Angela Maci a GustòVago

Angela Maci: “Definire i food blogger sbafatori? Lo trovo infantile”

Angelo Valenza

Tra Cene a 4 Mani, GustoTalk, degustazioni ed eventi d’eccezione, quando ad ottobre siamo stati ospiti di GustòVago abbiamo fatto un piacevolissimo incontro. A curare alcuni eventi della kermesse, abbiamo infatti trovato Angela Maci di “Sorelle in Pentola”, ricco e valido blog di cucina che dal 2010 cura insieme alla sorella Chiara Maci (sì, esattamente la Chiara Maci di “Cuochi e Fiamme”!).

Angela si è subito mostrata una persona estremamente piacevole ed affabile, tanto che non abbiamo saputo resistere alla tentazione di scambiare due chiacchiere con lei per farci raccontare l’amore per la buona cucina condiviso con la sorella, e di confrontarci sul mondo del food blogging, sui pregiudizi che gli gravitano intorno, spesso supportati da sterili generalizzazioni.
Un confronto che ci ha arricchito e che abbiamo voluto mettere nero su bianco.

Angela Maci

Angela quando nel 2010 avete messo online “Sorelle in Pentola” la giungla del web era già piena zeppa di food blog. In breve tempo siete riuscite a ritagliarvi un numero di fedelissimi lettori. Secondo te, cosa ha fatto la differenza tra voi e tanti voci del web che restano nell’ombra?

Angela Maci: “Sorelle in Pentola” è da quasi 6 anni la nostra piccola creatura e fin da subito abbiamo voluto che fosse come noi: un blog genuino, autentico dove poter condividere il nostro amore per il buon cibo. La passione per la cucina nasce in famiglia. Fin da bambine i nostri genitori ci hanno guidato verso una buona alimentazione. E noi siamo cresciute dando valore alla buona tavola. La mamma ci ha trasmesso la passione per il cucinare con rispetto e amore, nostro padre la passione per il viaggio, la scoperta, il vissuto. Abbiamo quindi fatto tesoro di entrambi gli insegnamenti, dando vita ad un nostro percorso personale. Nel blog ci abbiamo creduto tanto fin da subito e abbiamo studiato per far sì che diventasse un buon blog da ricordare, da consultare. Sorelle in Pentola è cresciuto fin da subito grazie anche alla partecipazione di Chiara nel programma Tv “Cuochi e Fiamme”. Ma proprio per questo motivo, proprio per il fatto che le visite in giro di poco tempo sono triplicate, dovevamo dare dei contenuti interessanti ai nostri lettori, così abbiamo aperto diverse rubriche che andavano dalla cucina per i bambini, agli eventi enogastronomici in Italia (e non solo), dalle recensioni di ristoranti ai racconti legati ad un territorio, ad un prodotto, ad una persona. E soprattutto ricette buone, ricette legate ad una storia, legate a noi.  Abbiamo cercato quindi di dare qualcosa di concreto al lettore, rispondendo sempre alle loro richieste, ai loro consigli, alle loro critiche, facendoci trovare sempre preparate e pronte senza mai essere volgari ed offensive. Tutte queste cose insieme hanno fatto la differenza.

 

Quali sono (se ci sono state) le difficoltà che tu e Chiara avete incontrato quando avete cominciato? E cosa consiglieresti a chi sta cominciando adesso?

A.M.: Le difficoltà iniziali erano legate principalmente a come far funzionare il blog, tutto quello che c’era dietro, quello che non si vede. Ma anche a come farsi conoscere, come crescere.
Chiara in questo è stata molto più brava di me. Io ho sempre preferito i contenuti, le ricette, i racconti, le curiosità legate alla storia di un prodotto (un po’ anche per le nostre diverse competenze: lei veniva dal marketing aziendale, io dalla storia dell’alimentazione. È stata anche questa la nostra forza, l’essere diverse. Due sorelle, due città diverse, due realtà opposte, quindi il nostro modo di vivere, di gestire i post del blog è differente ma sempre autentico. E questo alle persone è sempre piaciuto tanto. In noi si rispecchiano, vedono due ragazze genuine, sincere e innamorate di quello che stanno facendo. Chi in un modo, chi nell’altro.  

