The Harvest: il docu-film sugli “schiavi” dell’Agro Pontino
Seminano, piantano, raccolgono. Tutti i giorni dell’anno, con qualsiasi clima, per 12 ore a giornata. Apparentemente protetti da contratti in realtà regolarmente disattesi, prendono 4 euro all’ora nella migliore delle ipotesi, spesso botte, addirittura droghe per riuscire a resistere alla fatica e rendere di più. Sono gli indiani di etnia Sikh che lavorano nei campi dell’Agro Pontino, costretti da padroni e caporali senza scrupoli e da un sistema malato ad una vita massacrante: alle loro storie è dedicato The Harvest. Storie di un nuovo caporalato agricolo in Italia, il docu-film di Smk Videofactory di cui sono appena terminate le riprese e che grazie al crowfunding uscirà il prossimo anno.
The Harvest: la storia dei braccianti Sikh raccontata da un film sul Caporalato
Èuna vicenda di ordinario sfruttamento, di caporalato, di schiavitù 2.0 che sembra rispettare i canoni di tante altre nascoste tra i filari dei campi di tutta Italia, ma ha delle peculiarità che la rendono unica: è la storia dello sfruttamento intensivo e premeditato di migliaia di lavoratori stranieri, della stessa origine e a migliaia in un fazzoletto di chilometri quadrati, in nome della produzione e dell’efficienza. Molti degli ortaggi che arrivano dalla provincia di Latina sulla nostra tavola hanno il marchio di una storia vergognosa, che solo oggi sta emergendo e il docu-film contribuirà a rendere nota.
Gli indiani originari del Punjab hanno cominciato a viaggiare verso l’Italia negli anni ottanta, e oggi vivono in diverse regioni della penisola: una delle concentrazioni più rilevanti è quella della provincia di Latina, dove secondo le ultime stime sono 15 mila. Quasi tutti lavorano nei campi della zona. Braccianti agricoli per tradizione, qui, nel triangolo Latina-Sabaudia-Terracina, hanno trovato pane per le loro braccia. Non sono stagionali, non sono i migranti che girano l’Italia a seconda della stagione, non sono i raccoglitori di pomodori assoldati durante l’estate da caporali senza scrupoli. Sono in pianta stabile qui e da questo tunnel a due passi dalla capitale non trovano via d’uscita. Lo scorso 18 aprile, per la prima volta, una manifestazione della Cgil li ha fatti venire allo scoperto, dopo le denunce di associazioni locali e in particolare della onlus In Migrazione. Erano in tanti, con tante storie da raccontare, ma pochi avevano davvero voglia di farlo: in un contesto così delicato e teso, in cui un passo sbagliato può mandare all’aria anche quei pochi euro all’ora, in tanti hanno preferito tacere.
The Harvest, il film sul Caporalato: un’inchiesta a ritmo di bhangra
Per raccontare al meglio questa storia, la produzione di The Harvest ha dovuto sbatterci il muso: “È stato scioccante – racconta Andrea Paco Mariani, il regista – apprendere dalla loro voce che prendono due euro l’ora ma hanno i documenti in regola. Ma tanti sono gli aspetti che ci hanno profondamente colpito, anche se apparentemente il più forte è il problema delle droghe”. È uno degli aspetti più sconvolgenti della vicenda: questi braccianti sono costretti per reggere i ritmi di lavoro ad assumere sostanze dopanti (meta-anfetamine, oppiacei, antispasmici. Ovviamente comprati a loro spese: arrivano in Italia sborsando migliaia di euro, altrettanti ne servono per il permesso di soggiorno, tanti soldi vanno via per l’affitto e per vivere.
Rimane ben poco, ma la catena ti impedisce di muoverti, la stessa catena che ha fatto diventare un lavoro stagionale un’occupazione a ciclo continuo, e che costringe i lavoratori a non protestare nonostante turni massacranti, salari in ritardo, violenza verbale e fisica.
“Qui il rischio di essere picchiati o licenziati per aver detto una parola di troppo è alto – dice Mariani –, per questo abbiamo scelto la strada del film, il primo dopo sette reportage: è un modo per tutelare chi ci ha regalato la sua vicenda personale. Questa storia ci ha travolto e ce ne siamo “innamorati”, stupendoci ogni giorno di più di quel che sentivamo raccontare. Tutto questo avviene a meno di cento chilometri da Roma”. Dove si prendono decisioni anche sul caporalato, ma dove sinora nessuno è riuscito ad arginare seriamente il fenomeno.
The Harvest racconta la vicenda attraverso un genere inedito, il docu-musical, e intrecciando tre stili narrativi diversi: le interviste, la fiction per ricostruire, tutelando i veri protagonisti, le dinamiche di vita quotidiana e di sfruttamento sul luogo di lavoro, e la musica, attraverso la quale vengono sciolti nodi delicati come quello dell’utilizzo di sostanze dopanti da parte dei lavoratori. “La scelta musicale – dice ancora il regista – ha due ragioni fondamentali: in primo luogo si tratta di un esperimento in termini di linguaggio, e poi è una scelta politica, non solo per raccontare in modo diverso ma anche per comunicare qualcosa”. Il genere musicale bhangra, originario per l’appunto del Punjab, è stato identificato come il più adatto, sia per sonorità che per le tematiche trattate nei testi”.
La coproduzione
The Harvest, oltre che tentare di raggiungere finalità sociali già piuttosto chiare, parte da una scelta di campo chiara anche nella produzione: la Smk Videofactory, costituita da videomakers e mediattivisti bolognesi e capace sinora di produrre documentari a sfondo sociale e lavori di denuncia, anche per questo lavoro ha scelto il metodo della coproduzione e il crowdfunding, mentre il prodotto sarà distribuito sotto licenza libera Creative Commons.
La coproduzione popolare, si legge nel sito del film, è il modello di sostenibilità scelto da Smk, che si avvale della piattaforma Produzioni dal basso: “Ci permette di realizzare le nostre opere creative in modo indipendente, senza dove sottostare alle logiche del mercato cinematografico; ci permette di raccontare storie che altrimenti rimarrebbero ai margini delle narrazioni dei media mainstream; ci permette di rendere realmente “popolare” un’opera fin dalla sua nascita”.
Ora, terminate le riprese, il docufilm sul caporalato è nella fase di post produzione, mentre il crowdfunding prosegue sperando di raggiungere la cifra agognata, 30mila euro. L’uscita è prevista nel primi mesi del 2017.
Caporalato, i 100mila sfruttati italiani
La vicenda dell’agro pontino è uno zoom notevole all’interno di un quadro desolante, che bene ha descritto il recente rapporto Agromafie e caporalato di Flai-Cgil: oltre 400mila coinvolti nel fenomeno, un danno all’agricoltuta di oltre tre miliardi di euro, 100 mila in condizioni di sfruttamento. Abbiamo scandagliato più volte il fenomeno caporalato in Italia, analizzando i dati e cercando soluzioni: come ci ha spiegato il sociologo pugliese Leonardo Palmisano, autore dell’inchiesta Ghetto Italia, si tratta ormai di un cancro che permea l’Italia.