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La Pastasciutta Antifascista di Casa Cervi

Giulia Ubaldi
2 minuti

    Questo articolo sulla Pastasciutta Antifascista è stato possibile grazie alla lettura di un testo, Partigiani a tavola, di Lorena Carrara e Elisabetta Salvini. Si tratta di un libro intriso di storia, che ripercorre la Resistenza attraverso il cibo, a cui ci siamo ispirati per l’assoluto e prezioso valore antropologico, fatto di dati umani e testimonianze continue, che ci portano a ripercorrere quegli anni da un punto di vista differente: quello alimentare, appunto. In particolare, in vista dell’arrivo del 25 aprile, abbiamo deciso di dedicare uno spazio alla Pastasciutta Antifascista di Casa Cervi, preparata in occasione di quella che fu la prima sensazione di liberazione dopo tanti anni. E perché il momento della pastasciutta antifascista è stato un momento commovente, prima ancora che per la storia d’Italia e dei Cervi, per la storia dell’uomo. Allora, volete sapere com’era questa pastasciutta?

    La Pastasciutta Antifascista di Casa Cervi

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    Siamo abituati a festeggiare il 25 aprile come il giorno della Liberazione d’Italia, quando il Comitato di Liberazione Nazionale Alta Italia proclamò l’insurrezione di tutti i territori ancora occupati dai nazifascisti e condannò a morte Mussolini, che infatti verrà fucilato tre giorni dopo. Ma in realtà già 20 mesi prima, il 25 luglio del 1943, ci fu un clima generale di festa per le strade d’Italia, poiché era stata annunciata la fine della guerra e della dittatura. Ma Badoglio, come ben sappiamo, spense subito l’entusiasmo con l’annuncio che l’Italia avrebbe continuato a combattere al fianco della Germania. Eppure, questo non impedì i festeggiamenti, quello organizzato dai Cervi in primis.

    La famiglia Cervi e l’agricoltura

    Chiunque dovrebbe leggere I miei sette figli di Alcide Cervi, poiché si tratta di un testo di fondamentale importanza, anche per la storia agricola d’Italia. Basti pensare che i Cervi furono tra i primi nel reggiano a livellare le terre per creare quella leggera pendenza che consente all’acqua di scorrere verso i canali di scolo; un’innovazione e un’intuizione non da poco, che fu presto modello per tanti. Così come furono tra i primi a possedere un trattore, perché erano contadini con il mappamondo, tanto che proprio il trattore con il mappamondo di Aldo divenne il simbolo dei fratelli Cervi, del loro attaccamento alla terra, unito alla capacità di pensare in grande e guardare sempre oltre.

    Casa Cervi è uno dei luoghi che ha contribuito alla costruzione della nostra democrazia, profondamente debitrice al mondo rurale: non sapete quanto burro i Cervi mandarono ai partigiani, perché ai partigiani mancava sempre il burro, scrisse Alcide; o quanti partigiani, così come anche soldati nemici, sono stati accolti e sfamati con una minestra calda, proprio a Casa Cervi. Per tutti questi motivi, il cibo e il mondo agrario sono indissolubili da un territorio e dalla sua storia, in quanto frutto dell’interazione continua tra uomo e natura, come si può leggere in un altro testo di grande valore come i Quaderni 11 (‘Paesaggio nel piatto’ tratto dalla Summer School Emilio Sereni, ‘Storia del paesaggio agrario italiano’ in occasione di Expo).

    I fratelli Cervi furono fucilati tutti e sette il 28 dicembre del 1943; il loro funerale è stato possibile solo il 28 ottobre del 1945, ma fu il funerale di qualcuno che non è mai morto, come recitano molte canzoni a loro dedicate. Lasciamo ora  spazio alle parole di Alcide riportate nel suo libro I miei sette figli, poiché nessun altro meglio di lui potrebbe raccontarci l’atmosfera di quella serata con la pastasciutta.

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    La pastasciutta di Casa Cervi

