etichette latte

Come leggere le nuove etichette dei prodotti lattiero-caseari

Redazione

Siamo sicuri di sapere da dove arriva il latte che beviamo a colazione o il formaggio che compriamo al supermercato? Sulle confezioni compare solo lo stabilimento in cui viene confezionato, ma nessuna traccia dell’origine, ma le cose, almeno da noi, sono cambiate. Per difendere il Made in Italy dei prodotti lattiero caseari, dal 19 aprile è entrata in vigore una normativa nazionale molto più rigida sulle etichette alimentari. L’iniziativa, portata avanti anche dalla Francia, mira da un lato alla tutela dei consumatori che chiedono di essere informati, dall’altro vuole tutelare gli interessi economici dell’intera filiera lattiero-casearia, dal momento che il nostro paese, insieme a Francia e Germania, è tra i primi produttori agricoli europei.

Per capire in cosa consiste questa nuova normativa sulle etichette del latte che il ministro per le politiche agricole Maurizio Martina ha definito “un passo storico”, abbiamo fatto una chiacchierata con l’avvocato Barbara Klaus, esperta di diritto dell’alimentazione.

Norme europee sulle etichette alimentari

Come specifica l’avvocato Klaus, “ci sono norme europee in materia di etichettatura d’origine obbligatoria per diversi prodotti agricoli, come miele, ortofrutta, olio extravergine d’oliva, uova e carni non trasformate”. Anche il settore del biologico, al netto delle truffe che lo hanno recentemente coinvolto, ha una sua normativa per l’indicazione di provenienza, così come avviene per i prodotti con indicazione geografica tipica, o con denominazione di origine protetta, ad esempio il Parmigiano Reggiano. Tuttavia, nonostante da tempo alcuni Stati in primis l’Italia e la Francia, chiedano l’introduzione nell’UE dell’indicazione obbligatoria del paese di origine del latte e dei prodotti lattiero-caseari, questa regola generale è facoltativa: “l’indicazione diventa obbligatoria solo quando, in sua assenza, il consumatore potrebbe essere indotto in errore” – specifica l’esperta in diritto dell’alimentazione. È il caso, ad esempio, di confezioni o etichette che riportano riproduzione della bandiera, dei colori nazionali o dei monumenti di un paese, oppure costumi tipici regionali o indicazione di termini stranieri. E per le etichette del latte? Vediamo l’iniziativa di Italia e Francia a tal proposito.

Etichette del latte: nuovi percorsi nazionali

Dal momento, quindi, che un cambiamento a livello europeo non era all’ordine del giorno, Francia e Italia hanno deciso di muoversi autonomamente. I nostri cugini d’oltralpe hanno adottato una normativa nazionale sulle etichette del latte già da gennaio 2017: per il latte e i prodotti lattiero-caseari occorre indicare il paese in cui è stato munto e in cui il prodotto è stato condizionato o trasformato. Tuttavia, i francesi hanno inserito una soglia al di sotto della quale non è obbligatorio questa specifica. Si tratta dei prodotti in cui il latte è presente come ingrediente in una quantità pari o minore del 50%. Anche l’Italia ora ha una normativa simile, senza nessun limite di soglia, come conferma l’avvocato Barbara Klaus: “qualche giorno fa è entrato in vigore l’obbligo di indicare nelle etichette del latte e dei prodotti lattieri caseari l’origine”.

Etichette del latte: ecco come leggere quelle nuove

nuove etichette latte

Ora è dunque possibile avere qualche elemento in più per la fare la nostra scelta d’acquisto su tutti i prodotti lattiero-caseari. Ecco cosa viene riportato nelle nuove etichette:

  1. Paese di mungitura: nome del paese nel quale è stato munto il latte;
  2. Paese di condizionamento: nome della nazione nella quale il latte è stato condizionato;
  3. Paese di trasformazione: nome della nazione nella quale il latte è stato trasformato.

Nel caso in cui le tre operazioni – mungitura, condizionamento e trasformazione – avvengano nello stesso paese, in etichetta troveremo un’unica indicazione:

  • Origine del latte: nome del paese.

Se invece le operazioni indicate avvengono in più paesi appartenenti all’Unione Europea troveremo i seguenti riferimenti:

  1. Miscela di latte di Paesi UE (riferito alla mungitura);
  2. Latte condizionato in Paesi UE (riferito al condizionamento),
  3. Latte trasformato in Paesi UE (riferito alla trasformazione).

Sarà perciò facile individuare anche i prodotti provenienti da paesi extraeuropei per i quali sarà indicato invece “Paesi non UE” per ciascuna delle tre operazioni.

