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I rider hanno ragione. È giusto protestare con loro?

Giuliano Gallini

Giuliano Gallini

I rider – che potremmo definire fantini nell’ippica o generalmente chi viaggia a cavallo di qualcosa, quindi anche i ciclisti – si sono arrabbiati. Mi riferisco alla protesta dei rider di Deliveroo, quelli che portano a casa pizza, primi piatti, ogni prelibatezza cucinata dai ristoranti, purché ce ne sia uno vicino a casa vostra, anche pasti firmati, perché no. Si sono arrabbiati, insieme ai corrieri di Foodora e Uber, perché sono sfruttati, pagati poco e senza diritti.

Sono assunti e licenziati senza garanzie, non hanno assicurazioni nonostante la loro attività sia molto pericolosa (per il traffico e lo smog) e sono pagati a cottimo, prendendo 4 euro all’ora quando va bene. Foodora, Deliveroo e altri magnifici esemplari della innovazione della GIG economy (GIG vuol dire lavoretto precario, tanto per essere chiari) si difendono dicendo che, appunto, si tratta di piccoli lavori svolti da studenti o da lavoratori che vogliono integrare il loro magro salario dannandosi in groppa a una bici (non si capisce bene, però, perché fare un lavoro part time legittimi lo sfruttamento).
Del resto, sostengono le aziende innovative, questo e solo questo è il futuro. Siete davanti a una grande innovazione, dicono Foodora, Deliveroo e soci. Non è più il tempo del lavoro fisso, o a tempo indeterminato o con diritti: il destino di ognuno è di essere imprenditore di sé stesso, per cui non si deve parlare di sfruttamento ma di impegno, energia imprenditoriale, capacità, volontà.  

deliveroo

Protesta dei rider: siamo disposti a uno sciopero degli ordini?

Su il Sole 24 Ore leggo un articolo che svela qualche retroscena. Queste aziende fatturano tanto, ma guadagnano poco. Se dovessero pagare i loro lavoratori in regola, andrebbero in passivo. Ma allora dove sta l’innovazione? Una innovazione (vera) non dovrebbe migliorare la vita a tutti? In questo caso invece chi lavora nell’innovazione è sfruttato perché altrimenti fallisce l’innovazione. Bel colpo! Certo, i clienti hanno una comodità in più: l’ordine, grazie a un banalissimo algoritmo (caspita che innovazione!) è facilitato: invece di tenersi annotati gli indirizzi dei ristoranti e delle pizzerie che consegnano a domicilio come si faceva una volta, spingi due tasti sul telefonino (con il risultato che ci metti più o meno lo stesso tempo e spendi di più perché il servizio deve avere la sua percentuale).  

La domanda, allora, è questa: sareste disposti ad appoggiare una lotta dei riders per i loro diritti, scioperando un giorno o due (rinunciando per un giorno o due a fare ordini online tramite queste aziende)? Conosco tanti che ritengono questo il futuro, che i salari pagati sono giusti, che i rider devono stare attenti perché poi arrivano i robot e addio anche ai 4 euro all’ora!

Raccontateci cosa ne pensate partecipando al nostro sondaggio!

Rinuncereste a ordinare online per qualche giorno, in solidarietà alla protesta dei rider?

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Scrittore di romanzi, lettore appassionato ed esperto del mondo del cibo e della ristorazione. Crede profondamente nel valore della cultura. In cucina non può mancare un buon bicchiere di vino per tirarsi su quando sì sbaglia (cosa che, afferma, a lui succede spesso).

2 risposte a “I rider hanno ragione. È giusto protestare con loro?”

