L’innovazione nel settore agro-alimentare è un argomento di grande attualità. Date la continua crescita della popolazione e la necessità di adattarsi ai cambiamenti climatici, i ricercatori stanno cercando nuove soluzioni per rispondere alle sfide globali. Tra queste, trovare materie prime che sostituiscano quelle di origine fossile o di importazione, idea che sta alla base del progetto Horizon Europe CARINA, coordinato dal Dipartimento di Scienze e Tecnologie Agro-Alimentari dell’Università di Bologna e che vede in due colture speciali un grande alleato.
Abbiamo intervistato Andrea Monti, professore ordinario di Economia e coltivazioni erbacee presso l’ateneo emiliano, che è a capo del progetto, per raccontarci qualcosa di più su questa iniziativa, quali sono gli obiettivi e in che modo potrà aiutare il pianeta.
Il Progetto CARINA: com’è nato e quali sono gli obiettivi
Dal recupero degli scarti di lavorazione fino all’impiego di tecnologie di ultima generazione per limitare gli sprechi (ad esempio nel settore ittico o in quello vinicolo), la parola d’ordine è una sola: sostenibilità. Il contesto economico in cui viviamo, infatti, vira sempre più verso la cosiddetta bioeconomia – l’utilizzo cioè di risorse biologiche rinnovabili per la produzione energetica, industriale, alimentare e mangimistica, come da definizione della Commissione Europea.
In questo contesto nasce CARINA, progetto europeo che ha preso il via il 1 novembre 2022. Finanziato nell’ambito del programma EU Horizon-Europe, coinvolge quasi una trentina di partner non solo europei ma anche nel continente africano. Il progetto si concentra nello specifico sulle potenzialità di due colture da olio, carinata e camelina – da cui il nome CARINA, che riprende rispettivamente la prima e l’ultima parte di questi nomi –, e sul loro impiego. Ma perché sono state scelte proprio queste due piante?
Carinata e camelina, due colture preziosissime
Per rispondere dobbiamo fare un breve passo indietro: le colture oleaginose, caratterizzate da un alto contenuto di acidi grassi, offrono un’ampia gamma di applicazioni tra cui la realizzazione di detergenti e lubrificanti, e rappresentano un’alternativa sostenibile alle materie prime fossili. Tuttavia, la destinazione di queste colture alla bioenergia, ai biocarburanti e ai bioprodotti si scontra con la necessità di dedicare terreni a colture destinate all’alimentazione.
E proprio queste due colture poco conosciute, carinata e camelina, possono offrire una risposta a questa sfida. “Si tratta di colture facilmente adattabili ai nostri sistemi agricoli tradizionali” spiega infatti il professor Monti. “Possono essere seminate sia nel periodo autunnale (quando la camelina attecchisce a ogni latitudine, mentre la carinata solo in areali sud europei) che in quello primaverile, dove nascono ovunque”. Il progetto CARINA pone quindi l’accento sui benefici di queste colture, capaci di prosperare in quasi tutte le regioni europee e nel Nord Africa. Queste due piante hanno quindi grande flessibilità nel periodo di semina e, nel caso della camelina, anche un ciclo molto breve che la rende un’ottima specie intercalare – in grado cioè di essere seminata tra due colture principali. Le colture di mais e frumento, ad esempio, prevedono lunghi intervalli tra le due raccolte: da giugno a marzo, dunque, quando il terreno rimane incolto, possono trovare spazio altre coltivazioni, come carinata e camelina. Così facendo, oltre a fornire nuove risorse per la produzione sostenibile, è possibile promuovere la biodiversità, facilitare il lavoro del suolo e contribuire a prevenirne l’erosione.
Inoltre producono olii di alta qualità, che possono essere trasformati in bioprodotti all’avanguardia come bioerbicidi, bioplastiche e biocarburanti. Non solo, da questi oli ne deriva un sottoprodotto, il panello, che può essere utilizzato anche come mangime per animali in quanto ricco di proteine. “La camelina in particolare potrebbe quindi avere un impiego alimentare perché particolarmente ricca di Omega 3 e con un rapporto Omega 3/Omega 6 molto elevato e vicino ai valori considerati ottimali per la salute umana” specifica Monti. “Il suo uso servirebbe per aumentare il contenuto di Omega 3 nelle uova, nel latte o nelle carni”. Questa soluzione, proposta dal progetto CARINA, promette di apportare benefici a circa tre milioni di agricoltori, secondo i dati riportati dalla Commissione Europea.
