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Agromafia: Ristoranti, Pizzerie e Bistrot che dicono No alla Mafia

Redazione

Saranno pure 5mila i locali in mano alla mafia, ma l’esercito di chi dice no comincia a ingrossarsi. Ristoranti, pizzerie, pasticcerie, bar, bistro: difficile per il momento contarli, ma presto – i protagonisti ne sono sicuri – saranno di più dei colleghi che accanto all’insegna ne hanno una, invisibile, riconducibile alla criminalità organizzata. Per opporvisi basta anche solo la Addiopizzo card, che 22 locali esibiscono a Palermo, oppure il no a materie prime provenienti da filiere inquinate.

E non è necessario avere l’attività in Sicilia, Calabria, Campania: le reti etiche stanno cominciando a dare i loro frutti anche al nord, con la pizzeria etica appena inaugurata a Bologna a fare da apripista.

addiopizzo card

 

Agromafia: c’è chi dice No alla Mafia

Pizzeria Etica alla conquista del nord

Prodotti ecosostenibili, materie prime controllate, rispetto del lavoro e della legalità. I paletti messi davanti a “Masaniello pizzeria etica” di Bologna sono un biglietto da visita, fondamentale per chi proprio da qui, in una terra che si è scoperta inquinata dalla ‘ndrangheta, vuole cominciare a mettere radici. La Fiera, dove si sta celebrando il processo Aemilia (una delle più grandi indagini del nord Italia) contro le infiltrazioni della criminalità organizzata, non è lontana da via San Donato, storica strada di Bologna sospesa tra centro e periferia, bolognesità e migrazioni.

Qui nasce Masaniello, “un progetto di rivoluzione culturale – dicono i promotori Luca e Marco Caiazza – che nasce in collaborazione con il comitato ioLotto e che entra a far parte di Civica 2016. Un progetto economico che mette al centro l’uomo, la sua esperienza, il suo territorio e che fa del contrasto alla criminalità il suo obiettivo. È la risposta a tutte quelle persone sensibili e attente al problema di infiltrazioni criminali nel nostro tessuto sociale che, dopo essersi informate e responsabilizzate, non sanno cosa fare di concreto per combattere il fenomeno.

pizzerie agromafia

Come diceva Giovanni Falcone, “se vuoi fa incazzare un mafioso mettigli le mani in tasca”. E così nella festa di strada che il 10 aprile ha presentato alla città il locale, Masaniello ha presentato le sue idee: come la pizza che prende il nome dall’insegna, fatta con mozzarella di Bufala del presidio Libera di Castelvorturno, i friarelli del consorzio Nco, l’olio della coop Nuovo Cilento.

 

Ristoranti contro la mafia: addio al pizzo senza rimpianti

Sono al sud, però, gli esempi più numerosi di imprenditori che si sono ribellati alla mafia, alla camorra, alla ndrangheta, e in particolare alla consuetudine del pizzo. A uno di questi, Tiberio Bentivoglio, commerciante reggino che non lavora nella ristorazione ma è diventato un simbolo della lotta al racket, è stato devoluto l’incasso della prima giornata di lavoro di Masaniello.

ristorante

In Sicilia i comitati Addiopizzo sono presenti in tutti centri principali: se da un lato non scoraggiano le azioni criminali (le cronache continuano a riportare attentati e intimidazioni, in particolare a Palermo), dall’altro offrono esempi di imprenditoria pulita, con le idee chiare, proiettata in un futuro migliore e legale. Non è un caso se oltre 1000 esercizi aderiscono all’associazione, e di questi 61 sono ristoranti o pizzerie (numeri analoghi a quelli di Catania).

Natale Giunta, titolare di uno dei ristoranti più prestigiosi di Palermo (Castello a mare), ogni tanto confessa di essere stanco, ma il suo impegno nonostante una dozzina di intimidazioni ricevute non è mai venuto meno: nei processi contro i suoi estorsori e nella qualità e provenienza di ciò che propone in cucina.

 

Non solo ristoranti: dolci tentazioni contro la mafia

pasticceria

I fratelli Scimeca, con la loro storica pasticceria, sono tra i pochi commercianti di Caccamo, a pochi chilometri dal capoluogo siciliano, che dal voltafaccia al racket sono partiti per la loro strada, senza paura e con determinazione. Scimeca vende tanto, più che in loco, su Internet, dove immette con orgoglio i suoi prodotti di filiera corta, cortissima e di autentica tradizione isolana. Nel suo sito non c’è traccia delle minacce e delle intimidazioni ricevute, ma bastano due chiacchiere coi proprietari per rendersene conto.

La stessa cosa è successa a un altro pasticcere palermitano, Alessandro Marsicano, che ha raccontato la sua storia di vittima del racket qualche giorno fa in una trasmissione di Rai1 e annunciato di voler andare avanti nonostante tutto. Molti chilometri più a nord, a Torino, il bar Italia Libera si è installato dove la ‘ndrangheta, come raccontato dall’inchiesta giudiziaria Minotauro, faceva le sue riunioni: l’associazione Nanà in questo bene confiscato alla criminalità organizzata ha creato, come raccontano i gestori, “un luogo di incontro dove fare colazione, degustare un buon pranzo o una merenda, bere un aperitivo in compagnia”.

Un pacco alla camorra

Così si chiamano i prodotti che in Campania Libera e altre associazioni mettono in vendita per dare piccoli schiaffi alla criminalità organizzata. E sono tanti in regione i luoghi dove è possibile mangiare etico.

fattoria

Nel Casertano c’è la fattoria Fuori di zucca, uno dei prodotti della rete Nco (nuova cucina organizzata, uno schiaffo anche nel nome visto che ricalca l’organizzazione di Raffele Cutolo): “Bisogna essere proprio fuori di zucca per realizzare una fattoria in un manicomio – si legge nel sito dell’associazione -, ma bisogna essere ancora più fuori di zucca per non accorgersi del grande bisogno di riconciliarsi con la terra madre, allora, quale posto migliore se non un ex ospedale psichiatrico per esorcizzare la pazzia che divora l’ecosistema e la biodiversità omologando tutto in un immenso niente grigio?”. Un manifesto chiaro della genuinità dell’iniziativa: prodotti fatti in loco, fattoria sociale, agricoltura bio, inserimento di soggetti svantaggiati (il punto di partenza, nel 2000, dell’iniziativa). Il tutto nell’ex manicomio di Aversa. Serve altro?

 

Mafia e ristoranti: numeri da brivido

Contro questi esempi di lotta a quello che è diventato uno dei più importanti business della criminalità organizzata in Italia, l’agromafia, ci sono però numeri che rimangono da brivido: gli oltre 5mila ristoranti in mano alla mafia (secondo i numeri del rapporto Coldiretti-Eurispes), gli oltre 100 milioni di beni sequestrati alla ristorazione nel 2015. Fa quasi sorridere, di fronte all’imponenza di questo giro, la catena spagnola di ristoranti che riportano la parola mafia nella loro insegna: 37 locali oggetto di un’interrogazione parlamentare in Italia, ma lontani, a quanto pare, da infiltrazioni criminali. Semplicemente, un modo per fare business, anche all’associazione Cosa Vostra sa tanto di apologia.

 

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