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Il pasto a scuola “rivoluzionato” dal Covid-19: perché è importante studiare ciò che percepiscono i bambini?

Angela Caporale
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    Tutti ci siamo domandati, almeno una volta, perché un determinato cibo piace e un altro no e quali sono i fattori che condizionano il “gusto” per ciò che portiamo in tavola. Di questo (e molto altro) si occupano i ricercatori dell’Università degli Studi di Scienze Gastronomiche di Pollenzo che, insieme a CIRFOOD e a Officina Educativa, servizio del Comune di Reggio Emilia, hanno sviluppato Nutriamo la Scuola, un progetto che si pone il duplice obiettivo di sperimentare nuove pratiche di somministrazione del pasto durante l’attività scolastica e di stimolare i bambini e le bambine ad immaginare il cibo del futuro.

    Nell’ambito delle molte attività proposte ai bambini di tre centri estivi di Reggio Emilia (Don Milani, Agosti e Don Bosco) durante la Settimana del Cibo, sono state sperimentate anche due modalità alternative per il servizio del pranzo, previste dalle linee guida dettate dal Ministero della Pubblica Istruzione. A monitorare i risultati di questa prima sperimentazione che si svilupperà in una vera e propria ricerca nei prossimi mesi, alcuni ricercatori dell’Università di Pollenzo, tra cui la dottoressa Maria Piochi. A lei abbiamo chiesto quali sono i fattori che condizionano il gusto, perché è così interessante studiarli a partire dai bambini e quali sono i possibili sbocchi futuri di questa primissima sperimentazione pilota che già ha mostrato alcune informazioni interessanti.

    Tornare a scuola dopo il Covid: il progetto di ricerca sulla modalità più adatta di somministrazione del pasto

    Bambino che mangia pranzo a scuola

    New Africa/shutterstock.com

    “Poiché l’emergenza sanitaria che stiamo vivendo richiede l’adozione di misure di prevenzione”, introduce l’argomento la dottoressa Piochi, “è necessario osservare come le variazioni delle modalità di servizio pasti indotte dalle necessarie misure di sicurezza potrebbero influenzare l’esperienza di consumo del cibo e del pasto da parte dei bambini.”

    Inoltre, la dottoressa aggiunge che: “Questa nuova situazione in cui il pasto è consumato, infatti, potrebbe modificare il comportamento alimentare dei bambini (ad esempio in termini di tipo e quantità di cibo consumato) ed incentivare sul medio/lungo periodo, comportamenti alimentari scorretti, con ripercussioni negative sulla dieta e sullo stato di salute generale dei bambini. Per questo CIRFOOD, insieme con l’Università di Pollenzo, vuole indagare sulla risposta affettiva ed emozionale dei bambini alla nuova situazione di consumo indotta dall’emergenza Covid-19, per giungere a considerazioni che interessano la progettazione dei sistemi ristorativi collettivi e la strategia aziendale e.” Da qui, dunque, l’esigenza di sviluppare un progetto di ricerca ad hoc, sperimentato per la prima volta con un piccolo gruppo di bambini del centro estivo Don Milani di Reggio Emilia a cui è stato presentato il pasto in due modalità di servizio differenti e a cui, successivamente, è stato chiesto di esprimere un’opinione sulla gradevolezza del pasto e sull’umore e le emozioni provate nelle diverse situazioni di pasto appena concluso.

    Perché ci piace un cibo e un altro no?

    Il modo in cui “rispondiamo” dal punto di vista affettivo ed emozionale a ciò che mangiamo è condizionato e determinato da moltissimi fattori diversi. La dottoressa Piochi ci spiega che, nello specifico, alcuni sono intrinsecamente legati al prodotto e al cibo che l’adulto, o il bambino, sta consumando, mentre altri sono legati all’individuo, dunque al patrimonio di esperienze culturali, alla memoria, ai tratti della personalità, e non soltanto, che ciascuno porta con sé. “Esempi di fattori intrinseci dei cibi sono la texture, il colore e l’odore. Ma anche la ricettazione della pietanza, sia in termini di tipo di ingredienti utilizzati, sia come combinazione di forme, colori e consistenze. Nei bambini soprattutto il colore svolge un ruolo importante. Spesso il rosso e l’arancione sono associati al gusto dolce e quindi gli alimenti di questo colore piacciono ai bambini, al contrario il giallo e il verde ricordano l’acido (che richiama al non maturo/poco dolce) e quindi vengono evitati” spiega la dottoressa Piochi che aggiunge: “tra i fattori che caratterizzano l’individuo sono molto importanti anche la familiarità verso i cibi, la cultura gastronomica, l’abitudine a consumare un determinato alimento sin da piccoli, sempre facendo alcuni esempi.”

    La dottoressa Piochi aggiunge che “non dobbiamo dimenticare che esiste anche una componente genetica che condiziona il ‘gusto’.” E dunque, ciò che siamo abituati a considerare una semplice preferenza gastronomica è, in realtà, un insieme multifattoriale molto complesso da descrivere che ciascuno può, almeno parzialmente, riconoscere in sé. Pensiamo al fatto che due fratelli, cresciuti nella stessa famiglia, possono avere risposte differenti allo stesso piatto.

    Contemporaneamente, l’impatto di questo insieme complesso di fattori è molto importante da studiare nei più piccoli per capire come stimolare l’abitudine e l’interiorizzazione di una dieta più sana.

