La Via Querinissima, come nasce la tradizione italiana dello stoccafisso

Roberto Caravaggi
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    Chi ha mai sentito parlare della Via Querinissima? E di Pietro Querini, da cui viene il nome? Ebbene, si tratta della storia che ha portato alla diffusione dello stoccafisso nella cultura gastronomica italiana. Infatti,  in un paese con una varietà di prodotti e specialità territoriali come il nostro, proprio lo stoccafisso, insieme al “cugino” baccalà, rappresenta uno dei pochi elementi capace di trovare spazio nelle ricette della tradizione di ogni regione o quasi.

    Ma come ha fatto un prodotto dei mari del nord, appartenente alla cultura di popoli che vivono a ridosso del circolo polare artico, ad arrivare sino a noi? È quanto scopriremo insieme, salpando lungo la rotta di Pietro Querini e della Via Querinissima.

    Credits @Ufficio stampa Studio Cru

    Cos’è la Via Querinissima?

    Il termine Via Querinissima è stato coniato in riferimento al viaggio che portò il feudatario e commerciante veneziano Pietro Querini nell’arcipelago delle isole Lofoten, in Norvegia. In questo luogo del circolo polare artico ha appreso dai pescatori locali la cultura dell’essiccazione del merluzzo attraverso la sola esposizione al sole e al vento, tecnica con cui si ottiene lo stoccafisso. È proprio al Querini che si deve l’importazione di questo pesce nel nostro paese, dove ha trovato apprezzamento e diffusione grazie alla sua lunga conservabilità. Il fatto di essere essiccato lo rende infatti meno deperibile, fattore importantissimo in un’epoca ben lontana dal conoscere i moderni sistemi di refrigerazione. Il resto l’ha fatto il Concilio di Trento del 1563 con l’imposizione dei “giorni di magro”, che ogni cattolico era tenuto a rispettare. Questo ha contribuito a diffondere lo stoccafisso come alimento povero anche in aree non certo a vocazione marittima, motivo per cui lo troviamo ancora oggi protagonista nella cucina di tante regioni dell’entroterra.

    Per sottolineare l’importanza storica di Querini e della sua scoperta, ecco allora che è nata la Via Querinissima, termine che fonde insieme il nome del personaggio storico e quello della Serenissima Repubblica di Venezia, di cui era senatore.   

    Un tragico naufragio diventato occasione di scoperta

    Ci abbiamo girato intorno, ma ora è arrivato il momento di sapere: com’è avvenuta la scoperta delle isole Lofoten e della cultura dello stoccafisso?

    Tutto ha avuto origine da un naufragio. Quando, nel 1431, Pietro Querini salpò col suo equipaggio a bordo di una cocca, un’imbarcazione antenata della famosa caravella protagonista del viaggio di Cristoforo Colombo in America, la destinazione non era certo la Norvegia. Col suo carico di Malvasia, cotoni e spezie lasciò Candia – terra dell’isola greca di Creta, di cui era feudatario – per raggiungere le regione belga delle Fiandre, meta dei suoi commerci. Dopo un tormentato viaggio, che lo portò a toccare città come Lisbona e Cadice, l’imbarcazione fu investita da una burrasca e naufragò al largo della costa irlandese. L’equipaggio tentò di salvarsi a bordo delle scialuppe di salvataggio, ma solo una delle due finì con l’approdare sull’isolotto di Sandøy, nell’arcipelago delle Lofoten. Qui i pochi superstiti vennero trovati e soccorsi da alcuni pescatori della vicina isola di Røst. Ospitati dalla comunità di poco più di cento abitanti di quest’ultima, ne impararono usi e costumi. A partire da quella che era la loro principale fonte di sostentamento: la pesca. E in particolare quella del merluzzo nordico, che veniva poi messo a essiccare con la semplice esposizione al sole e al vento. Così diventava sodo e duro come legno, al punto che le sue carni dovevano essere battute con una sorta di mannaia per poterlo ridurre in pezzi abbastanza piccoli da poter essere consumati dopo averli conditi con burro e spezie, come riportato dal Querini nei suoi scritti.

    Credits @Ufficio stampa Studio Cru

    È proprio grazie a quest’ultimi e ai suoi diari di bordo che si è potuto ricostruire l’intera storia, conclusasi col ritorno in patria, alcuni mesi più tardi, con un carico di stoccafisso, che da lì ha iniziato a essere conosciuto e apprezzato anche alle nostre latitudini. Così la tradizione culinaria del nostro paese si è arricchita di un nuovo protagonista e allo stesso tempo anche le remote isole Lofoten hanno avuto un notevole impulso alla loro economia. Al punto che a Sandøy è stato eretto un cippo in onore di Querini in occasione del cinquecentesimo anniversario del naufragio.    

