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5 migliori ristoranti della Basilicata (secondo noi)

Giulia Ubaldi

 

A volte in Basilicata si ha la sensazione di utilizzare il senso della vista per la prima volta. Quando compaiono i calanchi e scompaiono le case, quando riappaiono le coste e spuntano le dolomiti. Eppure sono ancora troppo pochi coloro che si sono messi davvero a esplorare questa terra, ma chi l’ha fatto giura di non essersene pentito e di esserne rimasto irrimediabilmente folgorato. Razionalmente è difficile accettare che possa esistere ancora un posto come la Lucania, anche se non mi piace descriverla sempre con epiteti legati al passato. Qui di certo ha un valore prezioso ciò che è rimasto intatto e ancestrale, come alcune credenze e tradizioni, o pratiche come la transumanza e la pastorizia; ma la Basilicata è anche una terra d’avanguardia.

In ambito ristorativo, ad esempio, si va dalle classiche trattorie rimaste immutate nel tempo, a sassi e bistrot più moderni, con ricette antiche ma anche con nuove rivisitazioni più leggere. Ecco qui i 5 ristoranti della Basilicata che ho apprezzato di più durante il mio cammino lucano: alcuni storici più classici, altri recenti e innovativi, altri ancora che invece della storia ne hanno fatto un concetto davvero rivoluzionario in cucina. Quel che resta immutato nel tempo, come punto di partenza di tutte le cose, è l’ospitalità: non c’è scritto da nessuna parte e su nessun menu, eppure ne è l’essenza più intima e più costante.

Ristoranti della Basilicata: i 5 migliori indirizzi

Ristorante Da Peppe, tra fagioli bianchi e melanzane rosse

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Andare da Peppe significa dirigersi verso una ristorazione che sceglie solo materie prime di qualità; ma soprattutto significa incontrare una persona e una famiglia davvero eccezionale. Nonostante si trovi in un paese completamente fuori dalle rotte più comuni, Rotonda, Peppe, il proprietario, non ha rinunciato alla tradizione, ma ha intrapreso anche il prestigioso cammino verso la rivisitazione, aiutato e supportato da Angela, una moglie premurosa, dalle sue figlie Antonella e Flavia, e anche un po’ dal suo cane, Pulce. La sua cucina è un’opera sinfonica dove le portate si susseguono con armonia come pagine di uno spartito, in un eclatante concerto di sapori: suoni bilanciati di consistenze, profumi e colori, come nei delicati tagliolini al tartufo con crema di formaggio di capra.

Non dimentichiamo che siamo pur sempre nel vaticano della melanzana rossa e del fagiolo bianco, che compaiono continuamente in questo menu, come nel tortino di melanzana con fondente di pomodoro, o nelle spaccatelle con fagioli bianchi, melanzane rosse e caciocavallo podolico, o ancora nella torta dolce tutta di melanzane, di un’intensità indimenticabile. In questo continuo divenire a ritmo di stagioni, sempre con in chiave di violino un ottimo Aglianico della casa, è questo l’indirizzo giusto per chi vuole mangiare divinamente piatti, abbondanti, della tradizione e del posto, a prezzi più che onesti, in un clima davvero accogliente e familiare, per poi fare due passi nel Pollino e magari giungere per l’ora di cena da Federico Valicenti, alla sua Luna Rossa.

Luna Rossa, da Federico Valicenti nel cuore del Pollino

Non ha nessun senso aprire un ristorante nel 1981 a Terranova di Pollino. Eppure Federico Valicenti l’ha fatto. Ha imparato tutto da solo, andando in giro a raccogliere testimonianze dai contadini, dai pastori, dagli agricoltori e anche da alcuni clienti, ma senza nessun programma razionale alla base. È andato alla ricerca dei piatti, delle tradizioni culinarie, cercando di trasformarle senza tradirle, come la pizza di alici di cui vi avevamo già parlato: “come se le ripulissi, perché certo non si può più cucinare come si faceva cento o trecento anni fa, è cambiato tutto. Ma se trovo un piatto particolare lo riformulo, cerco di sgrassarlo, di renderlo più affine al palato di oggi. Ad esempio, io non faccio i soffritti quando faccio i sughi, non uso sedano e cipolla, vado direttamente con il pomodoro e l’olio, perché questo non appesantisce, non copre il gusto del pomodoro vero, che a me piace sentire in bocca”.

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Fonte immagine: facebook.com/pages/La-Luna-Rossa-Terranova-Di-Pollino

Un giorno un ispettore Michelin, dopo aver fatto la sua recensione, gli ha consigliato di cambiare un po’ di cose nel locale per avere la stella, perché disse che aveva tutte le carte in regola per prenderla. Eppure Federico gli ha risposto chiaramente che non era interessato, lasciandolo scioccato: “non sono disposto a rivoluzionare il mio concetto di cibo e di accoglienza che negli anni ho acquisito e coltivato. Per me Luna Rossa è un’osteria dove la gente si sente a suo agio, deve avere la possibilità di discutere di un piatto, di un’idea, di parlare e raccontare le cose, tant’è vero che ho scritto dodici libri e li ho messi tutti online perché non mi interessa venderli, ma mi interessa che passi una narrazione del cibo”.

