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Apepak: ecco l’imballaggio biodegradabile in cera d’api

Angela Caporale
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    Trovare una o più alternative sostenibili all’uso della plastica nella vita quotidiana è una priorità, sposata sia dalle istituzioni, Unione Europea in primis, che da aziende private. Non soltanto perché, secondo alcune previsioni, entro il 2050 nel mare ci saranno più rifiuti di plastica che pesci, ma anche perché non sono ancora del tutto chiari gli effetti sulla salute delle microplastiche che vengono ingerite attraverso gli alimenti.

    La ricerca di soluzioni è continua e, a volte, attinge anche a risorse accessibili e a portata di mano, che possono essere facilmente trasformate in prodotti utili. È il caso, in parte, di Apepak, un imballaggio a base di cera d’api per alimenti 100% ecosostenibile e biodegradabile, frutto dell’intuizione di Massimo Massarotto e della moglie Molly. Li abbiamo intervistati per conoscere meglio la loro storia e come funziona Apepak.

    Perché ridurre l’uso della plastica è una priorità

    Trovare una o più alternative alla plastica è un’esigenza che nasce anche dalla complessità e dalle tempistiche necessarie per poterla smaltire. Ad esempio, per poter una bottiglietta di plastica sono necessari fino a 1000 anni. Più breve è il lasso di tempo necessario per i cotton fioc, circa 30 anni, lo stesso periodo che serve per far sparire del tutto un chewingum. Un singolo filtro di sigaretta ha bisogno invece di un decennio. Queste informazioni, note ormai da anni, sono il punto di partenza per comprendere le ragioni per cui ridurre l’uso delle plastiche è una priorità. L’ambiente e soprattutto il mare, sempre più deteriorato e soffocato dai rifiuti che non si possono smaltire, sono esposti a gravi rischi, che riguardano, naturalmente, anche per l’uomo. Un recente studio ha calcolato che una persona consuma, in media, circa 140 microparticelle di plastiche direttamente dagli alimenti ad ogni pasto. Una quantità che può arrivare a ben 68.415 fibre in un anno.

    L’Unione Europea mette al bando le plastiche usa e getta

    L’esigenza di virare verso una spesa e una vita “plastic free” è stata recepita anche dalla Commissione Europea che, negli ultimi anni, ha dedicato sempre maggiori sforzi a una riduzione della produzione e dell’uso di plastica in tutta l’Unione. Una delle prime direttive, accolta non senza polemiche, ha reso obbligatori i sacchetti biodegradabili per la frutta e la verdura in tutti i supermercati.

    Nel dicembre del 2018, invece, è stato raggiunto un accordo insieme al Parlamento e al Consiglio dell’UE per una serie di direttive che, entro il 2030, dovrebbero evitare l’emissione di 3,4 milioni di tonnellate di CO2, ma anche la raccolta di plastiche direttamente dalle spiagge e dal mare. L’obiettivo è quello di raccogliere il 90% delle plastiche che si trovano sui litorali europei entro il 2030 e, nello stesso lasso di tempo, arrivare alla produzione di bottiglie di plastica composte come minimo al 30% di materiale riciclato.

    La stretta dell’Unione Europea ha colpito anche le plastiche monouso, tant’è che già sono stati banditi i cotton fioc e, dal 2021, saranno vietati posate e piatti, cannucce, bastoncini dei palloncini, contenitori per alimenti e tazze in polistirolo espanso (come le scatole di fast food).

    imballaggio cera api

    Come impacchettare i cibi nel futuro? La risposta di Apepak

    La domanda, naturale, riguarda i materiali da utilizzare per confezionare e conservare gli alimenti. Un’alternativa è quella realizzata da Massimo Massarotto, nata da una sua personale attenzione al problema dell’inquinamento ambientale. “Io e mia moglie viviamo da 3 anni in California, dove esiste una sensibilità specifica ai temi dell’ecologia, e siamo sempre stati ambientalisti. Riflettiamo sempre sul fatto che siamo nati in un’epoca fortunata, abbiamo utilizzato per anni il cellophane senza renderci conto di essere anche noi parzialmente responsabili del deterioramento del pianeta. Ora però tocca a noi fare qualcosa di concreto.”

