valli da pesca

Un viaggio tra i valesàn e le antiche e quasi scomparse valli da pesca

Giulia Ubaldi
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    “Stiamo scomparendo”. Esordisce così Vittorio Nalon, uno degli ultimi valesàn rimasti. Ma chi sono i valesàn? Sono quei pochi che ancora oggi si occupano delle valli da pesca, quei territori lagunari che vanno da Grado al Delta del Po, passando per Chioggia, Venezia e Marano. Luoghi non a caso ma con particolari caratteristiche, dove il flusso di correnti circolari favorisce sia il passaggio del novellame, sia le migrazioni degli uccelli. Ma ciò che rende uniche le valli da pesca di Marano, quelle di cui vi parleremo oggi, è il fatto di essere le più piccole in assoluto e insieme anche le più accessibili, visto che si trovano a ridosso del paese (che per altro è stupendo!), raggiungibili anche in auto (e non solo in barca come altrove). Quindi sono valli più gestibili e ”facili” da tenere sotto controllo: vi basti pensare che la più grande valle da pesca di Marano è di circa 30 ettari, mentre a Chioggia o Venezia vanno dai 300 in su.

    Dunque, cerchiamo di capire che cosa sono di preciso queste valli da pesca e perché sono così importanti da un punto di vista ecologico e ambientale.

    Che cosa sono le valli da pesca? 

    Le valli da pesca sono uno degli esempi più importanti di integrazione tra ambiente e attività umana. Si tratta infatti di parti della laguna che nel tempo sono state addomesticate dall’uomo, cioè dove la pesca è stata organizzata nel rispetto degli spazi naturali. “Questo le differenzia dagli allevamenti intensivi, con cui non vanno affatto confuse” ci spiega Vittorio, “perché c’è un’attenzione totalmente diversa per l’ambiente e per ogni forma di vita”.

    valli da pesca

    Foto di Vittorio Nalon

    Fu già in epoca romana che gli abitanti delle zone lagunari si resero conto che, in primavera, i pesci più piccoli entravano naturalmente nelle lagune “per alimentarsi trasportati dalla corrente di marea che, salendo dalla costa orientale dell’alto Adriatico, passa per il golfo di Trieste e ridiscende entrando poi nelle lagune” continua Vittorio. “Successivamente, in autunno, con l’abbassamento delle temperature e l’accorciarsi delle giornate, abbandonano le lagune per tornare nei fondali marini e riprodursi”.

    In principio le parti di laguna venivano delimitate solo con recinzioni in graticci di canna palustre, che servivano a contenere il pesce in determinati spazi limitati. “Poi, con il progredire della tecnica e della conoscenza, sono arrivati gli argini in terra fissi, sempre con lo scopo di favorire l’entrata e la permanenza dei pesci”. Anche per questo la presenza dell’uomo è diventata di primaria importanza nelle valli.

    La figura del valesàn, custode delle valli

    L’attività umana nelle valli da pesca è fondamentale per vari motivi, come ad esempio per  regolare l’afflusso e il deflusso dell’acqua per il ricambio idrico utile a favorire il benessere del pesce presente. Infatti, se l’uomo non esercitasse più la sua presenza, questi territori tornerebbero semplicemente a far parte della laguna e il pesce sarebbe solo di passaggio. A tal proposito c’è proprio un mestiere specifico: il valesàn, inutile provare a tradurlo perché intraducibile (“valligiano“ o “abitante delle valli” sarebbe scorretto). Il valesàn è il valesàn, cioè la figura che si occupa a tempo pieno delle valli da pesca. “Il nostro è un mondo variopinto, ricco di termini che identificano parti e attività nelle valli. E adesso, è anche un mondo in crisi”.

    Valli da pesca: la crisi del settore

    Il declino delle valli da pesca è iniziato nel momento in cui si è riusciti a riprodurre negli allevamenti gli avannotti, cioè i piccoli nati dei pesci quando diventano adulti e terminano la fase larvale. In passato, infatti, solo le valli avevano l’approvvigionamento naturale del novellame, ossia i pesci più giovani; poi con la riproduzione artificiale e la conseguente possibilità di pianificare industrialmente la produzione c’è stata un’esplosione degli allevamenti intensivi. Questa trasformazione ha messo in crisi anche un’altra figura storica della comunità lagunare, il pescanovellante, cioè quel pescatore che in primavera raccoglie il novellame in laguna per poi offrirlo alle valli da pesca.

