Te’: Cosa C’è In Una Tazza Di Tè?
di Gianluigi Storto.
3° appuntamento con l’approfondimento di Gianluigi Storto, chimico ed esperto di tè, nonché autore del libro “Il tè, verità e bugie, pregi e difetti” (Avverbi editore, Roma 2006). Questa volta Gianluigi ci spiega che cosa c’è in una tazza di tè…
La caffeina
La caffeina è un alcaloide naturale scoperto nel 1819 nei semi della pianta del caffè. Come la maggior parte degli alcaloidi, ad eccezione della nicotina che è marroncina, si presenta in forma di polvere bianca o di cristalli aghiformi, dall’aspetto sericeo, flessibili, capaci di assorbire l’umidità dell’aria. Non ha odore ma un caratteristico sapore amaro, ampiamente sfruttato in alcune bibite analcoliche di larghissima diffusione. È molto solubile in acqua calda e questo è il motivo per cui passa facilmente in soluzione negli infusi delle foglie o semi che la contengono.
Quando nel 1827, analizzando le foglie della Camellia sinensis, si scoprì una sostanza apparentemente dotata delle stesse caratteristiche fisiologiche, si pensò a una molecola diversa, dato che la pianta del caffè appariva molto differente da quella del tè dal punto di vista botanico e per habitat naturale. Infatti il caffè è un arbusto di origine africana mentre la Camellia sinensis è originaria dei boschi al confine fra la ex Birmania e la Cina. Così la sostanza trovata nel tè fu chiamata teina. Solo successivamente fu dimostrato che invece si trattava della stessa sostanza e così, anche se molti continuano a chiamarla teina quando si trova nel tè e caffeina quando si trova nel caffè, in ambito scientifico si usa un solo nome, quello di caffeina.
La cosa curiosa è che anche nei semi di un albero sudamericano, che quindi si trova in un habitat ancora differente, si riscontra la stessa sostanza. La pianta è quella del cacao, originaria del sud America.
La ragione della presenza della caffeina in alcuni vegetali, anche se differenti da un punto di vista botanico e originari di località così distanti fra loro, è spiegabile con il suo sapore amaro e con gli effetti di eccitazione del sistema nervoso. Questi effetti, infatti, vengono avvertiti come fastidiosi dai comuni animali erbivori. In questo modo essi si tengono lontani dalle piante, dalle loro bacche o frutti. Insomma, la caffeina è una difesa che alcune piante mettono in atto per proteggere le loro parti più delicate.
Come vedremo, un’altra classe di composti del tè, i polifenoli, hanno in natura un compito simile, quello, cioè, di tenere alla larga gli erbivori dalle foglie e soprattutto dai più teneri germogli e dai frutti in maturazione. Ne parleremo più avanti.
Attività fisiologica della caffeina: pregi e difetti. Importanza del dosaggio
La caffeina, da un punto di vista chimico, è simile ad alcune sostanze molto diffuse nel regno vegetale ed animale. Proprio questo fatto è alla base dei suoi effetti fisiologici sull’organismo. Se infatti essa fosse molto differente dal resto, avrebbe scarse possibilità di interagire con il normale metabolismo dell’organismo. Questa è una regola generale: le sostanze biologicamente più attive, sia nel bene che nel male, sono quelle che riescono a sostituire, a volte per semplice “inganno” chimico, altre sostanze impiegate nelle normali reazioni biochimiche di un organismo.
Quel “sia nel bene che nel male” spiega anche perché in generale, non esistano sostanze tossiche in senso assoluto: la tossicità di una sostanza dipende infatti dal suo dosaggio. Già i Greci l’avevano intuito,tanto che usavano la stessa parola, “farmacon” per indicare sia le medicine che i veleni. Un’aspirina fa passare la febbre, dieci mandano all’ospedale, trenta uccidono.
Cerchiamo ora di capire, senza addentrarci nei particolari più tecnici, come fa la caffeina ad esercitare i suoi effetti sul Sistema Nervoso Centrale.
