Come riaprire? I dubbi e le priorità della Rete della ristorazione italiana per il settore

Angela Caporale
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    La ristorazione ha bisogno di ripartire, è vero, ma non tutti i ristoranti hanno fretta di aprire. Restano ancora molte, infatti, le incognite sulle misure di distanziamento sociale, sicurezza e salute che preoccupano gli imprenditori del settore, che, sebbene sia ora possibile far ripartire l’attività, chiedono maggiore chiarezza e un supporto in più. Ne abbiamo parlato con Luciano Spigaroli, titolare del Ristorante al Cavallino Bianco a Polesine Parmense e rappresentante della Rete della ristorazione italiana, un gruppo di 29 associazioni di cuochi e ristoratori che raccoglie più di 34.000 professionisti del settore da tutte le regioni d’Italia. “Le nostre priorità” spiega Spigaroli, “sono direttive chiare per poter ricominciare a lavorare e aiuti economici. Stimiamo che il fatturato medio di chi lavora nella ristorazione quest’anno sarà circa il 20-30% di quello dell’anno scorso, e non sappiamo quanti arriveranno davvero a fine anno.”

    Ristorante chiuso

    Iryna Inshyna/shutterstock.com

    Rete della ristorazione italiana: ecco le priorità

    Luciano Spigaroli – Foto Carra Parma

    Il settore della ristorazione è stato fortemente colpito dall’emergenza Coronavirus e si stimano perdite per milioni di euro. Per questa ragione, gli imprenditori del settore si sono presto mobilitati per far sentire la propria voce: così è nata la Rete della ristorazione italiana, un’unione di 29 associazioni tra cui gli Ambasciatori del Gusto, la Federazione Italiana dei Cuochi, l’Unione Ristoratori del Buon Ricordo e molti altri. Luciano Spigaroli, rappresentante di quest’ultima, ci spiega che non c’è mai stata una rete così compatta di associazioni che scambiano informazioni e avanzano proposte. “La differenza rispetto ad altre associazioni di categoria è che noi rappresentiamo in maniera specifica la ristorazione e non altre attività e pubblici esercizi che, naturalmente, hanno esigenze leggermente diverse. Già all’interno del mondo della ristorazione ci sono differenze grandi, ma ci teniamo a far sentire una voce univoca.”

     

    Dalla rete sono emerse, durante lo scorso mese di aprile, otto proposte avanzate al Governo per traghettare e facilitare la ripartenza di un ambito così duramente colpito. Tra queste, la cancellazione di imposte nazionali e locali pertinenti, la sospensione dei mutui o dei leasing, la proroga della cassa integrazione straordinaria e dei contributi a fondo perduto per la ripartenza. Alcune di queste indicazioni sono state accolte e inserite nel “DL Rilancio”, ma restano molte preoccupazioni su come organizzare la riapertura al pubblico.

    Le difficoltà della ripartenza: la questione sanitaria ed economica

    Non lineare è stato anche il percorso che ha portato alle nuove linee guida per l’apertura, a partire dal 18 maggio. Inizialmente, infatti, sembrava che sarebbero state recepite le indicazioni elaborate dall’Inail insieme all’Istituto Superiore della Sanità che prevedevano, per esempio, distanze molto ampie tra i tavoli e una capienza fortemente ridotta per tutti i locali. “Fortunatamente, abbiamo avuto la possibilità come Rete di far presente ad alcuni Presidenti di Regione, tra cui quello dell’Emilia-Romagna Stefano Bonaccini, le nostre istanze, e tra sabato e domenica ha prevalso una linea più remissiva che ci permette di riaprire con più serenità. Dal nostro punto di vista è un successo”, aggiunge Spigaroli, “ma restano tanti nodi irrisolti.”

    Cameriera con mascherina e guanti

    Norenko Andrey/shhuterstock.com

    In primo luogo, il ritardo e la contraddittorietà delle indicazioni che arrivano a ridosso della ripartenza e senza dare tempo a sufficienza agli imprenditori per pianificare e gestire al meglio l’apertura. Non tutti i ristoranti, dunque, sono pronti per ripartire perché, secondo il rappresentante della Rete, ancora una volta le indicazioni arrivano in ritardo, e c’è molta incertezza anche su come applicare i protocolli. “Un’altra domanda che ci poniamo spesso in questo periodo è: per chi riapriamo i nostri locali?”, si interroga Spigaroli ricordando la forta vocazione turistica dell’enogastronomia italiana nelle città d’arte e non soltanto, nonché gli sforzi fatti in questi anni per valorizzare questo patrimonio.