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    Foto di Vittorio Nalon

    “Oggi nelle valli da pesca c’è sia un’entrata naturale degli avannotti che avviene in primavera, come in passato, sia un’immissione da parte del valesàn che li acquista dalle avannotterie o dai pescanovellanti appunto, sempre in primavera. Nnegli allevamenti intensivi, invece, questa pratica avviene anche più volte l’anno perché non c’è bisogno di rispettare la stagionalità imposta dai ritmi naturali che governano la valle da pesca. Si immettono forzatamente gli avvannotti nelle valli perché la solo quantità di quelli che entrano naturalmente non è sufficiente a consentire di ottenere un reddito di sopravvivenza dalla sua vendita al termine del ciclo di allevamento, dato che i costi fissi in una valle sono molto elevati. Questo accade perché nell’ultimo ventennio c’è stata una rapida caduta del prezzo di vendita del pescato (sempre a causa dell’incremento dell’offerta di pesce per la nascita degli allevamenti intensivi) e per sopperire si è dovuto aumentare la produzione. Dunque, allevare pesce in valle non è più conveniente: costi fissi più elevati, difficoltà di allevamento dovuta ai tempi più lunghi di crescita del pesce, maggiori vincoli ambientali, climatici e logistici. E così, stanno scomparendo dei mestieri, come il pescanovellante, che un tempo creavano posti di lavoro e arricchivano un’economia circolare che ormai non esiste quasi più. E insieme stiamo perdendo anche la memoria storica di questi luoghi”.

    Ecco come le valli hanno perso molto della loro importanza economica e sociale. Infatti, se prima della nascita degli allevamenti intensivi, i pesci una volta immessi nelle valli da pesca vivevano anni cibandosi di quello che trovavano, con la riproduzione “artificiale” degli avannotti le cose sono cambiate. Oggi chi pratica la vallicoltura per avere un reddito ha dovuto per forza integrare l’alimentazione naturale con il mangime, per avere una maggiore produzione. “Chi si può permettere un’alimentazione naturale al 100% ha altre fonti di reddito e la vendita del pesce incide minimamente sul bilancio aziendale”. Il pesce che non si nutre di mangime ha sicuramente una peculiarità in più, ma questo non significa che sia migliore, in quanto la componente ‘mangime’ è solo una delle tante variabili che entrano in gioco nell’allevamento del pesce. Invece, quello che possiamo dire è che le valli erano l’ambiente ‘naturale’ per l’allevamento del pesce, ma non quello ‘ideale’ che invece è stato trovato in mare con lo sviluppo dell’allevamento intensivo in gabbie.” Per tutti questi motivi, le valli da pesca sono luoghi preziosi per la biodiversità.

    Baluardi di biodiversità

    Di certo, le valli danno un grande contributo al mantenimento della biodiversità, ittica e faunistica. “Ma mantenere la biodiversità significa anche convivere con un ambiente non asettico, che segue le leggi e i vincoli della natura: il caldo o il freddo eccessivo; gli ittiofagi, cioè uccelli che mangiano pesci, come i cormorani che da anni colpiscono tutto il territorio lagunare; o ancora, l’aumento delle alghe che beneficiano per il loro abnorme sviluppo dell’apporto di sostanza organiche e inorganiche dei centri urbani, delle industrie e dell’agricoltura. E il valesàn deve convivere con tutto questo”. Ecco perché e come nel tempo le valli sono state sempre più abbandonate, tranne da pochi stoici valesàni che resistono, proprio come la famiglia Nalon, che sono stati la nostra fonte principale per tutto quello che abbiamo imparato sulle valli da pesca.

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    Foto di Vittorio Nalon

    I Nalon, valesàn da generazioni 

    “La valle da pesca è uno stile di vita”. I Nalon lo sanno bene e non hanno alcune intenzione di smettere. “La nostra è una sfida continua: con la natura, con i tempi. Ma questo lavoro mi stimola troppo” continua Vittorio, “anche perché cambia sempre con il ritmo delle stagioni e ogni anno è diverso dai precedenti; poi quando pensi di aver capito tutto, c’è sempre qualcosa di nuovo da imparare”.

    Tutto è iniziato con Ivo, il padre di Vittorio, che rimase affascinato dal mondo della vallicoltura. Così nel 1978 decise di iniziare a dedicarsi a tempo pieno a quella acquistata da suo padre anni prima, l’attuale valle da pesca dell’azienda Nalon: 30 ettari, di cui 18 di acqua e 12 di terra. L’azienda è poi passata nelle mani del padre Ivo e poi è arrivata alla terza generazione con l’attuale Vittorio, di 37 anni, il primo di cinque figli ma l’unico che ha deciso di continuare l’attività di famiglia. “E non ho alcuna intenzione di smettere! Anche perché le valli da pesca hanno un ruolo di presidio ambientale, in quanto mantengono un territorio che fa parte della cultura e della storia di una comunità.