Questi effetti sono molteplici: i più importanti sono lo stimolo diretto del SNC, con un conseguente aumentato senso di vigilanza psichico, resistenza alla fatica e al sonno, e dall’altra una aumentata capacità del muscolo cardiaco di rispondere agli stimoli del SNC.
Quindi ci sono anche altri effetti, come per esempio un generico aumento di pressione nei vasi periferici -laddove invece compare una certa dilatazione delle coronarie-, broncodilatazione, aumento della secrezione acida da parte dello stomaco –ecco perché chi soffre di acidità o di ulcera deve evitare il caffè e il tè- ed altri effetti minori come quello diuretico, il miglioramento generico dell’attività dei muscoli scheletrici con conseguente facilitazione dell’attività fisica, la mobilizzazione dei lipidi nel metabolismo, tanto è vero che in molti rimedi contro la cellulite si usano creme contenenti caffeina, a volte associata ad efedrina, che è un altro alcaloide.
La caffeina, promuove una decisa diminuzione del senso di affaticamento e un deciso miglioramento della capacità di concentrazione mentale, per esempio velocizzando la capacità di compiere calcoli (senza peraltro migliorare l’accuratezza degli stessi) o di compiere esercizi di tipo motorio, migliorando la precisione della loro esecuzione.
Ma come fa questa molecola ad esercitare questi effetti sull’organismo? Essenzialmente essa inibisce un enzima, che a sua volta degrada l’APMc, un ormone importantissimo per la regolazione di altri ormoni, fra cui l’adrenalina, l’ACTH, che stimola la produzione di cortisone endogeno, naturale, e di altri ormoni tiroidei che influenzano fortemente il SNC.
In definitiva un aumento di caffeina nel sangue provoca un incremento di questi ultime sostanze che esplicano la loro azione neurostimolante.
Le foglie del tè, oltre alla caffeina, contengono anche altri alcaloidi, abbastanza simili fra loro, non presenti nel caffè ma presenti nel cacao. Si tratta della teofillina e della teobromina. La prima, più attiva della caffeina nello stimolo del SNC, è tuttavia contenuta nel tè in quantità molto più basse della caffeina e il suo effetto principale è quello di indurre un generale rilassamento dei muscoli lisci, come quelli dei bronchi. E questa è la ragione per cui la si ritrova nella composizione di molti farmaci contro l’asma. La teobromina, invece, è massicciamente presente nel cacao, anche se nel tè si può ritrovare a dosaggi interessanti, a volte simili a quelli della caffeina. Una particolarità della teobromina, è che essa è assolutamente velenosa per i cani, i gatti e in genere i piccoli mammiferi. Una tavoletta di 100 grammi di cioccolato solido, per esempio, è capace di uccidere un cane di taglia media con sintomi che appaiono molte ore dopo l’assunzione, in condizioni quindi che difficilmente permettono di capire cosa sia successo alla povera bestia.
Il mal di testa di chi non prende da un po’ di tempo caffè o tè
La caffeina provoca una blanda dipendenza, anche se test su animali escluderebbero una definizione stretta di dipendenza. Come conseguenza di questa lieve dipendenza, capita che chi è costretto, per vari motivi, ad interromperne l’assunzione, avverta i sintomi, lievi in verità, dell’astinenza forzata. Ed ecco comparire il famoso mal di testa generalizzato e pulsante, spesso accompagnato da nausea e a volte da vomito, che viene ai bevitori abituali di caffè o di tè quando, per varie ragioni, essi devono improvvisamente smettere di assumerli.
Vediamo di capirci qualcosa. Fortunatamente, anche se il problema non viene trattato farmacologicamente, per esempio con farmaci contenenti caffeina, esso si risolve da solo in un paio di giorni senza alcuna conseguenza, almeno in soggetti sani.
Ma a cosa è dovuto questo mal di testa?
È dovuto all’improvvisa diminuzione, nel flusso sanguigno, di quegli ormoni (adrenalina, ACTH e tireotropo) che la caffeina, come abbiamo visto sopra, aveva fatto crescere e al cui tenore l’organismo si era ormai abituato.