  1. Giuseppe ha detto:

    Sono uno dei tanti “sfruttati”, non faccio questo lavoro per piacere della bicicletta che ormai quasi odio né per arrotondare, lo faccio perché ho bisogno di libertà da una parte e perché quasi (mi piace sempre lasciare una porta aperta) non ho altre alternative. Vi confesso che ancora non ho capito cosa mi succede se mi tirano sotto in macchina, ma se causo un incidente siamo assicurati. Il cottimo in realtà non è un danno, si guadagna di più del pagamento ad ore e se l’ordine è particolarmente lontano, il ristorante è pesantemente in ritardo a preparare o intervengono altri problemi, facendolo notare al centro di controllo ti viene segnato doppio. Certo, non esiste nessun sistema pensionistico e se si raggiunge una certa cifra l’anno, mi pare 8000€ … e si lo so, vi aspettavate che vi dicessi cosa succede, invece non lo sanno loro e non lo sa il commercialista a cui ho chiesto, quindi aspettiamo che il fisco se accorga e poi lo sapremo tutti. Detto questo c’è gente che guadagna tantissimo, anche 2000€ al mese (io sono arrivato a quasi 1000) e gente che non raggiunge le 50 consegne minime per poter essere pagati, quindi gli finiscono nella somma del mese dopo, tutto dipende dal tempo che tu liberamente ed in autonomia (non c’è alcun obbligo) decidi di dedicare alla cosa. Bene o male a parte la bici ed alcuni indumenti base che sono tuoi, l’azienda ti fornisce tutto l’occorrente, certo alcune cose potrebbero essere migliorate ma ci siamo a mio avviso. Sapete quale è invece il vero problema? Perché se ci pensate queste aziende prendono il 30% dello scontrino, e se lo scontrino è da 9 euro loro vanno in perdita, se è da 100 ci guadagnano, ma quelli da cento sono una rarità. Il problema è questa società (forse per queste aziende la fortuna) che non sa più cucinare, dove orde di ragazzini studenti che non sanno nemmeno rovesciare i cereali nel latte al mattino ordinano da noi altrimenti morirebbero di fame, dove lavoratori in giacca e cravatta che probabilmente si sentono pure fortunati, lavorano fino a notte fonda in aziende in centro che se non fosse per noi per giunta digiunerebbero, dove la gente non ha più voglia di mettersi ai fornelli (o non ne è capace, sono cuoco, sarei cuoco, quindi so di cosa parlo), anche se comprendo che ci sta il giorno che vuoi essere servito. Il problema vero per noi invece sono le mance, o meglio, non sono le mance nel senso che non ce le date. Ogni ordine dovrebbe avere almeno 50 centesimi o un euro di mancia, cosa cazzo vi costa dico io, vi portiamo da mangiare in qualsiasi condizione atmosferica, pioggia, neve, freddo della madonna, ci siamo sempre, poi si apre la porta, sei zuppo fino al midollo, ti guardano: ooooo mi spiace che per colpa mia devi lavorare con questo tempo. Poi allungano la mano per prendere il sacchetto, ti salutano e buonasera, mancia zero, sotto un altro. Sapete che ho consegnato in case che credevo esistessero solo nei film o negli emirati arabi? In una mi si è aperta la porta e c’erano di fronte due statue cinesi, quelle di terracotta dell’imperatore, i guerrieri ad altezza naturale con dei fari da sotto che illuminavano tutto, sfarzo ovunque, poi compare una signora in vestaglia leopardata che subito urla: Chantal è arrivato da mangiare. Chantal… Pensate mi abbiano dato la mancia? Mi spiace, ma scioperare non serve a nulla perché l’azienda non può davvero pagare di più o diversamente, nessuno vuole pagare il sovrapprezzo per la consegna e il ristorante non può ricaricarne troppo per ammortizzare il servizio. Se non ordinate per 2 giorni, per due giorni noi non lavoreremo, o meglio, staremo in strada un po’ al freddo fino a che ci diranno di rientrare. Il vero problema siete voi, che non date la mancia.

    • Giuliano Gallini ha detto:

      Dopo il tuo racconto, Giuseppe, è ancora più forte l’impressione che in questi lavori lo sfruttamento sia oltre ogni limite. Chi guadagna quasi 1000 e chi niente perché non raggiunge 50 consegne…
      Non sorprende che si arrivi a pensare che vada bene, che in fondo si è liberi di lavorare tanto o poco… la consapevolezza di essere sfruttati è da sempre una delle più difficile da conquistare. Complimenti per il racconto, Giuseppe: la descrizione delle case dei ricchi e delle loro Chantal è magistrale, ma prendersela con le mance invece che con i diritti negati non ti sembra un po’ autolesionista?

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