Sorelle in Pentola

Cosa consiglierei a chi sta cominciando? Di aprire un blog non per moda ma per passione. Di metterci l’anima, di studiare, di conoscere la materia prima di cui sta parlando, di imparare con umiltà da chi ha da insegnarci, di scrivere solo di cose che interessano realmente il blogger, di rispondere sempre ai commenti, di instaurare dei legami con il lettore. Senza dimenticare che il blog è un diario e chi ci legge, impara a conoscere chi è l’anima nascosta dietro quelle parole, dietro quello schermo.

 

L’idea che a volte si ha del food-blogger è quella del cuoco improvvisato che si diverte a scattare foto e condividere contenuti online. Tu hai un master in Storia dell’alimentazione, sei assaggiatore Ona e sommelier Ais. Per scrivere di cibo, quanto è importante “studiare”?

A.M.: Sorrido. Perché so bene che è questa l’idea che molti hanno dei blogger. E un po’ mi dispiace perché fare di tutta l’erba un fascio, è sbagliato. Io mi considero food-blogger ma non solo perché prima di diventare blogger nel 2010 ero (e continuo ad essere) tante altre cose. Sono sommelier Ais da 20 anni, ho gestito un club enogastronomico nel cuore di Bologna per 4 anni e ho avuto modo di relazionarmi con sommelier, cuochi, artigiani del gusto, degustatori, affinatori, scrittori enogastronomici oltre a studiare fin dai tempi della scuola prima il vino e poi la storia dell’alimentazione con una laurea specialistica. Ho lavorato nella redazione di una rivista enogastronomica perché il cibo è ed è sempre stato il mio pane quotidiano. Il blog, lo dico sempre, è stato un arricchimento in più che mi ha permesso di farmi conoscere da diverse scuole di cucina, aziende italiane ed estere (sono laureata in lingue straniere moderne) per poter quindi collaborare con loro. Ma le stesse persone che affermano queste cose, quando poi ci conoscono capiscono che c’è della sostanza (come si direbbe a Bologna).
E quindi rispondendo alla tua domanda, si, bisogna studiare sempre. Per scrivere di cibo e non solo. Ma lo studio non basta, servono la pratica, la costanza, l’onestà, la dedizione, il tempo e l’umiltà.

Angela Maci a GustòVago

Se fino a qualche tempo fa i food blogger erano “semplicemente” bistrattati come finti giornalisti, adesso vengono considerati scrocconi, al punto che la scrittrice bresciana Camilla Baresani ci ha fatto anche un libro: nel recentissimo “Gli sbafatori” traccia un ritratto ironico e critico del vostro “mestiere”. Cosa diresti ad un giornalista di gastronomia che asserisce che la tua non è una professione?

A.M.: Già, i food-blogger sono finti giornalisti, sono finti cuochi, so bene le voci che girano “sulla nostra categoria”. Eppure io non credo di voler sostituire un cuoco o un giornalista. Siamo food blogger. E molto altro ancora. Ma molte volte chi afferma queste cose si sofferma in superficie. E allora mi rivolgo a loro (e fortunatamente non sono tutti): Il nostro è amore per il cibo quanto il loro. In forma diversa, ma è pur sempre amore, legato alla competenza, allo studio, alla conoscenza, alla professionalità. Parlare di un piatto, degustare uno champagne, viaggiare alla ricerca del gusto, scrivere di emozioni legate ad una cantina, raccontare la storia di un prodotto, cucinare quel prodotto e vedere la felicità dei commensali, dei lettori, del pubblico, ecco questo è quello che io faccio da tanti anni ed è quello che voglio fare per ancora tanti anni. Devo avere un tesserino da giornalista? Non credo perché ne ho tanti altri che forse i giornalisti non hanno. E non voglio peccare di presunzione ma perdonatemi, trovo un po’ infantile giudicare la casta dei Food blogger come degli sbafatori (solo perché vengono sempre invitati in aziende, eventi, manifestazioni  e viaggi enogastronomici). Non dimentichiamoci che per tanti anni sono stati proprio i giornalisti ad essere scrocconi e visto che non sono una che ama fare polemiche, dico che, a malincuore, ci sta tutto, ci stanno i cuochi che non sanno cucinare, ci stanno i giornalisti che non sanno scrivere come ci stanno i food blogger sbafatori, ma vi prego, prima di classificare una categoria, conoscetene le persone che ci sono dietro, abbiate la decenza di scrivere non per sentito dire. Ci sono e lo ripeto, dietro ai food blogger tanti professionisti del cibo, della penna, della fotografia.

