Fetta di Mounas, dolce tipico pasquale dei pied-noir

Mona, Mouna, Mounas, il dolce di Pasqua pied-noir

Giulia Ubaldi
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    “Se devo pensare alla mia infanzia e ai piatti pied-noir che mi cucinava mia nonna, mi sono dimenticata di parlarvi della mouna, che è un po’ la mia madeleine di Proust”. Quando abbiamo intervistato Lucile Philippon a proposito della cucina pied-noir, non ci aveva parlato del dolce di Pasqua per eccellenza di tutti i pieds-noirs, ovvero la mouna, o mona, motivo per cui abbiamo deciso di raccontarvi oggi la sua origine, la sua storia e la ricetta, sempre grazie all’incontro con lei. 

    Storia della mouna, o mona: tra realtà e leggenda 

    Come vi avevamo già accennato, la cucina pied-noir è l’affascinante risultato di una serie di influenze di tantissimi popoli nel tempo, un bagaglio di ricette e ricordi che i francesi in Algeria si sono portati con sé una volta rientrati in Francia. Eppure, se ne parla sempre molto poco, tant’è che la maggior parte dei piatti sono sconosciuti ai più, e noti solamente ai familiari. Tra questi, c’è un dolce che si mangia solo nel periodo pasquale, alcuni la domenica, altri il lunedì. Ci sono varie storie sul suo conto, ma quel che è certo sono le sue origini spagnole, visto che ancora oggi nei paesi iberici troviamo la “mona de Pascua” o ancora “el dia de la mona” cioè il giorno della mona, che si mangia il giorno della resurrezione

    L’origine e la storia 

    Secondo i dizionari etimologici spagnoli, “mona” sarebbe una parola che deriva dall’arabo mu’na che significa provviste/viveri/sussistenza.

    Questo dolce arriva nel nord Africa alla metà del XIX secolo, in particolare da Valencia e Alicante, dove secondo la tradizione il lunedì di Pasqua si andava tra le piantagioni di aranci o a bordo mare a mangiare alcuni dei piatti come il gaspacho con la carne o le gallette da intingere nella salsa di pomodoro (di cui vi avevamo già parlato nel nostro primo capitolo sulla cucina pied-noir), ma anche del riso con pollo o coniglio, cioè una sorta una paella di carne, senza frutti di mare. Insomma i piatti presenti potevano variare, ma non il dolce che era sempre lo stesso, ovvero la mouna, questa sorta di grande brioche cotta al forno, guarnita con un uovo e ricoperta di zucchero. 

    La leggenda

    Esiste anche una leggenda sulla mouna, che risale al XIV secolo, periodo in cui gli spagnoli si installarono in Africa del nord con l’idea di creare roccaforti e conquistare il mondo musulmano. Ma questa politica di espansione e di conquista del mondo musulmano non andò come da programma, così ben presto le loro fortezze e bastiglie, oltre che continuare ad avere il loro utilizzo come prigioni diventarono anche i luoghi dove relegare i nobili castellani caduti in disgrazia,. Quella di Orano era affacciata sulla baia di Mers-el-Kebir, dove ai tempi si trovavano moltissime scimmie, come a Gibilterra. Così questa fortezza prese il nome di mona che in spagnolo significa scimmia. A questo proposito si racconta che i prigionieri avevano diritto solo una volta all’anno, la domenica di Pasqua, di vedere i propri cari. I parenti si riunivano ai piedi della fortezza e passavano ai prigionieri, con l’aiuto di lunghe pertiche, una grossa brioche preparata appositamente per questa occasione e che da quel tempo viene chiamata mona. Mouna, con l’aggiunta della “u”, non è altro che la versione francese della mona. 

    Per tutti i pied-noir la ricetta migliore della mouna è quella preparata dalla propria nonna perché indissolubilmente legata al profumo della propria infanzia. Noi abbiamo la fortuna di avere quella della nonna di Lucile, Lucienne Avril Cuenca che è una delle migliori che io abbia mai provato. “Ne poteva fare fino a ottanta in una sola notte talmente erano richieste le sue e anche i fornai e pasticceri di Orano chiedevano sempre a lei la ricetta”, ci racconta Lucile.

    L’antica ricetta della mouna di Pasqua

    Mounas appena sfornata

    Giulia Ubaldi

    Secondo l’usanza, spettava ai bambini mettere al centro della pasta un uovo crudo all’interno con il guscio prima di infornare la mouna. E una volta pronta, ci si ritrovava nei parchi e nei giardini per scambiarsi le mouna preparate durante la notte o la veglia pasquale.

     

    Ingredienti

    • 1 kg di farina
    • 300 gr di zucchero 
    • 5 uova
    • 1 bicchiere olio d’oliva
    • 75 g di burro
    • buccia di un limone o di un arancio 
    • 40/50 gr di lievito di birra

    Questi sono gli ingredienti di base che non mancano in nessuna ricetta, poi ci sono quelli facoltativi che cambiano da una preparazione all’altra, trattandosi di una ricetta di famiglia. 

    • 50 cl di latte 
    • ⅛ litro di rum 
    • acqua di fiori di arancio per aumentare l’aroma
    • qualche goccia di anice (probabilmente aggiunto dopo l’arrivo a Marsiglia) 

     

    Procedimento

    1. Sbattete le uova intere, aggiungete zucchero, olio, burro in piccoli pezzi, zeste di limone o di arancio e in caso gli altri ingredienti a piacere (latte, rhum, anice o acqua di fiori di arancio). 
    2. Mescolate delicatamente il tutto e aggiungete a poco a poco la farina, cercando di farla amalgamare bene. Aggiungete il lievito diluito in acqua tiepida. 
    3. Impastate e tenete al fresco finché non raddoppia il suo volume. Poi impastate nuovamente a lungo e lasciatele di nuovo raddoppiare il suo volume. Bisogna contare circa 3 ore di riposo affinché cresca a dovere. 
    4. Dividete l’impasto in panetti a forma di piccoli panini lunghi o rotondi, spennellateli con il giallo dell’uovo e cospargeteli di zucchero concassé
    5. Fateli cuocere in forno su una teglia da pasticceria leggermente oliata per circa mezz’ora e poi la vostra mouna sarà pronta. 

     

    Allora, vi abbiamo fatto venire voglia di fare  un dolce diverso dalla colomba per questa Pasqua?

     

    Antropologa del cibo, è nata a Milano, dove vive e scrive per varie testate, tra cui La Cucina Italiana, Scatti di Gusto, Vanity Fair e le Guide Espresso. Il suo piatto preferito sono gli spaghetti alle vongole, perché per lei sono diventati un'idea platonica: "qualsiasi loro manifestazione nella realtà sarà sempre una pallida copia di quella nell'iperuranio". Nella sua cucina non mancano mai pistilli di zafferano, che prima coltivava!"

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