Libera Terra

Alessandro Leo di Libera Terra: “con il Cibo Giusto combattiamo la mafia”

Redazione

Vent’anni. Quattro lustri di lotta spesso silenziosa, di sicuro ininterrotta, hanno portato quello che Libera nel ’95, con la mobilitazione che promosse, sperava succedesse: le mafie sanno che c’è oggi una sensibilità ben diversa nella popolazione. Libera Terra e Libera Terra Mediterranea, la sua più recente emanazione, forniscono quotidianamente il loro contributo a questa lotta, con numeri importanti e un costante rinnovamento delle idee e dell’entusiasmo. Alessandro Leo, presidente di Libera Terra Mediterranea, ne disegna uno spaccato, tra l’orgoglio per i risultati ottenuti e la continua ricerca di nuove frontiere.

Pomodori raccolta

La lotta alle mafie, in particolare a quella “liquida”, come da lei sostenuto durante il recente convegno “La filiera della legalità“, deve fare i conti con numeri in aumento: il volume d’affari italiano dell’agromafia ha raggiunto nel 2014 i 15,4 miliardi di euro, e secondo i recenti dati Coldiretti il numero dei beni confiscati alla mafia continua a salire con punte in regioni insospettabili come la Toscana. Anche a chi ha un’esperienza ormai ventennale, come lei e Libera Terra Puglia, verrebbe da scoraggiarsi. Quali numeri mettete voi oggi sul piatto della bilancia?

Alessandro Leo: Tutto nasce grazie all’approvazione della legge di riferimento che è la 109 del 96, che permette il riuso sociale dei beni confiscati attraverso l’assegnazione ad organizzazioni senza scopo di lucro. In quella legge però non era previsto alcun utilizzo per i beni confiscati e acquisiti al patrimonio dello Stato. Nel 2001 l’Associazione Libera, con la nascita del progetto Libera Terra, ha dato un contributo diretto per la dimostrazione della valenza e delle potenzialità della legge. In quell’anno si avvia infatti nell’Alto Belice Corleonese, in provincia di Palermo, il primo progetto volto alla nascita di una cooperativa sociale che andasse a gestire beni confiscati lì esistenti. Ebbene, in questi 14 anni lo stesso percorso è stato riproposto anche in altri territori diventando una sorta di “modello”.

Le cooperative sociali che aderiscono a Libera Terra sono oggi 9. In totale gestiscono circa 1400 ettari di terreno confiscati alle mafie in Sicilia, Campania, Puglia e Calabria e assicurano una giusta occupazione a circa 150 persone. L’obiettivo del progetto Libera Terra oggi è dimostrare che l’assegnazione di un bene confiscato per finalità sociale in un territorio crea benefici concreti non solo per chi lo gestisce, ma per tutto il territorio. Il tutto cercando anche di valorizzare i territori stupendi ma difficili dove le cooperative si trovano ad operare, e lavorando per ottenere prodotti di alta qualità attraverso metodi rispettosi dell’ambiente e della dignità della persona.

 

Come e quanto sta crescendo Libera Terra Mediterraneo?

A.L.: Libera Terra Mediterraneo coordina le attività produttive delle singole cooperative di Libera Terra che lo compongono e segue direttamente la trasformazione delle materie prime agricole in prodotti finiti, con la costante ricerca della loro massima valorizzazione e del conseguente miglior riconoscimento economico. La ricerca dell’eccellenza guida ogni più piccola decisione, non senza la soddisfazione di vedere i propri prodotti sugli scaffali più prestigiosi dei diversi canali distributivi, sia in Italia che in molti paesi stranieri. Il fatturato annuale per il 2014 di Libera Terra è stato di circa 7 milioni, certo si tratta di una cifra poco significativa ma questi risultati ci incoraggiamo a proseguire la strada intrapresa spingendoci a migliorare tutti i giorni.

 

Lei ama dire, nel raccontare l’esperienza di chi si è opposto alle mafie, che il coraggio è il diritto di esercitare la paura. C’è, nella vostra opera quotidiana, ancora spazio per la paura?

A.L.: Il tema del coraggio nell’affrontare la sfida del recupero di beni sottratti alle mafie nasconde un’insidia pericolosa, la retorica dell’eroe. Per coltivare quei terreni confiscati non abbiamo bisogno di eroi, di persone eccezionali. Abbiamo invece bisogno di cittadini normali, di lavoratori che si mettano in gioco quotidianamente nell’impegno del lavoro, condividendo anche le proprie paure per costruire più coraggio anche per chi non crede che le mafie si possano contrastare con la normalità delle proprie fragilità e responsabilità.

Raccolta Uva

L’agroalimentare rappresenta una fetta importante del fatturato della mafia in Italia. Cosa pensa della proposta di riforma dei reati in materia, recentemente consegnata da Gian Carlo Caselli al ministro della Giustizia Orlando?