Ministro Martina: “L’origine entra finalmente in etichetta”

etichette alimentari

Il provvedimento nasce da una richiesta inviata dal nostro paese alla Commissione Europea e ufficializzata dall’ex premier Renzi e dal Ministro per le politiche agricole Maurizio Martina dal palco del MiCo di Milano a maggio 2016, durante la Giornata nazionale del latte italiano organizzata da Coldiretti, in occasione del «World Milk Day» della Fao. Il decreto è stato accolto con grande soddisfazione di Coldiretti che ha parlato di “risultato storico per allevatori e consumatori”, risultato che arriva a 11 anni esatti dall’introduzione dell’obbligo di etichettatura per il latte fresco.

Latte più trasparente: sono gli italiani a chiederlo

Secondo una recente consultazione pubblica online del Ministero delle politiche agricole, in più di 9 casi su 10, gli italiani considerano molto importante che l’etichetta riporti il paese d’origine del latte fresco (95%) e dei prodotti lattiero-caseari quali yogurt e formaggi (90,84%), mentre per oltre il 76% lo è per il latte a lunga conservazione. I dati evidenziano anche che la maggior parte degli italiani è disposta a pagare di più per il latte prodotto entro i nostri confini.

Quanto latte consumiamo?

Le stime di Coldiretti evidenziano che i consumatori italiani hanno acquistato nel 2015 una media di 48 chili di latte a persona e si posizionano al settimo posto su scala mondiale per i formaggi con 20,7 chilogrammi per persona all’anno. Prima di noi ci sono i francesi con 25,9 chilogrammi a testa, ma anche islandesi, finlandesi, tedeschi, estoni e svizzeri.

Nuove etichette del latte a tutela del Made in Italy

etichette formaggi

L’obbligo di indicare l’origine in etichetta certifica l’identità di oltre 400 diversi tipi di formaggi tradizionali censiti a livello regionale territoriale, realizzati secondo regole tramandate da generazioni. La loro tutela permette anche di sostenere la straordinaria biodiversità delle razze bovine allevate a livello nazionale. Sono 1,7 milioni le mucche presenti in Italia, che garantiscono un latte di altissima qualità, sicuro e controllato da una rete di veterinari fra le più estese in Europa.

Coldiretti soddisfatta, ma permangono alcune perplessità

Coldiretti ha fortemente sostenuto la richiesta di etichettatura obbligatoria dei prodotti latteo-caseari anche per salvaguardare l’intera filiera del latte, che costituisce il maggior segmento dell’agroalimentare italiano per un valore complessivo di 28 miliardi di fatturato. È ancora Coldiretti (un milione e mezzo di associati, fra le maggiori organizzazioni di imprenditori agricoli in Europa) a credere che il provvedimento salverà 120mila posti di lavoro, incidendo favorevolmente sul mantenimento dei prezzi del latte e proteggendo il Made in Italy dall’agropirateria internazionale sui mercati esteri, dove i nostri formaggi hanno prodotto un fatturato di 2,3 miliardi (+5%) nel 2015. Tuttavia, il fatto che la normativa non sia obbligatoria in tutti i paesi europei pone qualche ombra sulla sua efficacia. Ad esempio, l’avvocato Barbara Klaus, ritiene “discutibile se le nuove norme siano realmente in grado di proteggere i consumatori e la produzione nazionale.” Questo perché, ad esempio, in Germania e in Austria non vige un obbligo simile e il latte e i prodotti lattiero-caseari (formaggi, yogurt, ecc.) prodotti e commercializzati in questi paesi possono essere importati e commercializzati in Italia, senza obbligo di indicare l’origine di mungitura, di condizionamento o trasformazione. “Di conseguenza – conclude l’esperta – una mozzarella prodotta in Germania con latte tedesco può essere venduta in Italia anche senza indicazione dell’origine del latte”.

Gaetano Pascale – presidente di Slow Food Italia – ha dichiarato, invece che “sapere se il latte che beviamo ogni mattina è italiano è un passo avanti, tuttavia non ci dice nulla sulla qualità del prodotto ed è troppo poco per quegli allevatori che vogliano differenziarsi in positivo. Ecco perché c’è bisogno di incentivare un’etichetta narrante, cioè una “carta d’identità” trasparente e completa che offra il maggior numero di informazioni sui pascoli, sull’azienda, sul tipo di allevamento, sul luogo di origine (oltre all’indicazione del Paese)”.

L’entrata in vigore della nuova normativa nazionale sulle etichette del latte riuscirà a proteggerci realmente dal falso Made in Italy? Certamente, conoscere l’origine dei prodotti che acquistiamo ci rende più consapevoli, motivo per cui è importante anche sapere leggere bene le etichette dei prodotti, non solo per il nostro benessere, ma anche per tutelare il patrimonio e l’economia italiane. Voi cosa ne pensate?

Articolo scritto a quattro mani da Marisa Santin ed Elena Rizzo Nervo

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