Succede così che la pressione dei vasi periferici scende e siccome il cervello è ricco di vasi sanguigni, la pressione diminuisce anche all’interno di quest’organo così importante. Al cervello arriva cioè meno sangue e questo, per l’organismo, è un fatto gravissimo, dato che l’apporto di ossigeno al cervello deve essere comunque e sempre garantito in maniera costante. Il cuore reagisce immediatamente, pompando una maggiore quantità di sangue ai vasi cerebrali e riporta così nella norma l’apporto di ossigeno al cervello ma, così, fa anche aumentare la pressione endocranica. Scatenando così il mal di testa.
Ci sono tre modi per risolvere questo fastidio. Uno, un po’ banale, consiste nel prendersi una tazzina di caffè o una bella tazza di tè. In alternativa si può ricorrere a farmaci da banco contro il mal di testa –e guarda caso, se andate a sbirciare nella loro composizione, troverete proprio la caffeina- oppure, infine, si può aspettare qualche giorno in modo che l’organismo riassesti automaticamente i propri equilibri ormonali riportando le cose a posto.
Un ansiolitico nel tè!
Non è raro ascoltare da chi beve abitualmente tè, che la bevanda induce una certa sensazione di tranquillità e di maggiore serenità, anche se associata a una maggiore vigilanza psichica e prontezza fisica. Ora, se la caffeina è in grado, come abbiamo visto, di spiegare bene i primi due effetti, ad essa non possono certamente essere attribuite proprietà ansiolitiche. D’altra parte queste ultime sono spesso riportate anche nella tradizione orientale. Non per nulla la cerimonia giapponese del tè ebbe all’inizio un certo legame con i cerimoniali di preparazione alla guerra e in battaglia, oltre a maggiore acuità mentale e prontezza muscolare, è richiesto soprattutto il completo dominio delle proprie emozioni, una situazione cioè di vigilanza serena e non eccessivamente eccitata.
Evidentemente nel tè deve esserci qualche sostanza, diversa dalla caffeina, dotata di questo particolare effetto sul sistema psichico, apparentemente in contrasto con l’effetto ansiogeno ed eccitante della caffeina.
Questa sostanza è la teanina, un aminoacido presente nelle foglie del tè e che, appunto, manifesta un effetto fortemente ansiolitico, tale da compensare e superare l’effetto eccitante della caffeina.
La teanina, prodotta dalle radici della Camellia sinensis, si ritrova nelle foglie della pianta in forma libera, non legata cioè in catene polipeptidiche o proteiche. Ha un sapore aromatico, in grado di contrastare il generale sapore amaro del tè dovuto alla presenza di polifenoli e caffeina. Ma l’azione principale di questo aminoacido è di tipo rilassante, ansiolitico. A differenza tuttavia di altre sostanze calmanti di origine vegetale, come la valeriana, la teanina non provoca sonnolenza. Questa proprietà è molto interessante, non soltanto da un punto di vista applicativo farmacologico –ed in effetti la teanina viene estratta dalle foglie del tè ed impiegata come componente attivo di alcuni farmaci- ma anche per le proprietà che infonde al tè. Ecco così spiegato il mistero di questa bevanda che mantiene alta la vigilanza psichica con la caffeina ma che, al contrario del caffè, e proprio per la presenza di teanina, esplica anche un’azione generalmente ansiolitica e calmante.
In generale l’effetto ansiolitico della teanina compare circa 30 – 40 minuti dopo l’assunzione del tè, dopo cioè la comparsa degli effetti stimolanti della caffeina, nei cui confronti, dunque presenta un certo ritardo temporale. Ovviamente, poi, sarà la fisiologia di ciascuno di noi a determinare le risposte personali a queste due sostanze.
Come farmaco, la teanina viene consigliata in dosi fra 50 e 100 mg. Una tazza di tè, mediamente, ne contiene 40 mg, quindi quasi una dose piena.
Questo spiega molto bene l’effetto rilassante che il tè manifesta dopo un po’ che lo si è bevuto, successivo all’effetto psico eccitante indotto dalla caffeina. Una vecchia pubblicità del tè, meno sciocca di quanto potesse apparire, proprio in forza della scoperta degli effetti della teanina, non a caso parlava di “forza dei nervi distesi”.