Gli Home Restaurants sono illegali?
Prima Uber e Airb’n’b, ora tocca al social eating finire al centro del mirino. Da quando l’era del possesso è finita ed è iniziata quella della condivisione e si parla sempre più di sharing economy, la legislazione italiana si ritrova a dover fare i conti con nuove modalità di fruizione dei servizi, anche quando si tratta di cibo.
Di social eating ne avevamo già parlato, raccontando del portale Gnammo e dei tanti Home restaurant normativa a parte. Avevamo parlato dell’insolito piacere di ritrovarsi a tavola con degli sconosciuti. Avevamo parlato della volontà di dimostrare le proprie abilità culinarie ad altri oltre a che amici e parenti. Avevamo parlato delle motivazioni e delle diverse filosofie che si nascondono dietro i vari portali di social eating. NON avevamo, però, parlato della situazione legislativa che dovrebbe regolare questo genere di attività figlie dei nuovi media. Così come NON avevamo parlato del dente avvelenato dei ristoratori, che rispetto agli home restaurant hanno qualche obbligo di legge in più.
Home restaurant: la proposta normativa
Già perché prima che si sollevasse il polverone, per trasformare la propria casa in un ristorante bastava sfruttare internet. Grazie al passaparola e grazie ai portali di social eating, si poteva passare direttamente ad organizzare eventi, come attività occasionale (entro i 5000 euro lordi all’anno).
Oggi la situazione è un po’ diversa. Fino a pochi giorni fa esisteva una risoluzione del Ministero Economico, un parere, quindi, non una normativa. Con l’obiettivo di riportare a norma le attività di social eating, sulla risoluzione 50481 del 10 Aprile 2015 si leggeva: “anche se esercitata solo in alcuni giorni dedicati e tenuto conto che i soggetti che usufruiscono delle prestazioni sono in numero limitato, non può che essere classificata come un’attività di somministrazione di alimenti e bevande, in quanto anche se i prodotti vengono preparati e serviti in locali privati coincidenti con il domicilio del cuoco, essi rappresentano comunque locali attrezzati aperti alla clientela”.
In questi giorni, la Camera dei Deputati ha dato il via all’iter legislativo accogliendo l’interpretazione della risoluzione e dando voce a molti ristoratori che lamentavano un vuoto normativo e una concorrenza sleale.
Normativa home restaurant: le principali novità
Secondo la legge, che dovrà passare al vaglio del Senato, gli home restaurant sarebbero da considerarsi delle attività economiche e come tali dovrebbero attenersi alla legge 287/1991 (articolo 1), relativa alle attività di somministrazione al pubblico di alimenti e bevande. Chi aspira ad aprire un home restaurant, quindi, dovrà presentare la SCIA o richiedere l’autorizzazione, basandosi sui regolamenti regionali o comunali.
È la fine del social eating?
Neppure per sogno. I portali di social eating si sono già mossi a tutela dei propri iscritti e per rassicurarli. Gnammo propone un codice etico di autoregolamentazione: un documento aperto in cui si cerca di dettare “le regole del gioco per sedere alla tavola di Gnammo”, tenendo conto delle nuove indicazioni legislative. Tuttavia, la proposta di legge sugli home restaurant appena approvata alla Camera si discosta dalla definizione che distingue l’home restaurant dal social eating. A tal proposito, nel codice etico si legge:
- “Home restaurant” Ristorante che è una casa di civile abitazione nella quale si organizzano eventi abitualmente, con strumenti professionali o con organizzazione imprenditoriale
- “Social Eating”: Evento organizzato in una Location che è una casa di civile abitazione, con carattere occasionale, senza strumenti professionali e senza organizzazione imprenditoriale.
La proposta di legge, invece, identifica l’home restaurant con un’attività saltuaria e non abituale, pertanto gli utili non possono superare i 5 mila euro annui.
Nei commenti della pagina, Cristiano Rigon, uno dei fondatori di Gnammo, scrive: “Sappiamo di essere in un piccolo vuoto normativo, per cui occorre ragionare pensando che sia la normativa che si debba aggiornare al modello, e non il modello alla normativa (pensata quando la sharing economy non esisteva).
Diversamente non avremmo mai progresso, se adattiamo sempre la legge attuale, o vecchia, a modelli nuovi”.
Alla luce delle novità della normativa sull’home restaurant recentemente approvata alla Camera, vediamo cosa cambierà.