine

Il vino “invecchiato” sotto il mare: conosciamo le cantine subacquee

Angela Caporale
2 minuti

     

    Dal mito di Atlantide alle avventure di Ventimila leghe sotto i mari di Jules Verne, il mondo sott’acqua ha sempre esercitato un grande fascino sull’uomo abituato a vivere sulla terra. Sarà forse l’atmosfera, il contatto con la fauna acquatica e un po’ anche l’idea che, laggiù, tutto sia possibile, anche conservare vini di ottima qualità. Usciamo, quindi, dal mondo della fantasia, per tornare nel mondo reale. Uno dei trend del 2024 più interessanti in campo vinicolo è proprio la creazione di piccole cantine sottomarine dove far invecchiare le bottiglie di vino. I risultati? Sembrerebbe molto interessanti!

    Cantine sottomarine: come viene conservato il vino in mare?

    come si conserva il vino in mare

    Sergiy Zavgorodny/shutterstock.com

    Nata dalla curiosità e l’intraprendenza di alcuni viticoltori, l’idea di affinare il vino sotto il mare è un trend in espansione che abbraccia paesi in diverse aree del mondo: dall’Italia all’Australia, passando per Spagna, Croazia e Cile. Secondo le stime più recenti, le cantine subacquee sono circa 31 e, nel 2019, si è tenuto a Bilbao, in Spagna, il primo Underwater Wine Congress, mentre in Italia esiste un consorzio dei produttori che stanno sperimentando questa tecnica, chiamato Undersea Wines. 

    Quando parliamo di cantine sottomarine, dobbiamo immaginare delle gabbie calate sui fondali in cui vengono collocate decine di bottiglie di vino con l’obiettivo di affinarne le caratteristiche. I produttori che stanno testando questo metodo (sicuramente tecnicamente complesso e costoso), spiegano che il microclima che si crea sotto il mare sia ideale per la maturazione del vino. Ciò grazie alla concomitanza di alcuni fattori: temperatura costante, assenza di luce e di aria, movimenti costanti e lenti di onde e maree, riparo dalle fasi lunari.

    Se dal punto di vista del gusto, chi propone il vino affinato undersee sostiene ci siano grandi meraviglie, un elemento che risente dell’affinamento sotto al mare sono le bottiglie, che risultano intaccate dalla presenza di sale e dall’ambiente subacqueo in generale. Le bottiglie, infatti, risultano incrostate, spesso con coralli e conchiglie. Il risultato è spesso un prodotto di alto profilo e di valore, sia dal punto di vista del gusto sia estetico. La stessa bottiglia “segnata” dal mare può rappresentare forse non un difetto, trasformato in peculiarità dai produttori che ne evidenziano il fascino.

    caratteristiche dei vini invecchiati in mare

    Leonard Zhukovsky/shutterstock.com

    Dallo spumante ai vini rossi: le storie del vino invecchiato sotto al mar Mediterraneo

    Uno degli obiettivi del consorzio Undersea Wines è analizzare scientificamente gli effetti dell’invecchiamento in mare delle bottiglie di vino e diverse importanti aziende vitivinicole italiane oggi partecipano e ci consentono di approfondire l’argomento. 

    Partiamo dall’azienda vinicola Bisson in Liguria che, dal 2009, ha creato una cantina sotto al mare al largo di Portofino. Il titolare della cantina, Piero Lugano, racconta di essersi fatto ispirare all’archeologia e di come il vino nelle anfore romane ritrovate sul fondale del Mediterraneo, risultasse perfettamente conservato. Così ha creato una gabbia metallica che conteneva, all’inizio, 6500 bottiglie di spumante Metodo Classico. Ha scelto di calare la gabbia a una profondità di 60 metri per 26 mesi. Un esperimento riuscito tant’è che oggi la cantina produce ogni anno circa 30.000 bottiglie di Rosé, Riserva e spumante classico “Abissi”, molto richiesti e apprezzati in Italia e all’estero.

    La vocazione marittima della Sardegna ha portato diverse aziende isolane a sperimentare con l’Underwater. Particolarmente interessante è il progetto Akenta Sub che vede la collaborazione tra la cantina Santa Maria la Palma e il Parco di Porto Conte. Dal 2011, ogni anno vengono immerse nell’area marina di Capo Caccia, vicino ad Alghero qualche centinaio di bottiglie  di un vino speciale prodotto con uve di Vermentino di Sardegna. In questo caso, viene affinato sott’acqua un Vermentino di Sardegna spumantizzato, collocato a circa 40 metri di profondità, con temperatura costante tra i 12° e i 14°C. I produttori hanno osservato come l’undersea migliori il colore, i riflessi e il perlage. Nel 2011 la sperimentazione è partita con 700 bottiglie, oggi ne vengono commercializzate circa 6.000.

    Dal Tirreno all’Adriatico, un altro dei membri del consorzio Undersea Wines è la Tenuta del Paguro di Brisighella, in Emilia-Romagna. L’attività di affinamento sotto al mare qui è partita nel 2010 e sfrutta un luogo sommerso decisamente insolito: il relitto di una piattaforma petrolifera affondata nel 1965 al largo di Ravenna. Le bottiglie vengono collocate in specifiche gabbie in acciaio inox e poi calate per 6/12 mesi a 30 metri di profondità, dove si trova il relitto. La Tenuta del Paguro sfrutta questa tecnica per affinare prevalentemente Merlot, Sangiovese, Albana e Cabernet. 

    vini invecchiati nelle cantine subaquee

    il21/shutterstock.com

    Le cantine sottomarine per promuovere il territorio

    Un elemento che lega le cantine parte del consorzio e, più in generale, le realtà che hanno scelto di sperimentare con questa tecnica di affinamento del vino è la grande attenzione al territorio. Nell’ambito del progetto Akenta Sub, per esempio, viene organizzata una vera e propria festa popolare in occasione del recupero delle bottiglie dal mare, si chiama Akenta Day e richiama ogni anno centinaia di persone nel paese. Mentre in Romagna, anche grazie all’attività della Tenuta del Paguro, si mantengono i riflettori accesi sul relitto della piattaforma petrolifera, dichiarata Sito di Importanza Comunitaria. 

    Molte delle cantine sottomarine, in Italia e all’estero, organizzano spedizioni subacquee per esplorare i fondali, vedere dal vivo le bottiglie e contemporaneamente ammirare le bellezze sottomarine. Emanuele Kottakhs è il presidente di Jamin, start up che si occupa di servizi per le cantine che sperimentano con l’underwater, e ha spiegato al Sole 24 Ore come “Vorremmo coinvolgere nel consorzio solo chi va oltre il souvenir, portando elementi tecnici e ricerche. Non esiste un’unica applicazione dell’immersione, perché la procedura e soprattutto il luogo sono fondamentali.”

    Le applicazioni di questa tecnica sono tante, quindi le conoscenze tecniche oggi a disposizione aprono nuovi scenari. Chissà che nei prossimi anni diventi sempre più frequente poter assaggiare un calice di vino affinato in mare!

     

    Immagine in evidenza di: ekipaj/shutterstock.com

     

    Passaporto friulano e cuore bolognese, Angela vive a Udine dove lavora come giornalista freelance. Per Il Giornale del Cibo scrive di attualità, sociale e food innovation. Il suo piatto preferito sono i tortelloni burro, salvia e una sana spolverata di parmigiano: comfort food per eccellenza, ha imparato a fare la sfoglia per poterli mangiare e condividere ogni volta che ne sente il bisogno.

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