pesce siluro commestibile

Il pesce siluro si può mangiare? Verità e leggende sul gigante dei fiumi

Matteo Garuti
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    In Italia il pesce siluro fa parlare di sé da più di vent’anni, quando nelle nostre acque interne la presenza di questa specie estranea inizia a diventare preponderante. Introdotto dall’Europa orientale a partire dagli anni Cinquanta, si è inserito perfettamente in ambienti già ecologicamente compromessi, diffondendosi in gran parte dei fiumi e dei laghi della zona occidentale del continente, anche per il perpetrarsi delle immissioni da parte dell’uomo.

    Tra le soluzioni per contenerlo, l’uso alimentare viene preso in considerazione e fa discutere, analogamente a quanto accade per la nutria, un’altra specie invasiva che prospera nonostante i piani di eradicazione. Ma il pesce siluro è commestibile? Le sue carni sono scadenti e possono essere nocive? Per avere un quadro esaustivo, in questo approfondimento speciale abbiamo interpellato tre esperti. Ad aiutarci saranno Gianluca Zuffi e Giovanni Rossi di Hydrosynergy, biologi che operano nella gestione della fauna ittica d’acqua dolce, e Giuseppe Simone Milillo dello Studio Geta, consulente ambientale ittico-naturalistico e grande conoscitore della specie.

    Il pesce siluro è commestibile e il suo consumo è sicuro?

    Nell’Europa orientale, dove è autoctono, il siluro viene considerato una prelibatezza e ha una notevole importanza commerciale. L’allevamento, come la pesca, è praticato, mentre le carni possono essere consumate fresche, affumicate, salate o essiccate, ma sono apprezzati anche il caviale – talvolta spacciato per quello di storione – e la vescica natatoria, dalla quale si ottiene colla di pesce.

    Per il consumo alimentare, le dimensioni non dovrebbero superare i 15 chilogrammi, ma la taglia commerciale ideale è di circa 2 chilogrammi, peso che questi pesci raggiungono nell’arco di 12 mesi.

    Questa tipologia di acquacoltura si pratica anche in Francia – dove il siluro non è autoctono ma è apprezzato – pur non essendosi sviluppata particolarmente, superata in termini di economicità dall’allevamento di altre specie, come il pesce gatto africano, e dall’importazione di produzioni extraeuropee, con costi sensibilmente più bassi. Come illustra una ricerca del 2009, la voracità e l’aggressività dei siluri hanno contribuito a rendere dispendiosa e non semplice la loro gestione in allevamento, attività che soddisfa un mercato dai volumi contenuti e concentrato in poche nazioni, ma comunque presente.

    pesce siluro impanato

    Nataliia K/shutterstock.com

    Ai fini del contenimento di questa specie invasiva, invece, perlomeno in linea teorica, la destinazione alimentare potrebbe essere utile secondo Giovanni Rossi, che però sottolinea le criticità legate alla possibile insalubrità delle carni degli esemplari selvatici e alle difficoltà per indurre le persone a considerare il pesce siluro commestibile. Come sappiamo, l’azione umana più volte è riuscita a limitare o addirittura a estinguere le specie animali.

    Inquinamento e rischio tossicologico-sanitario

    Al di là dei pregiudizi, il principale timore da considerare riguarda le possibili contaminazioni che possono interessare i pesci selvatici. I dati specifici – pur richiedendo continui aggiornamenti – spingono a evitare il consumo di siluri pescati in bacini idrici interessati da scarichi urbani e industriali. Come abbiamo visto in un nostro approfondimento, persino i residui di cocaina nei fiumi minacciano i pesci.

    • Nel 2009 uno studio su 92 siluri pescati nel Po, in provincia di Alessandria, analizza la presenza di parassiti, virus e micobatteri, attestando sul campione di riferimento condizioni di salute complessivamente buone.
    • Nel 2013 due ricerche su esemplari del bacino del Po evidenziano la presenza di metalli pesanti e NDL-PCB (policlorobifenili non diossina-simili) in concentrazioni superiori alle soglie di sicurezza.
    • Un’analisi pubblicata nel 2017, effettuata su siluri pescati nell’Arno presso Firenze, ha mostrato livelli di contaminazione batterica nella norma per 28 dei 30 esemplari del campione; il contenuto in metalli pesanti nella parte muscolare è rientrato ampiamente nei parametri di legge.
    pesce siluro in acqua

    Kletr/shutterstock.com

    Le sostanze e le contaminazioni sono molto differenti fra loro e possono bioaccumularsi nel fegato, nei muscoli, nelle branchie e in diverse parti del corpo dei pesci. Come aggiunge Rossi, gli studi condotti su diverse popolazioni di specie ittiche mostrano, talora, livelli significativi di bioaccumulo, anche se in alcuni casi interessano organi non destinati all’alimentazione.

