Alba Esteve Ruiz

Alba Esteve Ruiz, la necessità di viaggiare e la “condanna” della Carbonara

Redazione

Immaginare Alba Esteve Ruiz che impartisce ordini, che si arrabbia, che rimprovera un componente della sua brigata, mi risulta davvero difficile. Perché la chef spagnola di “Marzapane”, il ristorante romano che guida dal 2013, è molto timida e silenziosa, ma il ruolo di executive chef di un locale di successo richiede un certo tipo di atteggiamento e lei riesce a gestire nel migliore dei modi da più di 4 anni un posto divenuto famoso per alcuni piatti icona proprio di Alba. Mi accoglie in sala nel bel mezzo della preparazione dei tavoli per il pranzo di San Valentino: “oggi siamo pieni a pranzo e cena, abbiamo tanto da fare, ma è sempre una soddisfazione sapere che tanti scelgono il tuo ristorante per festeggiare una ricorrenza”.

Alba Esteve Ruiz: “Ho sempre saputo che sarei diventata una chef”

Gli inizi della carriera

Nata nel 1989 in un paese in provincia di Alicante, Alba ha le idee chiare da subito, addirittura da quando aveva 12 anni, perché fare la chef è da sempre il suo chiodo fisso. E cosa fanno i genitori? La mandano a lavorare, a 14 anni, durante tutti i weekend in un ristorante sotto casa, ma con la speranza di scoraggiarla. Infatti, non condividono la scelta della figlia e allora fanno un tentativo:farla studiare e lavorare contemporaneamente per i allontanarla da quel mondo, mostrandole da subito l’immane fatica che la aspetta in una cucina professionale. “Lavorerai sempre, non avrai amici, non avrai mai una giornata libera durante le feste” queste le profetiche parole del papà che però fortificano in Alba Esteve Ruiz la convinzione che la carriera da chef è quella più idonea per lei. “Ho sempre saputo che avrei fatto la chef, da bimba aiutavo nonna e zia in cucina, e la domenica quando ci riunivamo ed eravamo in 15 mettevo le mani negli impasti”.

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Le prime esperienze e quelle “stellate”

Ogni esperienza passata ha lasciato alla chef spagnola qualcosa: da Paco Torreblanca ad esempio ha appreso le basi della pasticceria. Mentre, in precedenza, aveva lavorato in un ristorante da 300-350 coperti al giorno, e qui ha avuto modo di recepire nel migliore dei modi cosa voglia dire velocità d’esecuzione, ma anche “i metodi di stoccaggio, come ideare i piatti e prepararli per così tante persone. Ogni pezzo della mia conoscenza è derivato da uno dei ristoranti nei quali ho lavorato. Si apprende sempre, in continuazione, anche dagli ultimi arrivati, dai più giovani”. D’obbligo la menzione del periodo trascorso presso il ristorante El Celler de Can Roca dei fratelli Roca, in passato anche al numero uno della “50 Best Restaurants” dove assimila la disciplina, l’ordine e l’umiltà. Quindi l’arrivo in Italia grazie ad un amico chef, la solita intenzione di fermarsi solo per qualche mese che poi si trasforma in una perdurante scelta di vita.

L’evoluzione di Marzapane, a Roma

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“Noi stiamo cambiando assieme ai clienti, ascoltando le loro impressioni. Quelli fidelizzati, che vengono spesso al nostro ristorante, vivono in prima persona le evoluzioni ma anche le possibili involuzioni. Il cliente romano è difficile, rischiando troppo non sempre si ha un riscontro positivo, si deve sempre cercare l’equilibrio, riuscire a mettere la propria anima nei piatti in un modo che sia comprensibile”. Dopo alcuni anni, Alba ha ormai capito cosa si aspetta la sua clientela, e riconosce che azzardare molto sia piuttosto difficile; c’è stata una bella crescita nei piatti, nelle idee, ma sempre un passo dopo l’altro, tanti piccoli ma costanti avanzamenti. “Roma è la città dei compromessi, ci sono clienti abituali che ogni volta chiedono sempre e solo gli stessi piatti, come ad esempio la mia Carbonara, e noto che cambiare le loro abitudini richiede un lavoro incredibile e tanta pazienza”. Colgo un po’ di scoramento nelle parole della chef, perché in pratica il piatto che ha contribuito al suo successo la tiene in un certo senso “prigioniera”.