    Massimo e Molly hanno dato vita al progetto Apepak, che ha visto lo sviluppo e la produzione di un involucro strutturato specificatamente per gli alimenti e perfettamente riutilizzabile e biodegradabile. “L’idea della pezza – ci spiega Massarotto – è nata da mia moglie. Lei già utilizzava un prodotto simile di fattura americana e, in maniera molto naive, ha avuto l’idea di produrne qualcuna in casa a Natale di un anno e mezzo fa da mandare alla famiglia in Italia come regalo.” L’obiettivo era, semplicemente, sensibilizzare amici e parenti a una pratica ecologica, ma il panno si è rivelato non solo gradito e utile. “Sono stati proprio loro a proporci di introdurre questo prodotto in Italia dove non esisteva. Why not? Abbiamo lavorato un anno per creare la struttura di produzione e di vendita, finché non abbiamo lanciato effettivamente il brand lo scorso luglio”.

    apepak cera api

    La “ricetta” di Apepak: cera d’api, cotone biologico, resina di pino e olio di jojoba

    Per poter realizzare un prodotto 100% sostenibile, sia dal punto di vista ambientale che umano, è stato necessario selezionare con attenzione i materiali e gli “ingredienti” da utilizzare per produrre gli Apepak. Si parte, infatti, dal cotone certificato GOTS, da agricoltura biologica e filiera sostenibile su cui vengono aggiunti gli altri ingredienti:

    • cera d’api
    • resina di pino
    • olio di jojoba.

    “Scegliere la cera d’api – spiega il fondatore di Apepak – è stato naturale. Da un lato perché

    ha proprietà difficilmente riproducibili con altre cere vegetali, dall’altro per sostenere gli apicoltori che si trovano in seria difficoltà.” Dal 2010, infatti, una quota importante delle api presenti nel mondo è stata sterminata, complice anche l’uso dei pesticidi in agricoltura, e la sopravvivenza di questa specie, fondamentale per la tutela della biodiversità è nelle mani degli apicoltori. “Inoltre, la cera d’api è un prodotto miracoloso: antisettica di per sé, non va mai a male, è già certificata per il contatto con il cibo e ha delle proprietà che si sposano con l’organicità del prodotto. Grazie al calore delle mani, infatti, si attiva, per cui quando usi Apepak per avvolgere un panino oppure un frutto, fai un risvolto e si sigilla.”

    Lo scopo della resina di pino, invece, è quello di fissare la cera d’api, “naturalmente bisogna stare attenti quando si lava la pezza, sempre in acqua fredda.” Infine, c’è l’olio di jojoba che importato dalla Gran Bretagna, ma sempre da fornitori selezionati in base a criteri etici e solidali. “In generale – spiega Massarotto – siamo in costante ricerca per rendere più sostenibile la produzione. La cera d’api, infatti, non è una risorsa infinita e potrebbe portare a dei problemi in futuro, mentre l’olio di jojoba non è a km zero e ci piacerebbe trovare un’alternativa per abbattere l’impatto ambientale del trasporto. Le domande sono tante per poter mantenere la pratica il più etica possibile”.

    imballaggio apepak

    Come si usa l’Apepak?

    I primi ad utilizzare l’Apepak sono stati i componenti di 200 famiglie coinvolte come tester del prodotto nell’estate 2018. “La stampa ci ha battezzati come l’alternativa alla pellicola per alimenti – spiega il fondatore – personalmente sono più cauto perché la vita di ogni prodotto dipende dall’uso che se ne fa. Nel complesso, l’Apepak è adatto a ricoprire qualsiasi tipo di alimento per poterlo conservare meglio.”

    È certificato per l’uso sicuro per gli alimenti come, ad esempio, spezie, insalata, pane, frutta, frutta secca. “Lo proponiamo in diverse misure per poter coprire un piatto con gli avanzi del pranzo, oppure per portare uno snack al lavoro o anche per conservare il pane.” È sconsigliato, invece, per la carne cruda oppure per il pesce, che rilasciano succhi che potrebbero danneggiare la pezza e renderla più difficile da lavare.

    “Dal nostro punto di vista e secondo la nostra esperienza, consigliamo di utilizzare una pezza differente per ogni tipologia d’uso. Ad esempio, una solo per il pane, una solo per gli avanzi e via dicendo.” Così, ci spiega Massarotto, è possibile conservare l’Apepak il più a lungo possibile, lavandolo in acqua fredda, con un sapone naturale e una spugnetta, anche più di un anno. “Non è necessario farlo a ogni utilizzo, una volta ogni due o tre settimane è sufficiente. A fine vita, si può gettare nell’umido a seconda delle regole comunali: in meno di quattro anni sarà completamente smaltita”.

    imballaggio del futuro

    La produzione etica e sostenibile dell’Apepak

    La produzione di Apepak si svolge interamente in Italia e, in particolare, in provincia di Treviso ad opera della cooperativa sociale Sonda. “Riceviamo – spiega il CEO – i rotoli di cotone alti, solitamente, 1,50 m e lunghi circa 200 metri. Vengono posizionati su un tavolo, tagliati a mano grazie a delle forbici zigrinate perché il tessuto non si sfilacci. Le pezze vengono poi posizionate su un’altra postazione, dove c’è una stazione di caratura: qui, manualmente, viene applicata la cera con la resina e l’olio. Una volta asciugate, sono pronte per passare al confezionamento dentro al packaging.”