    Il Ministero dell’Ambiente, in recepimento delle normative europee, ha in programma un’analisi strutturata, diffusa e ripetuta su filetti di pesci d’acqua dolce che occupano una posizione mediana nella catena alimentare. Se si trovasse un livello di inquinamento nel cavedano, ad esempio, si potrebbe realisticamente supporre una contaminazione anche nel siluro, predatore apicale.

    Al di là dell’aspetto strettamente alimentare, Giovanni Rossi precisa che nel valutare l’inquinamento ecologico, oltre alla presenza delle sostanze sopra citate, va considerata l’eutrofizzazione, l’alterazione probabilmente più diffusa, dalla quale dipende la riduzione di ossigeno in acqua. Ciò è dovuto al rilascio di grandi quantità di carbonio, azoto e fosforo presenti negli scarichi fognari, industriali e agricoli. Ad aggravare la situazione è anche la diminuzione delle fasce perifluviali, ovvero delle alberature che riparano l’acqua dal sole diretto, altro fattore determinante per il calo dell’ossigenazione. L’eliminazione degli alberi ha lo scopo di migliorare la sicurezza idraulica in caso di piene, ma purtroppo genera questo effetto collaterale.

    Per considerare l’inquinamento nella sua globalità, quindi, bisogna tenere conto del bioaccumulo di sostanze nocive, della distruzione degli habitat e della qualità dell’acqua oltre che della pesca, quando è praticata senza rispetto per l’ambiente. Evidentemente, tutte queste circostanze sono dovute alla presenza umana.

    pesca pesce siluro

    Angel L/shutterstock.com

    Contaminanti nelle acque e bioaccumulo

    In generale, il problema dell’inquinamento nei pesci che vivono a ridosso degli scarichi fognari e industriali esiste ed è diffuso. Per avere indicazioni sufficientemente affidabili, è necessario effettuare uno screening preventivo degli inquinanti potenzialmente presenti negli animali, in base alle attività presenti in loco.

    In conclusione, non è possibile sapere a priori se gli animali selvatici sono sani, anche rispetto alla presenza di patologie, parassiti e batteri, come abbiamo visto nel nostro approfondimento sul gambero killer. Perciò, se ipoteticamente si decidesse di seguire la strada del consumo alimentare, si dovrebbe istituire un coordinamento nazionale, con dei criteri di sicurezza sulle aree di pesca, come avviene in mare.

    Dello stesso avviso è Giovanni Simone Milillo, il quale ricorda che il siluro non presenta una tossicità insita. Le sue carni sono di buona qualità, ma le caratteristiche sanitarie e tossicologiche dipendono dalle acque in cui vive, trattandosi di una specie che si adatta molto bene ad ambienti diversi, riuscendo anche a sopportare alti livelli di inquinamento. Essendo un super predatore, al vertice della catena alimentare, inevitabilmente si carica di tutti i contaminanti presenti nelle prede, come avviene per i tonni e i pesci spada in mare.

    Non a caso, il siluro viene considerato una sorta di indicatore per il biomonitoraggio, che  riflette lo stato dell’inquinamento ambientale. Nel suo corpo, infatti, raccoglie e amplifica gli inquinanti dell’acqua, rinvenibili soprattutto nel suo grasso e non eliminabili con le cotture. A questo proposito, Zuffi aggiunge che gli esemplari vecchi, di grandi dimensioni e vissuti nei tratti terminali dei bacini idrografici, hanno molte più probabilità di accumulare sostanze e contaminanti.

    Bracconaggio e vendita illegale

    vendita pesce siluro

    Sergei25/shutterstock.com

    In alcuni dei suoi territori d’origine – specialmente presso la foce del Danubio – il siluro è minacciato, a causa del danneggiamento dei siti di frega. In questa ampia area della Romania, destinata a parco naturale come il delta del Po, e nei territori limitrofi dell’Ucraina e della Moldova, da circa tre secoli vivono i Lipovani. Questo popolo, di origine russa, ha sempre praticato massicciamente la pesca di questa specie, contribuendo a diradare l’ambita preda, assai ricercata anche in altre zone dell’Europa orientale, dove il pesce siluro è considerato commestibile e ha sempre avuto mercato. A Balatonfüred, sulla riva settentrionale del Lago Balaton, in Ungheria, è presente un monumento ai pescatori di siluri.