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    Foto di Vittorio Nalon

    Ad oggi producono principalmente orate e branzini, le specie allevate storicamente in valle. “Il ricambio delle acque avviene costantemente ogni giorno dalla primavera all’autunno, tramite un sistema meccanico di chiuse. In inverno è meno frequente perché il metabolismo del pesce rallenta e i consumi di ossigeno si riducono. In questo modo, entrano anche crostacei e altri pesci quando sono piccoli e diventano parte della catena alimentare, in quanto cibo naturale per branzini e orate”.

    Per tutti i motivi di cui vi abbiamo parlato, delle venti valli circa che c’erano in passato a Marano, oggi quelle rimaste in attività si contano sulle dita di una mano. “Credo che sia importante che i proprietari continuino a mantenere efficienti le loro valli da pesca con i loro tratti caratteristici, nella speranza che i consumatori riscoprano l’originalità del pesce da loro prodotto in luoghi così pieni di fascino. In paziente attesa, quel momento sono certo che tornerà”, conclude Vittorio. Ma come facciamo oggi a trovare il suo pesce?

    Dalle valli da pesca alla tavola: pescivendole in bicicletta e venditori ambulanti 

    In passato il pesce della laguna di Marano veniva venduto dalle signore con la cariola o con il bigol, un bastone ricurvo sulla schiena con appesi i cesti di pescato del giorno. Poi hanno iniziato ad andare in giro per il Friuli in bicicletta, proprio come la nonna e la mamma di Andrea Regeni, oggi pescivendolo ambulante dell’azienda del Pesce Biondo, dal soprannome di famiglia. Sempre lui ha realizzato un documentario su queste ultimi appendici, cioè sulle più anziane pescivendole di Marano, che oggi sono quasi tutte purtroppo venute a mancare.

     

    Nel tempo si è passati alla vendita porta a porta con i furgoncini, come oggi a Lignano e dintorni, dove Andrea vende direttamente a porta a porta: “c’è una sorta di accordo morale non scritto tra noi venditori, per cui ognuno ha i suoi clienti”. Parte del suo pesce, Andrea lo prende dall’azienda Nalon perché “si tratta di un prodotto curato e di qualità, proveniente da un allevamento non intensivo e quindi più richiesto dai clienti. Infatti qui si dice: “chi mangia il pesce di Marano avrà mente e corpo sano”. E si sente subito anche dal sapore, perché le flora e fauna lagunari danno al pesce caratteristiche particolari, con una sapidità diversa, molto più intensa e profonda. Ma non solo al pesce: lo stesso accade anche con il vino.

    Vigneti nelle valli da pesca: con Fausto Ghenda nasce il “Vino di Laguna”

    Fausto Ghenda è l’unico produttore di quello che ha genialmente chiamato “Vino di Laguna“. Per un periodo anche lui ha avuto una valle da pesca attiva, poi a causa della crisi, degli allevamenti più competitivi e in generale della crescente globalizzazione, si è trovato costretto, suo malgrado, a chiudere, ma non ad abbandonare. Così, nello stesso territorio lagunare, ha iniziato a produrre vini con vigneti situati nelle valli da pesca: Malvasia istriana, Sauvignon, Bianco Friulano, Verduzzo, Refosco, Cabernet Franc, Merlot e anche una bollicina di Pinot Bianco, il Bufole de Paluo. Il risultato è il seguente: vini con una personalità unica e una sapidità particolarmente spiccata, che risentono tanto della brezza estiva quanto dello scirocco invernale, ma soprattutto dell’acqua salata che li circonda. “Il sale qui è una componente onnipresente, in ogni momento”. E così è anche grazie ad altre produzioni come questa vitivinicola che si riesce a preservare e mantenere il territorio delle valli da pesca.

     

    E voi avevate mai sentito parlare di questo affascinante mondo della vallicoltura?

    Antropologa del cibo, è nata a Milano, dove vive e scrive per varie testate, tra cui La Cucina Italiana, Scatti di Gusto, Vanity Fair e le Guide Espresso. Il suo piatto preferito sono gli spaghetti alle vongole, perché per lei sono diventati un'idea platonica: "qualsiasi loro manifestazione nella realtà sarà sempre una pallida copia di quella nell'iperuranio". Nella sua cucina non mancano mai pistilli di zafferano, che prima coltivava!"

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