    Sostenibilità sociale, in collaborazione con Sonda, Società Cooperativa Sociale Onlus

    Non è un caso che nella produzione sia stata coinvolta una cooperativa che opera sul territorio coinvolgendo persone in situazione di marginalità e svantaggio come, per esempio, soggetti con problematiche di dipendenza e persone con disabilità, la maggior parte giovani che possono così inserirsi in progetti di integrazione sociale.

    “Siccome il prodotto è quello che in inglese si dice “no brainer”, ovvero che  appena lo capisci non hai dubbi sulla sua efficacia, il successo è quasi assicurato. Ci siamo chiesti allora perché non condividerlo con le persone che hanno più difficoltà. Ho pensato subito a Sonda, perché conoscevo Francesca Amato, vice presidente della cooperativa, e sapevo che lavoravano all’assemblamento e produzione di carta per varie aziende del territorio”. Così è nata la collaborazione per la produzione di Apepak che fosse etica in ogni passaggio della filiera: “ci interessava – aggiunge avere un prodotto che fosse giusto da tutti i punti di vista.”

    produzione apepak

    Uso domestico e grande distribuzione: il futuro di Apepak

    Le prime famiglie a utilizzare Apepak sono state coinvolte anche nella compilazione di alcuni questionari per capire punti di forza e punti deboli del prodotto. “Nel complesso, quello che ci hanno segnalato è che con la mozzarella e lo stracchino può dare qualche problema, ma nel complesso la soddisfazione è trasversale.”

    C’è chi lo utilizza per il pane, chi per impacchettare la merenda per la ricreazione dei figli, chi per coprire gli alimenti e riporli in frigo. È nata attorno alla pagina Facebook del progetto una piccola e attiva community che, costantemente, condivide le idee più creative ed efficaci per utilizzare la pezza.

    Apepak è arrivato anche in alcune cucine, dove gli chef lo utilizzano come un canovaccio per proteggere gli impasti. “Noi stessi – aggiunge Massarotto – stiamo scoprendo usi e costumi di questo nuovo prodotto giorno per giorno e ci stiamo rendendo conto che può essere un’ottima alternativa non solo per l’alimentare, ma per incentivare e sostenere la cultura del riutilizzo.”

    L’innovazione di Apepak ha attirato l’attenzione anche di alcuni supermercati che, come ci spiega il fondatore, hanno contattato l’azienda per poter creare degli involucri per gli alimenti venduti direttamente con le pezze di cera d’api. In futuro, dunque, Apepak si potrà acquistare nei supermercati, per ora è disponibile sul sito dell’azienda e in alcuni punti vendita specifici in diverse parti d’Italia.

    “Da parte mia – conclude l’intervistato – sono convinto che abbiamo il dovere di immaginare come sarà la vita del futuro che passi, necessariamente, attraverso un processo industriale e culturale sostenibile da tutti i punti di vista. Con Apepak, stiamo cercando di dare l’esempio dimostrando che si può essere etici, ecologici e sostenibili e avere successo anche dal punto di vista del business.”

     

    Conoscevate questo prodotto? Raccontateci nei commenti le vostre strategie per ridurre l’uso di plastica in cucina!

    Passaporto friulano e cuore bolognese, Angela vive a Udine dove lavora come giornalista freelance. Per Il Giornale del Cibo scrive di attualità, sociale e food innovation. Il suo piatto preferito sono i tortelloni burro, salvia e una sana spolverata di parmigiano: comfort food per eccellenza, ha imparato a fare la sfoglia per poterli mangiare e condividere ogni volta che ne sente il bisogno.

    4 risposte a “Apepak: ecco l’imballaggio biodegradabile in cera d’api”

    1. anna maria matrone ha detto:

      non conoscevo questo prodotto: come fare a comprarlo? Esiste già in commercio?

    2. Giada ha detto:

      Ciao Angela,
      Questo prodotto e’ gia’ da anni molto conosciuto all’estero. Si puo’ anche preparare in casa.. bastano dei vecchi strofinacci, un forno e della cear d’api. Ci sono moltissimi video su You tube.
      Quest’idea non e’ frutto dell’intuizione di Massimo e sua moglie.
      In passato ho chiesto a Massimo di essere piu’ verititero durante le interviste che rilascia.
      …certamente capisco che stia tentando di aiutare la cooperativa sociale ma penso che dire la verita’ sia una questione di correttezza verso tutti gli italiani

    3. Giada ha detto:

      Angela
      …scusami… ho guardato ad altri articoli su Apepak e finalmente leggo che Massimo sta finalmenet publicizzando questo prodotto non prendendosi il merito di un invenzione che esiste da anni sul mercato ma spiegando la verita’.
      Cancella pure in miei messaggi se vuoi.
      Se potessi scrivere un articolo su come fare questo prodotto a casa… aiuterebbe tante persone e ad avere un mondo piu’ pulito.
      Come spiegai a Massimo se il suo scopo e’ diminuire l’uso della plastica… publicizzare l’opportunita’ di fare questo prodotto a casa aiuterebbe il mondo in cui viviamo. 🙂

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