    Soprattutto da queste località, provengono i pescatori di frodo che cacciano Silurus glanis, carpe e altri pesci nelle acque interne italiane. Come spiega Milillo, questa forma di bracconaggio esiste da anni, con l’attività di gruppi organizzati che per le catture utilizzano reti, elettrostorditori rudimentali – da non confondere coi moderni catturapesci elettrici, tecnologicamente avanzati e utilizzati a scopo scientifico – e talvolta veleni. Gli esemplari spesso sono macellati e sfilettati sul posto, lasciando le carcasse sulle rive. Il trasporto avviene in condizioni igieniche precarie e i pesci vengono venduti illegalmente nei mercati dell’Europa dell’Est, oppure spacciati per pangasio o persico africano in Italia e Francia, con tutti i problemi di inquinamento e assenza di controllo sopra descritti.

    In assenza di costi per la lavorazione e la tracciabilità, i margini di guadagno di questa forma di bracconaggio sono notevoli. Recentemente, i Carabinieri forestali hanno individuato e bloccato in flagranza di reato bande di bracconieri ittici in Emilia e nel Veneto, nell’ambito dell’operazione “Carpe diem”, che ha determinato sequestri, sanzioni e denunce.

    Gianluca Zuffi sottolinea il carattere distruttivo di questa attività, che può avere un impatto grave anche sugli animali autoctoni, in particolare su quelli rari e minacciati. I pesci catturati, tuttavia, evidenziano la netta prevalenza delle specie alloctone invasive, che hanno grandi capacità rigenerative.

    Il siluro è buono da mangiare?

    pesce siluro buono da mangiare

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    Al netto delle considerazioni sull’inquinamento e sulla pesca di frodo – aspetti legati agli esemplari selvatici – è interessante saperne di più sulle caratteristiche delle carni di siluro. Gli esemplari allevati e conservati correttamente, infatti, sono apprezzabili sia sul piano gastronomico che per le peculiarità nutrizionali. Dal punto di vista alimentare, pertanto, il pesce siluro è commestibile, oltre ad avere alcuni innegabili pregi.

    Nella taglia di circa 2 chilogrammi, ritenuta ideale per il consumo alimentare, questo pesce ha carni bianche, compatte e dal gusto delicato, prive di spine e facili da cucinare. Chi scrive ha avuto più volte l’occasione di assaggiare il siluro, che al palato può essere accostato al pesce gatto, ma anche alla ben più blasonata rana pescatrice o coda di rospo. Il siluro può essere porzionato a filetti e in tranci, con una buona resa in carne, e si presta per essere cucinato in diversi modi, specialmente alla griglia, fritto, brasato o al vapore.

    Anche se in Italia prevale nettamente la diffidenza, da anni il siluro si mangia in Francia, dove è protagonista di molte ricette e viene valorizzato dagli chef. Tra questi, Bernard Charret e Louis Desplat, che si riforniscono di esemplari della Loira.

    Caratteristiche nutrizionali

    pesce siluro proprietà

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    Ecco cosa contengono, indicativamente, 100 grammi di carne di siluro.

    • Valore energetico: 128 kcal
    • Proteine: 18,9 g
    • Grassi: 1,9 g, di cui omega 6: 140 mg; omega 3: 30 mg
    • Minerali: 0,7 g, di cui: sodio: 274 mg; potassio: 200 mg; fosforo: 107 mg; calcio: 35 mg; magnesio: 18 mg; zinco: 0,24 mg; ferro: 0,21 mg; selenio: 40 μg; iodio: 8 μg

    L’apporto calorico è inferiore a quello del pollo e leggermente superiore a quello del merluzzo, mentre risulta notevole il contenuto di proteine e minerali, per i quali, in questo caso, essere un predatore apicale e bioaccumulatore gioca a favore. Il siluro è anche ricco di vitamine del gruppo B, soprattutto B5 e B3, e contiene buone percentuali di acidi grassi insaturi, con proporzioni simili a quelle di altri pesci d’acqua dolce.

    Il siluro può essere una risorsa per il turismo?