    “Neofobia”, quando la paura della novità arriva a tavola

    Un fattore a sé che diventa molto rilevante quanto si osserva la reazione dei bambini al cibo, in particolare, è il grado di neofobia, ovvero la paura di tutto ciò che è nuovo. “Si tratta di un tratto della personalità” specifica la dottoressa Piochi, “ovvero di uno degli elementi della persona che sono endogeni e difficilmente influenzabili. La neofobia è stata molto studiata nei bambini e si manifesta nella riluttanza a mangiare cibi non noti.”

    Esiste una “scala della neofobia che permette di stimare quanto un soggetto sia più o meno “pauroso” nel provare cibi non noti ed è utile studiare la correlazione tra neofobia e la tendenza ad evitare classi di cibi meno conosciuti. “La neofobia non è l’unico tratto della personalità che influenza i comportamenti alimentari; esiste anche, per esempio, la diversa sensibilità al ‘reward’ e al  ‘punishment’ (cioè la sensibilità all’appagamento o punizione) oppure tratti legati ai comportamenti alimentari come il grado con cui il cibo, per noi, rappresenta uno strumento di gratificazione.”

    “Complessivamente –  conclude la ricercatrice – isolare questi fattori e studiare la risposta edonica ed emozionale al cibo è molto complicato sia in termini generali sia applicato a contingenze specifiche come quelle attuali. Come anticipato, l’emergenza Covid-19 richiede una modifica delle modalità di fruizione del pasto a scuola e parte delle attività del progetto Nutriamo la Scuola è stata finalizzata proprio a osservare le reazioni dei bambini”. Abbiamo chiesto alla dottoressa Piochi di spiegarci cosa è stato proposto ai bambini di Reggio Emilia e cosa è stato osservato.

    Se cambia la mensa, cambia il gradimento dei bambini?

    Mensa scuola

    ercan senkaya/shutterstock.com

    Durante la Settimana del Cibo, dunque, i 26 bambini e bambine del centro estivo Don Milani hanno sperimentato in giornate differenti due modalità di somministrazione dei pasti, proposte da CIRFOOD coerentemente con quanto previsto dalle linee guida ministeriali.

    Il primo giorno il pranzo è stato servito è stato presentato in un vassoio multiporzione con quattro comparti, in ciascuno dei quali c’era una diversa portata servita poco prima del pasto. Il secondo giorno, invece, in monoporzioni termosaldate: ai bambini è stato presentato il primo, poi il secondo e infine la frutta. Ciascun piatto è stato servito a temperatura con un quantitativo standard e nella confezione pronta da aprire e mangiare.

    “Il nostro ruolo in questo caso è stato quello di valutare l’accettabilità di questa modalità di servire il pasto e fare una stima della risposta emozionale dei bambini nelle due condizioni. Si è trattato di una prima osservazione quantitativa a cui si è aggiunta una piccola parte di osservazione qualitativa da parte degli operatori che ci forniscono una prima indicazione” perché, come sottolinea la dottoressa Piochi, sarà necessario replicare l’esperimento su più ampia scala per elaborare delle conclusioni più articolate.

    Forme diverse, diversi sapori

    Un secondo focus di osservazione per i ricercatori dell’Università di Pollenzo durante la Settimana del Cibo ha riguardato la sperimentazione della “merenda del futuro” con le ‘foodballs’, palline di pane con vari ingredienti tra cui il “caulipower” sviluppate dallo chef CIRFOOD Massimo Iorio. “L’idea è di studiare come forma e texture possono modificare il gradimento dello stesso cibo.” ci spiega ancora la dottoressa Piochi. “Ad esempio, potrebbe essere interessante prendere ingredienti critici per i bambini come i vegetali e provare ad aumentarne il gradimento proponendoli in una forma diversa rispetto al solito. Giocando sull’interazione dei sensi e stimolando l’aspetto ludico è possibile ottenere risultati molto interessanti.”

    Un progetto che coinvolgerà sempre più scuole e bambini

    Quanto emerso a Reggio Emilia, dunque, è un primo passo verso una ricerca più estesa che coinvolgerà le scuole anche di altre zone d’Italia e vedrà nel CIRFOOD DISTRICT il punto di partenza e osservazione. “Allargando lo sguardo anche al resto d’Italia” commenta l’intervistata “l’ottica dev’essere quella di conciliare il buono con il sostenibile, eticamente e ambientalmente, ed è interessante provare a valutarlo a partire dai bambini, testandone la percezione non solo dal punto di vista del gradimento, ma anche da quello della sostenibilità di quanto trovano nel piatto.”

     

    Nutriamo la Scuola, dunque, proseguirà anche nei prossimi mesi e continueremo a raccontarvelo su Il Giornale del Cibo. Voi avete mai osservato quali sono i cibi preferiti dei vostri figli e perché?

    Passaporto friulano e cuore bolognese, Angela vive a Udine dove lavora come giornalista freelance. Per Il Giornale del Cibo scrive di attualità, sociale e food innovation. Il suo piatto preferito sono i tortelloni burro, salvia e una sana spolverata di parmigiano: comfort food per eccellenza, ha imparato a fare la sfoglia per poterli mangiare e condividere ogni volta che ne sente il bisogno.

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