L’ultimo suo libro si chiama Dal Paradiso alla Tavola, e racconta Gesù dal punto di vista gastronomico. “Io sono agnostico, ma leggendo Gesù da questo punto di vista sto scoprendo che era un grande chef. E questo perché a mio avviso lui amava moltissimo lavorare il cibo, a partire dalla pasta. Lui ha sempre visto la madre fare la pasta, e secondo me già da piccolo ha capito l’importanza, quasi la magia, del lievito, e l’ha poi trasformato in comunicazione. Tant’è vero che lui parla in continuazione di cibo: pani, pesci, lievito, vino”.

Qui è facile sentirsi a casa perché la sua cucina, seppur di altissima qualità, è una cucina per tutti, proprio come le storie. Infatti i nomi dei suoi piatti sono spesso una specie di narrazione, come i Capunti delle Donne Monache, una ricetta del 1675 che ha trovato in un convento in Puglia, dove ha scoperto che le donne monache facevano i caratelli e le orecchiette con una salsa di ricotta, cannella, bucce di limone e zucchero.

Da Federico Valicenti bisogna giungere con appetito, ma non solo di cibo. E una volta giunti sulla sua Luna Rossa, l’eclissi dal resto del mondo è davvero totale. Tutti i suoi piatti sono da provare, perché ognuno è un racconto da assaggiare, come la ciambottella, il panino di lievito madre al forno ripieno di verdure, che i contadini si portano in campagna quando stanno fuori tutto il giorno da casa.

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Fonte immagine: facebook.com/pages/La-Luna-Rossa-Terranova-Di-Pollino

Tra i suoi primi sono indimenticabili le lagane di  mischiglio, ovvero le tagliatelle di farine antiche con ceci, orzo, fave, semola conditi con salsa di stagione, o i ferrazzuoli del brigante con peperoni arrostiti, pomodoro, uova e salsiccia. Tra i secondi spiccano gli arrosti di agnello, vitello, lucanica, oppure il filetto di manzo di Federico II, con miele di castagno, menta e vino aglianico, o ancora la Rabatana, cioè il maiale dentro l’arancia con peperoni cruschi e vincotto. Ma è davvero riduttivo relegare le sue portate a una lista, poiché mai come in questi caso tutto è degno di essere vissuto. Su prenotazione prepara anche antichi piatti della tradizione di Terranova, che richiedono sempre lunghi tempi di preparazione e cottura, mentre in occasione dei matrimoni non manca mai la coscia della zita, ovvero la coscia di agnello, steccata con spezie, un piatto che ormai non fa più nessuno.

In questo periodo sta preparando un piatto di grani antichi con basilico, menta, sedano e finocchietto, un omaggio ai sapori del suo Pollino. Che fate, andate ad assaggiarlo?

La Locandiera, a due passi da Francis Ford Coppola

La cucina di zia Clara è rassicurante e sorprendente perché c’è qualcosa che rassicura e sorprende. Sarà l’apparente discrasia tra l’immagine di una tradizione culinaria povera e l’eleganza con cui vengono presentati i piatti, a testimonianza che una rivisitazione è più che possibile. E allora i piatti finiscono per essere una straordinaria riletture di ricette tradizionali, come ad esempio a sagn ca’ mddich, ovvero un tipo di pasta fresca chiamata tripoline, condita con mollica di pane e polvere di peperone crusco, ingrediente imprescindibile della cucina lucana, come vi avevamo già raccontato in questa ricetta. In più tutte le portate vengono sempre servite in modo originale, come la crêpe salata con guanciale, funghi e crema di caciocavallo presentata su una tegola o le deliziose polpettine di ricotta, bietole e cozze, distese su un piatto di piccoli sassi, perché non dimentichiamo che siamo a Bernalda, dove soffia anche brezza marina. Non saremmo potuti stare così bene e non avremmo fatto tutte le scelte giuste, sia perché sbagliare qui è impossibile visto che qualsiasi proposta lascia soddisfatti; sia grazie ai consigli, alla presenza e al servizio impeccabile del nipote di Clara, Francesco, a cui dobbiamo anche il prezioso abbinamento con una delle migliori selezione di vini locali della zona.

Cibò, un ambiente divertente tra prodotti eccellenti

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Mangi quello che compri e compri quello che mangi” è il motto di Cibò a Potenza, caffè gastronomico, bistrot, ristorante, enoteca e cantina, adatto a qualsiasi momento della giornata, dalla colazione al pranzo, fino a merenda, aperitivo, cena e post-cena.