    Oltre a domandarsi se il pesce siluro è commestibile, tra chi ne difende la presenza, o almeno non la osteggia, sta prendendo piede un’idea opposta rispetto all’eradicazione. La valorizzazione turistica della specie, infatti, è già realtà, specialmente nelle località bagnate dall’Ebro, nel Nord della Spagna, un fiume noto per le dimensioni dei siluri che lo popolano. Ormai da anni, quelle acque richiamano pescatori da tutto il mondo, attratti dalla possibilità di catturare uno di questi giganti, che possono superare i due metri di lunghezza per oltre 100 chili di peso. In misura minore, ma degna di nota, questo fenomeno esiste anche lungo il Po, dove non manca chi vorrebbe seguire l’esempio spagnolo. Nelle acque più tiepide dei fiumi dell’Europa meridionale, peraltro, il Silurus glanis può raggiungere stazze superiori rispetto a quanto avviene negli ambienti originari.

    A sostenere questa idea è Giuseppe Simone Milillo, che anni fa nella sua tesi di laurea fu tra i primi a proporla convintamente. “Questo pesce è stato eccessivamente demonizzato in Italia, mentre in Spagna si è scelto giustamente di valorizzarlo. Mequinenza, sulle rive dell’Ebro, era un piccolo villaggio con un’economia di sussistenza, ma grazie al pescaturismo ha visto fiorire strutture ricettive di ogni tipo” afferma Milillo.

    Gianluca Zuffi aggiunge che questa soluzione necessiterebbe di una legislazione chiara e di una gestione inflessibile, prerogative al momento assenti. La situazione è molto complessa, e non è facile prevedere a lungo termine i risvolti per l’ambiente del pescaturismo di una specie alloctona come il siluro.

    In determinate circostanze di sicurezza, quindi, il pesce siluro è commestibile, come altre specie più popolari in Italia. L’idea di mangiarlo vi disgusta o vi attira? La possibilità di valorizzarlo come richiamo turistico vi convince?

     

    Altre fonti:

    Grimaldi, E. e Manzoni, P., Specie ittiche d’acqua dolce, De Agostini, Novara, 1990.
    Tixier, P., Il Silurus glanis: biologia, colonizzazione e impatto, 2000.
    Milillo, G. S., Diffusione del Silurus glanis nell’area del Po, gestione economica di una specie alloctona e turismo sostenibile.
    Proteau, J.-P., Schlumberger, O., Elie, P., Le silure glane: Biologie, écologie, élevage, Paperback, 2008.
    Carabinieri.it
    Researchgate
    ScienceDirect
    Italian Journal of Freshwater Ichthyology

    Matteo è nato a Bologna e vive a San Giorgio di Piano (Bo), è giornalista, sommelier e assaggiatore di olio d'oliva, ha collaborato con il Dipartimento di Scienze e Tecnologie agro-alimentari dell'Università di Bologna. Per Il Giornale del Cibo si occupa di attualità, salute, cultura e politica alimentare. Apprezza i cibi e le bevande dai gusti autentici, decisi e di carattere. A tavola ama la tradizione ma gli piace anche sperimentare: per lui in cucina non può mancare la creatività, "perché è impossibile farne a meno!"

    Una risposta a “Il pesce siluro si può mangiare? Verità e leggende sul gigante dei fiumi”

    1. paolo ha detto:

      Io ho mangiato il siluro e per me si avvicina più al persico trota che al pesce gatto o alla rana pescatrice. Interpellare Milillo in questa questione mi pare, senza intento polemico, un po’ di parte. Il siluro può essere allevato, ma in Italia è difficile per via del materiale argilloso in sospensione che caratterizza le nostre acque interne. Servirebbe un processo continuato di chiariflocculazione che arriverebbe a far costare il prodotto più di quello che vale, ossia più del pangasio. Se si osserva la vitalità di un siluro della Loira, confrontata con quella di un siluro padano, si capisce anche empiricamente che la temperatura può influire sulla riproduttività e sull’attività della specie, ma che altre condizioni ambientali, che stanno al contorno, fiaccano significativamente l’animale, così che la qualità delle carni ne verrebbe inficiata, nella prospettiva di un suo sfruttamento. Il fatto che resista a condizioni avverse e a innumerevoli inquinanti non significa che “gli piacciano”. Ritengo, ciononostante, che sarebbe assolutamente doveroso avviarne e incentivarne l’allevamento in Italia, per un particolare motivo: spendendo soldi per pellet e chiarifiche la gente (gli imprenditori) si renderebbe finalmente conto di quanto l’animale in questione arrivi a mangiare (e costare) alle nostre latitudini, poiché questo fatto non è ancora ben chiaro a tutti. Cordialmente

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