 

Al di là delle tendenze e dell’efficacia comunicativa del mezzo, credi che il web favorisca un confronto tra gli amanti della cucina? La galassia di food blog ha portato qualcosa di nuovo al mondo della gastronomia?

A.M.: Il web ha il dono di essere immediato, di mettere le persone in contatto fin da subito. I food-blog quando hanno iniziato a circolare erano diari che veicolavano pensieri, riflessioni, ricette, ingredienti. E non è cambiato molto da allora se non il fatto di arricchirsi di contenuti. Credo, sono convinta che i blog abbiamo cambiato un po’ la visione della cucina. In passato c’era la cucina di casa e c’era la cucina dei ristoranti. Oggi grazie ai food-blogger si sono abbattute le barriere e questi due mondi così differenti si sono mescolati dando vita a ricerca, arricchimento e conoscenza. Grazie a molti food blog, molti ingredienti sconosciuti ai più, sono entrati nell’uso quotidiano. Molte ricette dimenticate sono state rispolverate, molte realtà sono diventate mete del gusto. Non sottovalutiamo queste cose. I food blogger non sono tutti uguali. Lo dico sempre. Dietro ognuno di loro, ci sono storie diverse da raccontare, ci sono realtà che hanno voglia di uscire per dare un contributo al meraviglioso mondo del cibo. C’è chi lo fa per passione scrivendo a cadenza settimanale le ricette che fanno parte del suo vissuto, c’è chi ha dato al blog un’impronta dal sapore antico, proponendo ricette tradizionali di un territorio, c’è chi parlando più lingue, dona al blog un accento cosmopolita con la traduzione in più lingue di un post, c’è chi ama cucinare e lo fa per le aziende da tanti anni, c’è chi ama la movida gastronomica milanese e non si perde un evento e intanto posta, scrive, chatta, assaggia. Siamo tanti ma tutti con qualcosa da raccontare e non da urlare.
Se riuscissero a lavorare bene e insieme food blogger, giornalisti, sommelier, ristoratori, cuochi, contadini, imprenditori, degustatori, crescerebbe la comunicazione enogastronomica giusta.

Angela Maci

Recentemente abbiamo intervistato Sonia Peronaci (prima del suo addio a “Giallo Zafferano”): ci piacerebbe farti qualche domanda che abbiamo fatto anche a loro. L’amore per il food impazza soprattutto in TV. Ciò che abbiamo notato è che alcuni programmi televisivi danno una rappresentazione della cucina come di un campo di addestramento militare dove bisogna essere veloci, precisi, puliti ed efficienti. Che cosa ne pensi?

A.M.: Penso che per fare un programma televisivo soprattutto legato al cibo, la velocità, il rispetto dei tempi, la pulizia e l’ordine siano fondamentali. Ma parlare di un campo di addestramento militare mi sembra esagerato.
Credo piuttosto che la cucina professionale sia realmente così: metodo, rispetto, studio, ricerca, efficienza, umiltà, tecnica, conoscenza, pulizia. I gradi della brigata in cucina come nel mondo militare sono fondamentali per crescere professionalmente e creare equilibrio e metodo tra i cuochi  e il personale di cucina.

 

 Che cosa non può mancare assolutamente in cucina?

A.M.: Il legame con la tradizione.
La creatività.
La passione.
La generosità.

 

Che cosa non può mancare in frigo?

A.M.: Il latte (per i miei bambini), i formaggi e le verdure (sono la base di moltissime mie ricette) e una buona bottiglia di vino bianco fermo.

 

Che cosa c’è appeso sul tuo frigo?

A.M.: Tanti magneti legati ai bellissimi viaggi che ho fatto con la mia famiglia.

 

 

Ex-Direttore Responsabile del "Giornale del Cibo", è un esperto di web marketing. Nato a Pantelleria, vive a Bologna dove si è laureato in Lettere e Filosofia. Il suo piatto preferito sono gli spaghetti con i ricci per i quali perde completamente la testa. In cucina non può mai mancare una buona compagnia e una bottiglia di buon vino aperta.

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