    Sulla scorta di quanto detto, inoltre, il 6 giugno 2022 è nata a Venezia l’Associazione Via Querinissima. A partire da quanto la vicenda storica di Pietro Querini insegna, si vogliono promuovere i valori della solidarietà e dell’accoglienza e quelli di un turismo culturale lento, consapevole e sostenibile. Oltre a enti e associazioni come la Regione Veneto e il Comune di Sandrigo (nel vicentino), sono coinvolti in questo attori a livello internazionale: alla Regione del Nordland e il comune di Røst, in Norvegia, alla Heraklion Development Agency dell’isola greca di Creta, passando per il Comune di Cadice e la Regione svedese Västra Götaland. Un progetto di ampio respiro, che mira a ottenere il riconoscimento di Itinerario Culturale Europeo promosso dal Consiglio d’Europa.

    Lo stoccafisso delle Lofoten IGP

    L’importanza dello stoccafisso e della sua produzione è stata sancita dalla denominazione d’origine a livello europeo. Il Tørrfisk fra Lofoten IGP (questa la dicitura originale) è stato il primo prodotto norvegese a ottenere questo riconoscimento. Si fa riferimento al merluzzo selvaggio artico pescato nel mare compreso tra le isole Lofoten e Vesterålen. I merluzzi della specie Gadus morhua vengono catturati nella loro fase di migrazione dal mare di Barents per la deposizione delle uova. Da qui deriva il nome “Skrei”, con cui viene identificato nella lingua locale (dall’antico termine scandinavo skreið, che significa appunto “pesce migratore”). La loro natura migratoria è aspetto decisivo, che li distingue dal comune merluzzo: percorrere tanti chilometri è determinante, infatti, per lo sviluppo di carni sode e muscolose, che ben si prestano all’essiccazione. Una volta catturati, i pesci vengono eviscerati e privati della testa, dopodiché sono legati a due a due per la coda e appesi alle apposite rastrelliere. A questo punto è la natura a fare il suo corso, con l’azione combinata del sole e del vento, in un clima che risulta freddo ma non gelido e con un basso grado di umidità. La pesca avviene nel periodo tra gennaio e aprile, col pesce lavorato in giornata, e lasciato esposto all’azione degli elementi atmosferici per diversi mesi, fino in genere a maggio/giugno. Per la raccolta risulta però decisiva l’esperienza dei produttori, che alla stessa maniera dei viticoltori con i loro vigneti sanno quand’è il momento giusto per raccoglierli e portarli nei locali dove completano la maturazione. Qui poi vengono controllati periodicamente dai cosiddetti Vrakeren, gli esperti selezionatori che ne valutano dimensioni, peso, colore, odore e aspetto, stabilendo quindi se hanno le caratteristiche per essere immessi in commercio con la denominazione Tørrfisk fra Lofoten IGP. Oltre alla garanzia di un prodotto tipico del territorio che ricade nelle circoscrizioni di Flakstad, Moskenes, Røst, Vestvågøy, Værøy e Vågan, l’IGP garantisce un livello di qualità incomparabile per quanto riguarda la consistenza delle carni, il sapore e le proprietà organolettiche, che possono essere sintetizzate in grassi inferiori all’1% e una concentrazione di proteine tra il 68 e il 78%, circa 5 volte più di quelle contenute nel comune merluzzo. Ultimo, ma non certo per importanza, l’aspetto della sostenibilità ambientale: la cattura dello Skrei è rigidamente regolamentata sia in termini di quantità, sia di stagionalità, per rispettare i tempi riproduttivi della specie e avviene solo con metodi di pesca ecocompatibili.