Gli olii che si ricavano da questi semi hanno caratteristiche per molti versi simili, ma anche alcune peculiarità che li rendono più adatti, nell’uno o nell’altro caso, a destinazioni specifiche: approfondiamo l’argomento.
Le sfide future dell’agricoltura: biocarburanti e biomasse nel progetto CARINA
L’agricoltura del futuro, quindi, dovrà essere capace di conciliare la produzione di cibo con la quella delle biomasse per l’industria energetica e bio-based in generale. Come afferma il professor Monti, “dovremo identificare dei sistemi colturali che possano integrare colture food e non-food, senza causare una riduzione delle produzioni alimentari”.
In che modo? Innanzitutto con l’uso di terreni marginali o degradati che non possono più essere utilizzati per le colture alimentari: questo potrebbe contribuire a prevenire il fenomeno di abbandono dei terreni agricoli, un problema diffuso in Europa e in Italia.
Un’altra possibile strategia per l’agricoltura del futuro è l’impiego di residui agricoli come fonte di energia rinnovabile. “Gli obiettivi sulle rinnovabili sono elevati e nel breve periodo”, afferma Monti, “è evidente quindi che anche l’agricoltura potrà dare un significativo contributo. Quanto significativo dipenderà dall’efficacia delle nostre scelte: è innegabile che ci sia urgenza di biomasse, ma è fondamentale operare con equilibrio e prudenza, evitando di ripetere gli errori del passato”.
Biocarburanti, il futuro è bio-based
In tal senso, il caso dei biocarburanti è particolarmente emblematico. Una direttiva europea del 2009 aveva promosso l’olio di palma come input per la produzione di biocarburanti, provocando però effetti controproducenti in termini di deforestazione e produzione di gas serra. A causa di ciò, nel 2015 è stata introdotta una nuova direttiva che ha evidenziato le emissioni indirette legate all’espansione delle superfici dedicate alle colture energetiche, un parametro noto come ILUC (Indirect Land Use Change). La conseguenza è che i biocarburanti derivati da colture alimentari o con elevato rischio ILUC, come la soia o l’olio di palma, non vengono più considerati fonti di energia rinnovabile, come evidenziato dal recente regolamento approvato dal Parlamento Europeo sulla decarbonizzazione del settore dell’aviazione.
“Sull’onda di queste innovazioni, l’Italia è diventata un grande sostenitore dei biocarburanti, mentre la Germania sta puntando sugli e-Fuels, i carburanti sintetici. In ogni caso, è cruciale che un biocarburante sia legalmente riconosciuto come tale” sottolinea Monti. “In questo contesto, è rilevante notare che i sistemi agricoli che stiamo sviluppando nel progetto CARINA appartengono alla categoria dei ‘biocarburanti avanzati’, quindi con rischio ILUC nullo. Si tratta di carburanti rinnovabili che sostituiscono parzialmente la benzina, il diesel e il gas metano” spiega ancora Monti, “e sono definiti rinnovabili perché una volta combusti emettono la stessa quantità di CO2 delle piante in fotosintesi nell’arco di un anno. Questa ciclicità nel breve periodo fa sì che siano, appunto, rinnovabili, a differenza dei combustibili fossili”.
In Italia, i biocarburanti sono attualmente presenti nei serbatoi di tutte le auto in percentuale dal 5 al 10%. “Negli ultimi anni ci sono stati progressi significativi, con la realizzazione di stazioni di biocarburanti dimostrative – come quelle di ENI – che erogano il 100% di biodiesel al posto del diesel” aggiunge Monti. “L’utilizzo dei biocarburanti è già normato: i vincoli attuali sono di salire al 14% entro il 2030, ma presto la direttiva europea verrà aggiornata, con un ulteriore balzo significativo – si parla addirittura di un 24%”.
Abbiamo visto come l’innovazione nel settore agro-alimentare rappresenti un punto cruciale per rispondere alle sfide attuali. Progetti come CARINA, che mirano a incrementare l’utilizzo di colture come carinata e camelina, potrebbero aprire la strada a nuove soluzioni per la produzione di cibo e la creazione di un’economia bio-based più sostenibile, oltre a promuovere un’agricoltura più resiliente e sostenibile per le generazioni future.
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