Entrando si ha come la sensazione di fare il giro d’Italia, perchè hanno fatto una ricerca davvero spasmodica di tutti i migliori prodotti italiani, che rendono questo locale oggi uno straordinario concentrato di eccellenze. Tutto è iniziato grazie all’ex proprietario Rocco Catalano, che ha reso questo posto davvero all’avanguardia, per i tempi e i luoghi in cui spalancò le sue porte. Con lo stesso entusiasmo hanno continuato anche gli attuali soci proprietari, Giuseppe e Pierluigi, sempre in cammino per nuove idee, come le bucce di patate fritte con senape, per lanciare un messaggio sul riciclo alimentare. A chi verrebbe mai in mente di friggere le bucce di patate che di solito si buttano? E invece, lo scricchiolio in bocca è piacevole e come entrée è davvero appetitosa. Qui è doveroso accennare all’altra nobile filosofia che guida questo posto: oltre alla questione legata al consumo del cibo, su ogni menù vi è un elogio alla lentezza in cui ci invitano a rilassarci e a non sacrificare il questo prezioso patrimonio enogastronomico con la fretta. Ed effettivamente è proprio questo quello che succede da Cibò: si sa quando si entra ma non si sa mai quando si esce, perché qui il tempo scorre seguendo altri parametri. Quelli del piacere, della frugalità, della convivialità, dello stare bene insomma.

Ogni prodotto proposto viene scelto seguendo tre criteri: etica, genuinità e amicizia. In più, la loro scelta è orientata verso la sostenibilità massima, per questo servono solo acqua pubblica filtrata e sanificata. Da provare sono alcuni must come l’ottima mortadella bolognese Pasquini e Brusiani, il tagliere di formaggi della Lombardia, lo stracchino di Taverna Centomani di Potenza che fornisce il latte nobile anche per la colazione, la  mozzarella di bufala, di Agropoli. Ad accompagnarli, però, siamo in Umbria: le confetture della Sibilla di Norcia sono consorti ideali in campo caseario, mentre invece dall’Abruzzo arriva il farro dell’azienda Caprafico, qui condito con mele. E poi che facciamo, non andiamo in Piemonte per un bel hamburger di Fassona? In conclusione: Puglia con l’amaro alla erbe, e Sicilia al cospetto del cioccolato modicano. Tutti questi giochi di sapori sono soprattutto divertenti e accontentano tutti, anche se senza Marco Pietrafesa in cucina, giovane talento lucano, non potremmo divertirci così tanto.

Trattoria Da Fifina, per piatti semplici a prezzi onesti

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Fonte immagine: facebook.com/pg/TrattoriaDaFifina

Proprio di fronte alla casa di Francis Ford Coppola, o meglio, al Palazzo Margherita del regista di origine lucane, si trova questa trattoria, che per fortuna è rimasta inalterata dal 1947. La cucina di Fifina, come dice lei, è una cucina che non ha niente da nascondere: ancora lucana, ma con un’evidente influenza pugliese, come dimostra il cestino di Moliterno. Così ecco che in tavola non mancano mai le orecchiette fatte a mano con le cime di rapa o la deliziosa purea di fave con cicoria, due cavalli di battaglia. I piatti sono sempre abbondanti, la qualità sempre assicurata e i prezzi mai alti, perchè è questa la filosofia di un posto alla mano, semplice, familiare. Purtroppo, sotto altri punti di vista, un po’ di ricerca non guasterebbe: la scarsa, se non inesistente, cantina di vini non omaggia una regione che in realtà ha moltissimo da offrire.

L’Aglianico in Vulture, infatti, è un vitigno eccezionale, dal carattere forte, piena espressione del suo territorio, nonché uno dei modi migliori con cui la Basilicata ci parla e si racconta. Inoltre, ormai da un anni, non è più solo un vino prodotto e disponibile nelle case, ma vanta alcune cantine tra le migliori d’Italia: dai più storici Paternoster e Notaio ai più giovani e recenti Elena Fucci, Musto Carmelitano e Mastrodomenico.

A proposito di Aglianico del Vulture, ricordate il tour che avevamo fatto Basilicata coast to coast alla ricerca di vini naturali e biologici? Forse sarà il caso di tornarci, magari in occasione di Matera capitale europea della cultura per il 2019, in modo da scoprire qualche nuovo locale, come quando avevamo provato quei fantastici fusilli alle fave!

Antropologa del cibo, è nata a Milano, dove vive e scrive per varie testate, tra cui La Cucina Italiana, Scatti di Gusto, Vanity Fair e le Guide Espresso. Il suo piatto preferito sono gli spaghetti alle vongole, perché per lei sono diventati un'idea platonica: "qualsiasi loro manifestazione nella realtà sarà sempre una pallida copia di quella nell'iperuranio". Nella sua cucina non mancano mai pistilli di zafferano, che prima coltivava!"

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