    La Confraternita del Bacalà alla Vicentina

    Dall’epoca di Pietro Querini ad oggi lo stoccafisso è diventato un pesce popolare praticamente in ogni regione d’Italia. Al punto che abbondano le ricette della tradizione locale in cui è protagonista: abbiamo lo stoccafisso alla livornese, alla messinese (detto anche “alla ghiottona”), alla mammolese, fino al brandacujun allo stoccafisso accomodato, che rientrano tra i piatti tipici della Liguria. Ma visti i nessi storici, poteva non aver trovato fortuna anche in Veneto? Certo che no, tant’è che una delle ricette più conosciute della cucina italiana con lo stoccafisso come elemento centrale è proprio il bacalà alla vicentina. E non ci si lasci ingannare dal termine: nonostante sia identificato col termine dialettale “bacalà”, questo piatto è fatto rigorosamente con lo stoccafisso. Nonostante le similitudini, infatti, la differenza sostanziale è che il baccalà è merluzzo conservato sotto sale, mentre lo stoccafisso è semplicemente essiccato. E non si dica che uno vale l’altro, il bacalà alla vicentina è cosa seria, al punto che nel 1987 si è costituita la Confraternita del Bacalà alla Vicentina, con lo scopo di salvaguardare e diffondere l’antica ed originale ricetta di questa specialità, facendola conoscere ed apprezzare anche all’estero. Tra le iniziative più significative in tal senso c’è l’annuale Festa del Bacalà, che ogni settembre coinvolge l’intero comune di Sandrigo, paese nel vicentino in cui c’è una piazza intitolata proprio all’isola norvegese di Røst. Un appuntamento che dal 14 al 25 settembre 2023 segnerà la 36esima edizione, con cooking show, masterclass, mostre e approfondimenti e soprattutto con gli stand gastronomici dove degustare le tante preparazioni a base dello Stoccafisso delle Lofoten IGP.

    La ricetta ufficiale del Bacalà alla Vicentina

    Credits @Ufficio stampa Studio Cru

    Concludiamo in bellezza, con la ricetta codificata dalla Confraternita del Bacalà alla Vicentina: 

    Ingredienti per 12 persone

    • 1 kg circa di stoccafisso
    • 250/300 grammi di cipolle
    • mezzo litro di olio EVO
    • mezzo litro di latte fresco
    • 3 sarde sotto sale
    • un ciuffo di prezzemolo tritato
    • 50 grammi di formaggio da grattugia
    • pepe nero in grani q.b.
    • sale q.b.
    • farina bianca q.b.

    Procedimento

    1. Aprite per il lungo lo stoccafisso precedentemente ammollato e privatelo della spina dorsale e di tutte le lische.
    2. Tagliate il pesce in tranci
    3. Fate rosolare in un tegame le cipolle affettate finemente con un bicchiere d’olio e le sarde tagliate a pezzetti. Dopo qualche minuto, spegnete il fuoco e aggiungete il prezzemolo tritato.  
    4. Infarinate i tranci di stoccafisso e irrorateli col soffritto.
    5. Sempre con parte del soffritto preparato, ungete una teglia oppure un capiente tegame di cotto o di alluminio, disponetevi i tranci di pesce e versate sopra il soffritto rimanente, il latte, il formaggio grattugiato il sale e il pepe.
    6. Cuocete a fuoco molto dolce per circa quattro ore e mezza, premurandovi di girare di tanto in tanto il tegame in senso orario, senza mai mescolare.
    7. Servite caldo, accompagnandolo con della polenta.

    In alternativa, il bacalà alla vicentina può essere lasciato raffreddare e consumato riscaldandolo fino a 12/24 ore dopo avere ultimato la preparazione. Tra gli accorgimenti importanti, la fase di ammollo dello stoccafisso: va messo a bagno 2-3 giorni prima in acqua fredda, cambiandola ogni 4 ore. Prima di avviare la cottura è importante inoltre disporre i tranci di pesce sul fondo del tegame in modo da non sovrapporli e curando di ricoprirli uniformemente col soffritto. Guai infine a toccare lo stoccafisso mentre cuoce o, per dirla alla vicentina, “pipa”: in questa fase si gira delicatamente solo il tegame.

    Sappiamo che quello dello stoccafisso è un gusto capace di dividere come pochi. Che ne siate siate amanti o detrattori, eravate già a conoscenza di come è arrivato sino a noi, ovvero delle vicende di Pietro Querini e della Via Querinissima


    Immagine in evidenza di: Ufficio stampa Studio Cru

     

    Nato a Milano, vive da sempre a Locate di Triulzi, nella provincia sud del capoluogo lombardo. Oltre a collaborare con alcune testate giornalistiche locali è food blogger per storiedifood.com, dove racconta soprattutto di specialità e piccole realtà artigianali. Il suo piatto preferito è la piadina romagnola perché, nella sua semplicità, sa appagare come poche altre cose.

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