Da Marzapane il cambiamento più grande è stato fatto ad ottobre tra sala, arredi, design e stoviglie, ma ogni trasformazione richiede molto lavoro, “servono 2-3 mesi per realizzare il tuo pensiero”. La chef mi dice che a suo avviso un cambio strutturale del format si può fare ogni paio d’anni, perché è faticoso, impegna molto anche dal punto di vista economico per gli investimenti e per i giorni di chiusura, per le tante prove che non vanno a buon fine.

La cucina di Alba Esteve Ruiz

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“Tutte le offerte ristorative sono differenti e particolari. Abbiamo costruito Marzapane pensando al tipo di locale nel quale avremmo voluto mangiare, accogliente, ospitale, confortevole, cercando uno stabile equilibrio tra la cucina e la sala”. Quando chiedo ad Alba di indicarmi un piatto che possa rappresentarla mi risponde che le piace dire sempre che è l’ultimo che ha ideato e creato, perché ci ha appena lavorato e riassume le esperienze più recenti, i viaggi, le materie prime scoperte. C’è però un piatto in carta che non vorrebbe togliere, il “Manzo”, perché ha avuto molte evoluzioni: prima ha utilizzato il filetto, poi l’entrecote, quindi la costata. La cottura attuale è fatta al barbecue, mentre prima la carne era coperta di sale e spezie, cotta intera e poi porzionata; prima ancora veniva pulito il controfiletto, mentre ora la pancia di maiale ha una copertura esterna, la camera del barbecue è portata a 130 °C ed all’interno a 53 °C, preparando ogni giorno la carne prima del servizio. “Mi piace il fatto che abbia avuto una costante evoluzione: questa versione è quella perfetta per me”. Ma la Ruiz capisce che stando sempre chiusi in cucina c’è bisogno di cambiare, portare novità, perché una brigata giovane si aliena nel preparare sempre gli stessi piatti.

La lotta allo spreco ed il rapporto con i produttori

Ogni chef con il quale ho il piacere di parlare, come per esempio Cristina Bowerman intervistata sempre per Il Giornale del Cibo, mi risponde allo stesso modo quando chiedo quanto si può lavorare evitando sprechi a Roma: non è possibile. Alba è sulla stessa lunghezza d’onda dei suoi colleghi: “Puoi prestare la massima attenzione possibile agli sprechi ma sei dentro una città che non ti aiuta. Ti senti con le mani legate, vorresti fare di più ma noti che non ti è permesso. Non c’è assistenza, le istituzioni non cooperano con noi. In questo tipo di città una vera lotta allo spreco ora non è attuabile”. I ragazzi in sala preparano la mise en place, curano ogni dettaglio, mentre noi ci confrontiamo su vari temi: dal food cost alla gestione delle risorse, passando per il rapporto con grandi distributori e piccoli fornitori. “Abbiamo tanti piccoli produttori con i quali lavoriamo, ad esempio un’azienda in Toscana che alleva faraone e piccioni, ma ne ha a disposizione circa 100 per 3 mesi e quindi prima di mettere un piatto in carta devo valutare l’effettivo consumo della materia prima per capire se l’azienda può fornirle puntualmente il prodotto. Deve costruire piatti che possano essere compatibili con le quantità di prodotto a disposizione, una cosa che alla lunga però risulta limitante. “Lei li spella, li uccide, li confeziona, si accontenta della sua dimensione, probabilmente ha paura di investire o di gestire numeri più grandi ed è un peccato perché ciò ricade anche su di noi”.