    “A mio avviso, abbiamo bisogno ancora di alcune settimane, durante le quali prepararci ad accogliere i clienti e, contemporaneamente, far sì che le persone siano pronte ad uscire di nuovo, muoversi tra le Regioni e liberarsi della paura del contagio”, aggiunge il ristoratore ricordando che si pone una duplice questione: sanitaria ed economica. Da un lato, infatti, la riapertura richiede l’adeguamento degli spazi alle nuove norme e la formazione dei dipendenti che dovranno riprendere a lavorare; dall’altro, perché l’attività di un ristorante possa essere sostenibile è necessario che ci siano clienti. Altrimenti il rischio concreto è un crollo del fatturato e il fallimento. Spigaroli sorride amaramente tra sé e sé: “Noi ristoratori siamo sentimentali, ci piace il rapporto con la gente. Faremo il possibile per riaprire, ma sapendo che rischiamo di non arrivare al 31 dicembre, ed è ciò che ci fa più paura.”

    Infine, il ristoratore sottolinea come, dal punto di vista degli imprenditori del settore, sia importante definire le responsabilità rispetto ai dipendenti: “attualmente il Covid-19 è considerato alla stregua di un infortunio sul lavoro e non di una malattia, ragion per cui come imprenditori siamo responsabili anche penalmente di quello che succede. E questa è una questione molto delicata che chiediamo di rivedere.”

    La tentazione del delivery e l’impatto psicologico

    In molti si sono attrezzati in queste settimane per continuare o riprendere a lavorare con le consegne a domicilio oppure con il take away. Una soluzione che ha permesso di non bloccare totalmente l’attività, ma che ha avuto, secondo il ristoratore parmense, una funzione psicologica ancor prima che economica. “Ci sono stati molti cuochi della rete che ci hanno raccontato di aver ripreso per sentirsi vivi. Il ‘guadagno’ quindi non è stato economico, ma mentale”, racconta Spigaroli che aggiunge come, per chi è abituato ai ritmi della ristorazione, un lockdown così lungo non può che creare delle forme di trauma psicologico. “Sarà ancora più difficile riprendere a lavorare con gli orari classici dopo aver sperimentato cosa significa trascorrere, per esempio, i pasti con la famiglia. E lo sarà ancora di più quando ci si renderà conto che, nonostante lo sforzo, i conti non tornano”, conclude amaramente.

    Cibo a domicilio

    Shyntartanya/shutterstock.com

    D’altro canto, se è vero che le consegne a domicilio hanno avuto una loro funzione in questo periodo, non è detto che rappresentino una parte di una strategia di medio periodo. Secondo il titolare del Cavallino Bianco, infatti, per alcune realtà può funzionare, ma “noi vogliamo tornare a essere ristoratori che regalano emozioni. Nel ristorante non ci si limita a dare da mangiare, ma c’è una dimensione di socialità, confronto, esperienza e crescita che non può essere sostituita o replicata in casa.” 

    Un nuovo appello al governo: contributi per rilanciare il Made in Italy

    Da qui, un nuovo appello al Governo per un protocollo che permetta alla ristorazione di ripartire in sicurezza e, in particolare, alla Ministra dell’Agricoltura Teresa Bellanova affinché sia istituito un fondo perduto di sostegno al Made in Italy. “La nostra proposta” chiude Spigaroli, “è di vincolare il sostegno economico all’acquisto di prodotti della filiera italiana, in maniera tale da sostenere anche tutte quelle aziende sui territori che hanno subito – e stanno subendo – il contraccolpo della crisi.” In questo modo, auspicano i promotori, sarà possibile riattivare due settori profondamente interconnessi, ovvero quello della ristorazione e quello dei fornitori.

    Guardando al futuro, Spigaroli non ha dubbi: “puntiamo ancora sul turismo enogastronomico: è un ambito su cui l’Italia non ha eguali. Attiviamoci subito per non disperdere i turisti e farli tornare a muovere, in sicurezza, per il Paese. In queste settimane, riceviamo tantissime email e messaggi da clienti da tutto il mondo che ci dicono: resistete, noi torneremo, perché quello che viviamo in Italia è impareggiabile.”

    Passaporto friulano e cuore bolognese, Angela vive a Udine dove lavora come giornalista freelance. Per Il Giornale del Cibo scrive di attualità, sociale e food innovation. Il suo piatto preferito sono i tortelloni burro, salvia e una sana spolverata di parmigiano: comfort food per eccellenza, ha imparato a fare la sfoglia per poterli mangiare e condividere ogni volta che ne sente il bisogno.

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