Scadenza dei prodotti: la guida dell’Efsa per produttori e consumatori
Sulle etichette dei prodotti che consumiamo e acquistiamo tutti i giorni sono indicate tante informazioni preziose a proposito della filiera, dei luoghi di produzione, delle modalità di cottura e di consumo. Di fondamentale importanza anche come si indica la scadenza, per cui la data su un alimento può essere riportata con due diciture diverse: “da consumarsi entro il” e “da consumarsi preferibilmente entro il”. Sapete già con la differenza? Per fugare ogni dubbio abbiamo intervistato Pietro Stella, che si occupa di pericoli biologici per l’EFSA, Autorità europea per la sicurezza alimentare, coordinando un gruppo internazionale di esperti scientifici, il Panel BIOHAZ. Questo ha recentemente pubblicato un parere scientifico sull’argomento che include anche un prezioso tool dedicato ai produttori per aiutarli a stabilire con maggior sicurezza quale sia l’indicazione giusta da dare ai consumatori. Vediamo di cosa si tratta.
Come si indica la scadenza di un prodotto? Differenza tra “da consumarsi entro il” e “da consumarsi preferibilmente entro il”
Tutti i prodotti alimentari in commercio devono essere accompagnati dall’indicazione di una data che può essere di due tipi:
- data di scadenza, con la dicitura “da consumare entro il”;
- termine minimo di conservazione, indicato come “da consumarsi preferibilmente entro il”.
Il dottor Stella ci spiega che la differenza è sostanziale: “quando trovo la data di scadenza (da consumare entro) significa che dopo quella data il prodotto potrebbe presentare un problema di sicurezza alimentare come, ad esempio, il rischio di una tossinfezione. Per questo, una volta superata la data, con questa dicitura è meglio non consumare il prodotto.” Se, invece, l’indicazione di tempo riguarda il termine minimo di conservazione (o TMC) ciò significa che il produttore vuole comunicare al consumatore che, dopo quella data, può esserci un calo della qualità e un’alterazione delle caratteristiche organolettiche dell’alimento. “Può cambiare il colore” commenta l’intervistato, “può non essere più fragrante o, nel caso del miele ad esempio, si può cristallizzare, e così via. Ma non si tratta di un pericolo e – se il prodotto non presenta alterazioni al gusto o all’olfatto – posso consumarlo tranquillamente.”
Da un lato, dunque, l’indicazione in etichetta evidenzia un rischio di sicurezza alimentare, dall’altro invece si tratta di un’informazione utile per valutare la qualità del prodotto. “La responsabilità di definire queste date, scegliendo sia la tipologia sia la durata, è del produttore che agisce in base alla sua conoscenza dell’alimento, alla letteratura scientifica
e agli studi che fa, ad esempio in laboratorio o predicendo la crescita batterica tramite modelli matematici. Il parere che abbiamo prodotto (pubblicato lo scorso 2 dicembre, ndr) può fornire un aiuto sia per determinare il tipo stipo di data sia per come stabilire la durata.”
Un tool per orientare i produttori: come funziona?
L’EFSA ha pubblicato, dunque, lo scorso 2 dicembre un parere scientifico dal titolo “Guidance on date marking and related food information (part 1)” che include anche uno strumento pratico che i produttori possono utilizzare nel momento in cui devono decidere la dicitura da apporre agli alimenti. “Questo parere” ci racconta il dottor Stella, “è stato richiesto dalla Commissione Europea, e sarà questa con gli Stati membri a valutare se sia utile una modifica della legislazione, se produrre nuove linee guida o, in generale, introdurre dei cambiamenti. L’EFSA lavora essenzialmente su richiesta del legislatore europeo o nazionale, per cui non facciamo un lavoro diretto a supporto dei produttori, ma, come in questo caso, ci arriviamo indirettamente e abbiamo alcuni network di relazioni e consultazioni con tutti gli attori della filiera proprio per far sì che il nostro lavoro di ricerca e analisi possa diventare uno strumento utile.”
Da questo punto di vista, il tool elaborato è un caso esemplare perché può essere già utilizzato dai produttori. Si tratta, infatti, di un diagramma basato su dieci domande che l’azienda può seguire utilizzando alcune informazioni già in suo possesso: la conoscenza del prodotto, la tipologia di processo di lavorazione, le condizioni di conservazione. “Rispondendo alle domande che abbiamo sviluppato, viene guidato a valutare se la dicitura più corretta è ‘da consumare entro il’ oppure ‘da consumarsi preferibilmente entro il’”.
Nel documento, inoltre, il team di EFSA ha inserito una descrizione di tutti i fattori che possono influire anche sulla durata della indicazione che il produttore sceglie di specificare in etichetta. “Pensiamo” aggiunge Stella, “ai fattori chimico-fisici alla temperatura di conservazione, all’umidità e così via. Noi possiamo dare delle indicazioni generali, ma è poi il produttore a compiere studi e valutazioni per dire al consumatore: vista la tipologia di prodotto, questa è la sua durata ed è il tipo di data da considerare.”
La data aiuta a consumare i cibi in sicurezza, di qualità e senza sprechi
Conoscere la differenza tra “data di scadenza” e “termine minimo di conservazione” non è utile solo a livello nozionistico, ma soprattutto per acquisire una maggiore consapevolezza di ciò che portiamo in tavola.
Il dottor Stella evidenzia come ciò sia importante per tre ordini di motivi:
- prevenire possibili tossinfezioni alimentari e garantire, quindi, al consumatore che ciò che mangia non faccia male e sia sicuro;
- avere informazioni preziose sulla qualità degli alimenti: nel momento dell’acquisto e fino alla data indicata come “da consumarsi preferibilmente entro” il prodotto deve mantenere determinate caratteristiche;
- contribuire alla riduzione degli sprechi alimentari, tema affrontato nella legislazione italiana anche nella Legge Gadda del 2016.
“L’esigenza di ridurre gli sprechi alimentari in casa è stata alla base della richiesta fatta dalla Commissione Europea a EFSA per la realizzazione di questo parere scientifico” aggiunge Stella, che precisa: “il fatto che ci siano queste date può aiutare a ridurre gli sprechi perché, ad esempio, talvolta un prodotto che ha superato il termine minimo di conservazione ma che non presenta alterazioni di odore o gusto viene buttato per paura che possa far male, mentre non è da considerarsi meno sicuro.” Conoscere, dunque, il reale significato delle diciture può aiutare i consumatori a essere più consapevoli imparando a riconoscere quando e a che condizioni il superamento della “data di scadenza” può rappresentare un rischio.
Pensando proprio al consumatore attento e informato, Stella aggiunge una nota. “È fondamentale tenere in considerazione e rispettare tutte le indicazioni che il produttore fornisce sulla confezione, come il fatto che un prodotto vada consumato previa cottura, la temperatura di conservazione e simili.”
Un altro aspetto – come cambia la data di scadenza dei cibi una volta aperti – è argomento di un nuovo parere scientifico a cui il gruppo di esperti dell’EFSA sta lavorando in questi mesi. “Si parlerà di come conservare gli alimenti dopo l’apertura delle confezioni” anticipa Stella, “e di buone pratiche a proposito dello scongelamento dei prodotti congelati.” Altri due argomenti che possono aiutare aziende e consumatori a trattare gli alimenti in maniera consapevole e sicura.
Voi conoscevate già la differenza tra le due diciture?