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Lo chef-manager e la Sala

Secondo Alba Esteve Ruiz, lo chef ha sempre svolto anche il ruolo di manager, ed è importante avere questa doppia mansione perché occuparsi solo della cucina non consente di avere una visione d’insieme del locale nel quale si lavora e del mondo dell’enogastronomia. “Per me e per il ristorante è importante che io possa partecipare ad eventi, viaggiare, per portare in casa nuove esperienze. Arricchisce tutti, ma ciò richiede un grosso lavoro nel ristorante per fare in modo che tutto possa funzionare anche quando manco io”. Le chiedo della Sala, del movimento a favore di una riqualifica della stessa, ed Alba mi dice che spesso le chiedono quanto sia difficile lavorare con Michelle (responsabile di sala del Marzapane e marito della chef), perché per una coppia lavorare assieme non è facile, si rischia di contaminare il lavoro con le questioni personali e viceversa. “Ma è anche vero che lui conosce tutto di me, il percorso evolutivo di creazione dei piatti, i pensieri, le attese, le pause di riflessione, quindi riesce a trasmettere meglio di chiunque altro l’anima delle mie proposte. Nessuno lo saprà fare mai come lui, è un valore aggiunto”. Per Alba la sala ha sempre avuto un ruolo fondamentale che però spesso in passato non le è stato riconosciuto. “Tutti sceglievano di lavorare come cameriere senza avere le necessarie competenze. Questo mestiere è sempre stato considerato un ripiego, ma da 3-4 anni è finalmente cambiato l’approccio, si pensa al lavoro in sala con più prestigio”.

La creazione di un menu e il futuro

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“Per creare un menu non esiste una unica metodologia”, questo il credo di Alba che, per quel che concerne i dessert, parte spesso dal colore, perché ritiene fondamentale per questo tipo di portata la componente cromatica. “I viaggi e le uscite mi smuovono molto, stare in cucina da mattina a sera per mesi mi blocca del punto di vista creativo, ho bisogno di uscire per vedere altro, scoprire cose”. Quando crea i piatti di un nuovo menù la chef segue tanti differenti elementi, i cambiamenti stagionali ad esempio, ed ama realizzare e proporre 4 piatti per portata, uno a  base di pesce, uno di carne, uno vegetariano, perché vuole che tutti possano trovare ciò che amano. Quando le chiedo del futuro (“dove ti immagini oggi, tra tre anni?”) mi risponde “Sinceramente non ho idea di cosa farò in futuro, dove sarò, ma ci penso tutti i giorni”. Alba non riesce ad immaginare uno scenario in particolare e si pone obiettivi di anno in anno che voglio raggiungere con grande determinazione. “Da bimba dicevo che non mi sarei mai fidanzata ed ora sono sposata. Mi piaceva viaggiare, cambiare, saltare da un posto all’altro; Marzapane è arrivato molto presto, avevo in mente di girare di più prima di avere un posto mio”.

Cercare di gestire al meglio le due cose, la realtà di un ristorante di successo e la sua necessità di girare, perché non vuole sentirsi “piena di una cosa e vuota dell’altra”. La possibilità di viaggiare sempre come punto fondamentale per la vita di Alba Esteve Ruiz, per il suo modo di pensare, d’essere: “quando passo un mese e mezzo o due chiusa in cucina devo necessariamente andare da qualche parte per vedere qualcosa di nuovo”. Viaggiare per tornare, è il mood della vita di una donna che da bambina sognava di diventare una chef.

Alba Esteve Ruiz è una delle più giovani esponenti dell’alta ristorazione capitolina e fa parte di un gruppo di chef che in pochi anni hanno saputo conquistare pubblico e riconoscimenti, come nel caso di Marco Martini: ecco la sua intervista con la quale abbiamo inaugurato questa rubrica.

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