di Alex Castelli.
Mozzarella di bufala campana tagliata con latte boliviano e cagliate provenienti dall’Est europeo. Olio “extravergine” d’oliva pugliese allungato con olio di colza o di nocciolino acquistato in Spagna, Turchia, Grecia, Tunisia, poi colorato col verdone e profumato artificialmente. Vino sintetico aggiustato con acido tartarico, coloranti e tannino cinese di origine sintetica. Prodotti scaduti sconfezionati e riconfezionati con etichette false. E ancora, concentrato di pomodoro importato dalla Cina, rielaborato e rivenduto come Dop, carne e salumi vecchi rigenerati con nitrati (abbattono la flora batterica) e solfiti (mantengono il colore della carne), capperi marocchini spacciati come capperi di Pantelleria, sale industriale venduto come alimentare. È il preoccupante quadro che emerge dai rapporti delle operazioni dei NAS (Nuclei Antisofisticazioni e Sanità) dei Carabinieri, riportati di recente in un’inchiesta di Repubblica sulla sofisticazione alimentare. Si tratterebbe di vere e proprie truffe: prodotti scadenti, a volte pessimi e pericolosi per la salute, spacciati per buoni sui banchi di discount e supermercati che possono arrivare fino alle tavole di case, mense e ristoranti.
A gestire le manipolazioni e la commercializzazione la malavita organizzata fra Lazio, Campania, Puglia e Sicilia, per un giro d’affari dell’ordine di un miliardo di euro l’anno. Tutti soldi puliti: pochi i controlli, pochi i rischi, possibilità di riciclare denaro. Una vera e fiorente industria della sofisticazione, che mette le sue mani sporche sui prodotti più buoni dell’agroalimentare del Sud Italia, li degenera, ne deturpa gusto e immagine. Per soldi. Rendendo la vita difficile ai tanti produttori onesti, che non possono reggere una concorrenza sleale fatta di prezzi bassissimi e assenza di controllo. Un cartello criminale che coinvolge la malavita italiana insieme a quelle di Cina e Est europeo. A affermarlo è la Direzione Investigativa Antimafia (DIA), che denuncia un allargamento degli interessi camorristici nel settore agroalimentare.
A farne le spese sono i consumatori. Le mozzarelle, per esempio, ingrossate con il latte boliviano che arriva in polvere in grandi container al porto di Napoli e sbiancate con la calce e la soda caustica, verrebbero vendute all’ingrosso nei mercati del nord o di oltreconfine a sei euro al chilo anziché a nove. Per poi arrivare nelle piccole botteghe, nei discount, nelle pizzerie, nelle mense pubbliche e private. Tanto costano poco e hanno un aspetto normale. Ma sono false. E cattive. Stessa cosa per l’olio che costa un decimo rispetto a quello vero o per il vino a 50 centesimi la bottiglia.
Dopo l’inchiesta, per tranquillizzare gli estimatori della mozzarella di bufala campana Dop, è intervenuto il direttore del Consorzio di Tutela, Vincenzo Oliviero. Lui, responsabile della pianificazione e dell’esecuzione dei controlli di conformità al disciplinare, ha affermato che “tra il 2006 ed il 2007 i controlli su campioni di Mozzarella Dop sono raddoppiati. In particolare, se nel 2006 venivano effettuati controlli su oltre 250 campioni, che risultavano non conformi nel 10% dei casi, nel 2007 abbiamo condotto indagini su quasi 500 campioni e la percentuale di non conformità all’analisi di prima istanza è crollata al 3,5%”. Il Consorzio ha voluto ribadire così che la mozzarella di bufala campana Dop è un prodotto sicuro. Meglio così. Anche perché di recente la Coldiretti, complimentandosi con i NAS per le operazioni che colpiscono i produttori disonesti a favore degli onesti, ha affermato che la Dop campana è uno dei souvenir gastronomici più acquistati dai turisti che visitano le zone di produzione. Un vero biglietto da visita del Made in Italy da proteggere e valorizzare.
I più pessimisti parlano di apocalisse enogastronomica, con la criminalità da un lato e le industrie dall’altro a speculare sulla nostra salute, stringendo in una morsa i consumatori indifesi. Il consumatore, ancora una volta, sembrerebbe l’anello debole della catena, ma ha degli strumenti di lotta che invece lo rendono forte. Sono le associazioni dei consumatori, i mezzi di informazione, le denunce all’autorità giudiziaria (1.487 da settembre 2006 a settembre 2007 quelle legate al cibo), internet. In rete si trovano siti in cui scambiarsi informazioni, forum dove mettere a disposizione degli altri la propria esperienza, le proprie dritte, le proprie idee. Noi facciamo la nostra parte: sul Giornale del Cibo abbiamo una sezione dedicata al Consumo intelligente e un forum sull’Osservatorio dei prezzi, in cui potete difendervi e attaccare, per evitare che il piacere della tavola si trasformi in un incubo. Creando una forte rete che dal basso si alza a isolare i casi come quelli citati.
Non solo cattive notizie, comunque, visti i numeri comunicati dall’Ispettorato Centrale per il Controllo della qualità e dei prodotti agroalimentari (Icq): i sequestri per frodi accertate sono aumentati del 100% e il loro valore negli ultimi sette anni è quadruplicato. Il personale è aumentato da 880 a 1.027 unità, i sopralluoghi del 20%. Il Ministro delle Politiche Agricole De Castro ha dichiarato che questi strumenti servono a tutelare il lavoro dei produttori onesti e la sicurezza alimentare dei consumatori. Noi consumatori, nel frattempo, è meglio se non abbassiamo la guardia.
Un altro aspetto del problema è l’aumento dei prezzi di beni di prima necessità come pane e pasta, che fanno alzare la spesa media delle famiglie italiane. Gli esperti che hanno analizzato i prezzi di un paniere di prodotti per una famiglia media prevedono che l’aumento medio degli alimentari a Natale sarà del 24%. E non aumenteranno beni di lusso, ma il pane (+40%), la pasta (+25-40%), i biscotti (+20-39%). Quella natalizia, secondo gli economisti, sarà la terza parte di una stangata che ha avuto un primo capitolo a luglio e un secondo a ottobre. Proprio in questi giorni infatti l’Istat denuncia un’inflazione che si attesta sul +2,1% rispetto a ottobre 2006.
Per trovare le cause si può salire a ritroso fino ai prezzi delle materie prime, dalla farina al latte, dall’olio di palma al burro. I prezzi dei cereali aumentano perché il consumo di riso e grano nel mondo ha superato la produzione, con la concomitanza di alcune cause principali: un calo della produzione per fattori climatici (la siccità e i disastri naturali), lo svuotamento delle scorte, l’uso di crescenti quantità di granoturco come biocombustibile e non come cibo, l’aumento dei consumi in paesi – popolatissimi e in via di sviluppo con ritmi incontenibili – come la Cina e l’India. E l’Onu mette in guardia: questi rincari presto si scaricheranno su carne, latte e uova.
Ci mancherà il cibo da mettere in tavola, dunque? Il rischio sembra remoto perché una ulteriore razionalizzazione dei sistemi produttivi dovrebbe garantire la quantità necessaria. Il problema sono i prezzi, che secondo la Fao (Food and Agricolture Organization, Organizzazione dell’Onu per l’Alimentazione e l’Agricoltura) saliranno nei prossimi dieci anni del 10-15% (carne e pollo), 20% (frumento), 40% (granturco) e 80% (riso).