scena del film Il gattopardo

Il timballo di maccheroni de Il gattopardo

Giuliano Gallini
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    Non mancano sulla rete le ricette del siciliano timballo di maccheroni. Ogni tanto, tra loro, salta fuori il ferrarese pasticcio di maccheroni, ma è un’altra cosa. Sono ferrarese, credo di saperlo: ma leggendo la descrizione che del timballo siciliano ne fa Giuseppe Tomasi di Lampedusa ne Il Gattopardo mi sembra di vedervi qualche somiglianza.

     

    “Il Principe era troppo sperimentato per offrire a degli ospiti siciliani, in un paese dell’interno, un pranzo che iniziasse con un potage, e infrangere tanto più facilmente le regole dell’alta cucina in quanto ciò corrispondeva ai propri gusti, ma le informazioni sulla barbarica usanza forestiera di servire una brodaglia come primo piatto erano giunte con troppa insistenza ai maggiorenti di Donnafugata perché un residuo timore non palpitasse in loro all’inizio di quei pranzi solenni. Perciò quando tre servitori in verde, oro e cipria entrarono recando ciascuno uno smisurato piatto d’argento che conteneva un torreggiante timballo di maccheroni, soltanto quattro su venti convitati si astennero dal manifestare una lieta sorpresa: il Principe e la Principessa perché se l’aspettavano, Angelica per affettazione e Concetta per mancanza d’appetito. Tutti gli altri (Tancredi compreso, rincresce dirlo) manifestarono il loro sollievo in modi diversi, che a dai flautati grugniti estatici del notaio allo strilletto acuto di Francesco Paolo. Lo sguardo circolare minaccioso del padrone di casa troncò del resto subito queste manifestazioni indecorose.

    Buone creanze a parte, però, l’aspetto di quei monumentali pasticci era ben degno di evocare fremiti di ammirazione. L’oro brunito dell’involucro, la fragranza di zucchero e di cannella che ne emanava, non erano che il preludio della sensazione di delizia che si sprigionava dall’interno quando il coltello squarciava la crosta: ne erompeva dapprima un fumo carico di aromi e si scorgevano poi i fegatini di pollo, le ovette dure, le sfilettature di prosciutto, di pollo e di tartufi nella massa untuosa, caldissima dei maccheroncini corti, cui l’estratto di carne conferiva un prezioso color camoscio.” (1)

    Il Gattopardo: un romanzo acuto che intreccia la Storia alle vicende personali  

    copertina del libro il gattopardo

    Dopo autori come Dickens, Kipling e Stevenson, Giuseppe Tomasi di Lampedusa fu uno dei primi italiani che mi appassionò, e credo che il mio amore per il romanzo molto sia dovuto a quella scoperta. Ricordo che lo lessi in una edizione cartonata del 1961, Lire 1300, con la copertina dorata, forse dello stesso colore della crosta del pasticcio del Principe di Salina. Il volume ha una prefazione di Giorgio Bassani, che scoprì il romanzo, già rifiutato da molti lettori di importanti case editrici. Lo consigliò a Feltrinelli, e fu un grande successo. Giuseppe Tomasi di Lampedusa intanto era morto per una grave malattia.

    Bassani nella introduzione scrive: “…ampiezza di visione storica unita a una acutissima percezione della realtà sociale e politica dell’Italia contemporanea, dell’Italia di adesso; delizioso senso dell’umorismo; autentica forza lirica; perfetta, sempre, a tratti incantevole, realizzazione espressiva: tutto ciò a mio avviso, fa di questo romanzo un’opera d’eccezione. Una di quelle opere a cui si lavora o ci si prepara per tutta la vita.”

     

    Il Gattopardo è un romanzo perfetto, dove le vicende dei personaggi – l’amore, i conflitti, le amarezze, le svolte – si intrecciano strettamente con la Storia e la Società del tempo. E dove una grande capacità poetica sposta i destini degli uomini dalla polvere del nulla al cielo degli eterni.

     

    Scrittore di romanzi, lettore appassionato ed esperto del mondo del cibo e della ristorazione. Crede profondamente nel valore della cultura. In cucina non può mancare un buon bicchiere di vino per tirarsi su quando sì sbaglia (cosa che, afferma, a lui succede spesso).

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