    Il 25 luglio vengono e ci dicono che il fascismo è caduto, che Mussolini è in galera. È festa per tutti. La notte canti e balli sull’aia. Facciamo subito un gruppo di contadini e andiamo a Reggio, per la strada tutti si aggiungono e la colonna diventa un popolo. Ognuno sembrava che aveva vinto lui, e questa era la forza. Ma il piacere è breve, è Aldo che ci ricorda la frase di Badoglio: la guerra continua al fianco dei tedeschi. Ma è sempre Aldo che ci dice di far esplodere la contentezza, intanto si vedrà. E propone: papà, offriamo una pastasciutta a tutto il paese. Bene dico io, almeno la mangia. E subito all’organizzazione. Prendiamo il formaggio dalla latteria, in conto del burro che Alcide Cervi si impegna a consegnare gratuitamente per un certo tempo quanto basta. La farina l’avevamo in casa, altri contadini l’hanno pure data, e sembrava che dicesse mangiami, ora che il fascismo e la tristizia erano andati a ramengo. Facciamo vari quintali di pastasciutta, insieme alle altre famiglie. Le donne si mobilitano nelle case, intorno alle caldaie, c’è un grande assaggiare la cottura, e il bollore suonava come una sinfonia. Ho sentito tanti discorsi sulla fine del fascismo, ma la più bella parlata è stata quella della pastasciutta in bollore. Guardavo i miei ragazzi che saltavano e baciavano le putele, e dicevo: beati loro, sono giovani e vivranno in democrazia, vedranno lo Stato del popolo. Io sono vecchio e per me questa è l’ultima domenica. Ma intanto la pastasciutta è cotta, e colmiamo i carri con le pile. Per la strada i contadini salutano, tanti si accodano al carro, è il più bel funerale del fascismo. Un po’ di pastasciutta si perde per la strada per via delle buche, e i ragazzuoli se la incollano sotto il naso e sui capelli. Uno dice: mettiamoli tutti in fila, per la razione. Nando interviene: perché? Se uno passa due volte è segno che ha fame per due. E allora pastasciutta allo sbrago, finché va. Chi in piedi e chi seduto, il pranzo ha riempito la piazza grande, e tutti fanno onore alla pastasciutta celebrativa”.

    E alla fine ne cucinarono più di 380 chili, conditi solo con burro e parmigiano.

    La Pastasciutta Antifascista diventa rete nazionale

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    È passato molto tempo da quella sera del 1943. Ma da oltre vent’anni, ogni 25 luglio a Casa Cervi si mangia ancora pastasciutta, in una serata commemorativa e soprattutto libera. La prima rievocazione storica della Pastasciutta antifascista si è svolta a Casa Cervi nel 1996; poi, dal 2013, la Pastasciutta antifascista è diventata una rete nazionale virale e in soli quattro anni, dalle venti adesioni iniziali, oggi sono in più di 100 a festeggiarla e per di più in continuo aumento. E pensare che si tratta di un’iniziativa assolutamente popolare,  partita dal basso e presente in tutta Italia: da Carpi e Castelfranco Emilia, a Bergamo e Verona, fino a Viareggio, Martina Franca, e così via, tante altre realtà che ogni 25 luglio si ritrovano in piazze, sedi e associazione di tutta Italia per festeggiare la caduta del fascismo e di Mussolini a ritmo di pasta. La cosa non ha lasciato indifferenti alcuni nostalgici fascisti dell’Avanguardia Nazionale, che di tutta risposta hanno organizzato una non molto partecipata spaghettata al nero di seppia. Ma le pastasciutte antifasciste sono sempre di più e più abbondanti che mai.

    Cibo, guerra e Resistenza

    Dunque, ecco un piatto che da solo testimonia il significato e l’importanza del cibo nella storia. Nel testo Partigiani a tavola di Lorena Carrara ed Elisabetta Salvini si citano molti altri esempi che legano il mondo alimentare alla guerra e alla Resistenza, tra i quali: il controllo tedesco del settore alimentare; i prodotti introvabili durante la guerra, come l’olio d’oliva (sostituito dal lardo); le osterie come fulcri di socialità, tanto dei fascisti quanto degli antifascisti; il panino al salame come cibo partigiano per eccellenza; il caffè ottenuto da semi di uva macinati e tostati; le donne protagoniste in quanto procacciatrici di cibo; la tecnica della salamoia come risposta alla mancanza di sale; la fame come filo rosso della vita partigiana;  i cibi sconosciuti che arrivarono con gli americani, come bacon, caramelle, gomme da masticare, cioccolata, scatolette di vario genere. E così via, insieme a quelle che hanno chiamato le ricette della libertà, raccolte a partire da alcune memorie, ma soprannominate con nomi ludici e simbolici, come il i biscotti del partigiano, le frisse del tesseramento, ovvero le frittelle con frattaglie, la carbonara degli alleati, il risotto per non pensare, le gallette del comitato, lo stinco degli arruolati, la trippa comunista, o i tortini al cioccolato del 25 aprile.

    Dunque, festeggiate sì questo 25 aprile, ma ricordatevi di festeggiare anche il 25 luglio, naturalmente con un bel piatto di pasta.

    Antropologa del cibo, è nata a Milano, dove vive e scrive per varie testate, tra cui La Cucina Italiana, Scatti di Gusto, Vanity Fair e le Guide Espresso. Il suo piatto preferito sono gli spaghetti alle vongole, perché per lei sono diventati un'idea platonica: "qualsiasi loro manifestazione nella realtà sarà sempre una pallida copia di quella nell'iperuranio". Nella sua cucina non mancano mai pistilli di zafferano, che prima coltivava!"

    Una risposta a “La Pastasciutta Antifascista di Casa Cervi”

    1. BRUNO BEZZI ha detto:

      Il ”BURRO” a parte la praticità del trasporto (confezionato nella carta) non serviva solo per condimento, ma anche per le screpolature della pelle, come crema per scarpe e scarponi, quando mancava l’olio per lubrificare ami o altro. sopratutto ne bastava poco.

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