A.L.: Se da un lato aumenta la consapevolezza dell’importanza della qualità del cibo, dall’altro bisogna rilevare che la normativa attuale per la tutela dei prodotti agroalimentari è ormai superata ed è necessaria l’introduzione di nuove e specifiche figure di reato per adeguare il codice penale in materia di frodi alimentari. In questo senso è fondamentale il lavoro svolto da Giancarlo Caselli, che cerca di definire reati difficili da dimostrare o addirittura sconosciuti all’attuale normativa in materia di agromafie. La contraffazione può assumere forme diverse e inaspettate: se il dibattito parlamentare accoglierà le proposte di modifica, tutti gli attori della filiera agroalimentare saranno chiamati ad una più stringente responsabilità rispetto al proprio operato, a tutela sia delle scelte e della salute del consumatore sia di un corretto funzionamento del mercato.

 

C’è secondo lei percezione, nel cittadino italiano comune, della penetrazione della criminalità organizzata fino alla tavola sulla quale mangia?

A.L.: I cittadini italiani, cultori di una tradizione enogastronomica senza pari, sono portati a fidarsi. Risulta vero che cresce l’attenzione verso ciò che si consuma, aumentano le occasioni per parlare del ruolo delle mafie in questo settore, ma la mafia che non ti aspetti si nasconde nelle pieghe più profonde della filiera agroalimentare e diventa assai difficile averne coscienza diretta. Per questo serve lo sforzo di tutti, le buone leggi da parte delle istituzioni ed il lavoro delle forze dell’ordine e della magistratura da un lato, come l’informazione e la formazione degli stessi cittadini consumatori dall’altro: la partita contro le agromafie si vince anche attraverso una maggiore consapevolezza di ciò che si acquista e si sceglie sullo scaffale.

 

Quali sono le maggiori difficoltà con le quali oggi vi scontrate?

A.L.: La più grande sfida del nostro progetto che si caratterizza per la sua forte connotazione sociale sta nel dimostrare costantemente la sua credibilità economica e finanziaria in termini di auto sostenibilità attraverso la produzione di prodotti vocati all’eccellenza capaci di stare sul mercato per le loro qualità. Tanto più crediamo nella nostra missione sociale tanto più dobbiamo impiegare le nostre professionalità per la creazione di prodotti di alta qualità che mettano concretamente a valore i beni che gestiamo.  Sicuramente le nostre cooperative, soprattutto all’inizio della propria attività, incontrano varie difficoltà dovute allo stato dei beni che vengono chiamate a gestire e alla diffidenza del territorio. Pian piano che la cooperativa cresce e si rivela credibile il territorio inizia a rispondere positivamente.

Arance

Qual è nei giovani, quelli che quando avete cominciato magari neanche erano nati, la percezione del vostro lavoro e in particolare della valenza sociale dell’opposizione alla mafia?

A.L.: Il rapporto con i giovani è fondamentale per una realtà come la nostra. L’Associazione Libera ha un suo settore specifico che si occupa di formazione ed educazione, la nostra è solo una attività di supporto e testimonianza.  Sicuramente trasmettere che è possibile creare un modello economico alternativo alla criminalità organizzata in territori spesso difficili valorizzando i beni confiscati alle mafie grazie a giovani professionisti che hanno scommesso in questo progetto, spesso decidendo di tornare nella propria terra d’origine, è qualcosa che fa capire che in questo paese, quando si ha voglia di spendersi e lavorare seriamente, è ancora possibile costruire speranza.

Oggi la percezione del nostro lavoro da parte dei giovani è molto positiva. Questa affermazione è testimoniata anche dal numero di studenti che annualmente partecipa ai percorsi di turismo responsabile promossi dal progetto Libera “Il giusto di viaggiare” che offre la possibilità a quanti volessero di visitare i territori in cui operano le nostre cooperative. Nel 2014 abbiamo registrato la presenza di più di 5000 studenti di vario ordine e grado. Piccoli numeri ma significativi rispetto a quello che è l’interesse dei giovani per Libera Terra.

 

In questi 20 anni il mondo è cambiato, l’Italia è cambiata. Come e quanto è mutato il vostro impegno a favore della legalità?

A.L.: In questi 20 anni il mondo è sicuramente cambiato, ma il nostro impegno è rimasto identico. Vogliamo dimostrare che, anche in territori difficili in cui le mafie hanno condizionato il tessuto economico e sociale per lunghissimo tempo, è possibile far nascere imprese cooperative “normali” partendo dalla valorizzazione di patrimonio collettivo quali i beni confiscati alle mafie. Imprese capaci di creare tessuto economico ed imprenditoriale sano che possa mettere a frutto le migliori risorse presenti sul territorio in ambito umano, sociale e produttivo.

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