Vigneto al tramonto

Il Most, il vino da agricoltura sociale che parla romagnolo

Angela Caporale
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    Il Most è un vino che nasce dai terreni abbandonati in Romagna, a cui viene data nuova vita da un gruppo di agricoltori sui generis. Il Most è anche il nome del progetto realizzato dalla Cooperativa La Fraternità di Rimini che coniuga lo sviluppo sociale e umano di un territorio con la viticoltura e con l’inclusione di persone con disabilità. Il Most, infatti, è più di un vino, ma un importante progetto di agricoltura sociale e ogni bottiglia è il risultato di un ecosistema che mette al centro le relazioni tra i bisogni e le risorse della terra e quelli delle persone che la coltivano. Conosciamolo meglio!

    Il Most: agricoltura sociale, integrazione e sostenibilità

    Raccolto uva

    Miljan Zivkovic/shutterstock

    Il Most è uno dei progetti della Cooperativa La Fraternità, attiva a Rimini e in Romagna dal 1992 ed è operativa in Emilia-Romagna (Regione dove è stata approvata una legge speciale che promuove e riconosce l’agricoltura sociale), Veneto, Marche e Umbria. La coop gestisce 12 centri dedicati ad attività socio educative per persone con disabilità e quattro realtà che offrono opportunità di lavoro a persone che vivono in contesti fragili: l’obiettivo è l’integrazione, ma rimuovendo le cause di generano ingiustizia sociale e fornendo alle persone degli strumenti di indipendenza e crescita.

     

    L’idea, quindi, di un prodotto come il vino che potesse essere occasione di crescita, sviluppo e formazione per persone con disabilità nasce, quindi, tra gli operatori della cooperativa ma si è realizzata grazie all’incontro con alcuni cruciali partner. La famiglia Brigliadori che ha coltivato per decenni il vigneto che oggi è curato dal Most: ci troviamo sulle colline di Borghi, frazione di Tribola a pochi chilometri da Santarcangelo di Romagna. Loro per primi hanno sposato l’idea di un progetto di agricoltura sociale su terreni che, altrimenti, sarebbero stati abbandonati. C’è poi il vivaio Il Garden, che si prende cura insieme alle persone che frequentano le realtà educative della Fraternità, del verde e la Collina dei Poeti, la cantina scelta per trasformare in vino l’uva coltivata con amore, pazienza e rispetto per la terra.

    I “vignaioli premurosi” che amano la vita tra i filari

    Vignaiolo che pota l'uva

    AlexandrMusuc/shutterstock

    I veri protagonisti del Most, però, sono le persone che ogni giorno si prendono cura degli vigneto, quelli che gli educatori chiamano “premurosi vignaioli” proprio per la cura estrema dedicata a questa attività. In totale sono più di 30 e si occupano della semina, della potatura, di tutte le azioni necessarie per la crescita dell’uva fino ad arrivare alla vendemmia, il momento principale dell’anno per tutti i viticoltori. Si tratta di persone che frequentano i centri educativi della cooperativa e che, grazie all’attività tra i filari, possono sviluppare autonomie, competenze e capacità preziose.

     

    Sono tante e diverse le storie dei vignaioli premurosi che permettono di realizzare Il Most. C’è Daniele, lavoratore instancabile ma dal ritmo lento, di chi sa che si può fare un buon lavoro e un buon vino anche con la testa fra le nuvole della “Romagna solatia”, oppure Yuri che ama cantare Vasco mentre pota le viti, e ancora Salvatore che ama festeggiare ogni ricorrenza e distribuire grandi sorrisi anche nei momenti di lavoro più duri.

     

    Sono persone che vengono da situazioni fragili oppure con disabilità, ma tra i filari hanno tutti gli stessi compiti – ascoltare, in primis, i bisogni delle piante – e insieme collaborano per arrivare all’obiettivo. E l’obiettivo è sì la bottiglia di vino Il Most, ma anche la condivisione, la crescita e la soddisfazione di aver contribuito alla realizzazione di qualcosa di tangibile. 

     

    Non è un caso che il vino si chiami “most”. Da un lato, c’è il chiaro riferimento alla Romagna dove “most” è il mosto, ovvero il liquido denso e ancora torbido che tramite la fermentazione diventerà vino. Ma “most” in inglese indica un superlativo, ma da solo non ha significato: dev’essere accostato ad un altro termine e, allora, ne intensifica potenzialità e proprietà. Un messaggio forte.

    Il Most, che vino è?

    Grappolo d'uva bianca in vigna

    annasf83/shutterstock

    Il risultato di questo lungo percorso fatto di incontri, di inclusione, di scambio è una doppia proposta: Il Most Bianco Rubicone e il Most Romagna Sangiovese Doc. Due vini tipicamente romagnoli, pensati per abbinarsi con tutti i piatti della tradizione, ma anche per portare un po’ dello spirito di questa terra ospitale in giro per l’Italia.

     

    I vini de Il most, infatti, sono venduti direttamente dalla cooperativa La Fraternità nell’ambito degli eventi a cui partecipa, ma anche online sul sito lamadreterra.it che raggruppa tanti prodotti realizzati in una filiera sostenibile di agricoltura sociale.

     

    Conoscevate questo progetto?

     

    Passaporto friulano e cuore bolognese, Angela vive a Udine dove lavora come giornalista freelance. Per Il Giornale del Cibo scrive di attualità, sociale e food innovation. Il suo piatto preferito sono i tortelloni burro, salvia e una sana spolverata di parmigiano: comfort food per eccellenza, ha imparato a fare la sfoglia per poterli mangiare e condividere ogni volta che ne sente il bisogno.

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