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Brindisi di Capodanno: ecco le migliori bottiglie per festeggiare (secondo noi)

Giovanni Angelucci

Premesso che ogni giorno sia perfetto per stappare una grande bottiglia, le festività di Natale lo sono certamente ancor di più, soprattutto per chi non aspetta altro che l’occasione giusta per un brindisi con le grandi etichette delle ricorrenze. Visto che siamo vicini al 25 dicembre e quindi tutti più buoni, vi diamo i nostri consigli migliori sulla scelta del brindisi per fare un figurone.

Le 3 imperdibili bottiglie per salutare il 2016

Poli grappa Pauillac

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Domanda: conoscete Jacopo Poli? Se la risposta è si allora la domanda successiva per voi non vale, ma se la risposta è no potete continuare il questionario.
Secondo interrogativo: chi poteva produrre la prima acquavite italiana di vinaccia del più rinomato Château Premier Grand Cru Francese? Jacopo Poli, appunto, ma si era già capito.
Tutto ebbe inizio nel 1995 a Pauillac, piccolo paese di Bordeaux, celebrato per regalare alcuni  dei migliori vini di Francia. È una bella storia che ho avuto l’onore di ascoltare proprio dal patron Poli, comodi nelle sue cantine. Più che bella è una storia di persistenza e di merito, un desiderio che prende forma, seppur liquida. “Da quel lontano ’95 mi sono recato ogni due anni al castello del Barone Eric de Rothschild per chiedere le preziose vinacce di uve Cabernet Sauvigon, Merlot e Petit Verdot”. Ben 12 anni ci vollero prima che Jacopo Poli riuscì a portare nella distilleria di famiglia, a Schiavon, una botte della vinaccia tanto ambita.

Finalmente il 24 ottobre 2007 avvenne la prima distillazione ma non era ancora tempo di abbracci, bisognerà aspettare otto lunghi anni (nulla in confronto al corteggiamento di Mr. Poli) durante i quali l’acquavite viene fatta affinare in 11 barrique prodotte dalla tonnellerie dello Château, cinque nuove e sei che hanno ospitato il prestigioso vino di Lafite. Il desiderio prende forma il 13 giugno 2016 quando viene imbottigliato il primo lotto di 5000 bottiglie Poli Pauillac, l’acquavite unica al mondo. Preparate il “tulipano” e riempitelo con ciò che l’antico alambicco a vapore ha distillato lentamente, dai sentori delicati e floreali fino a quelli più complessi e ricchi. Concentratevi su ciò che proviene dai vitigni, il frutto rosso è delineato così come il sentore floreale di rosa e mughetto che a tratti arriva a ricordare la frutta tropicale. Colpisce il dolce vanigliato tendente alla liquirizia e alla genziana, la speziatura dolce e le nuance di miele. Una grande bevuta, fatta di qualità e merito.

Italicus

italicus

Ancora prima del vermouth era il rosolio a presenziare tra gli aperitivi tanto da essere l’”aperitivo di corte” per il Re di Savoia. “Il Rosolio era scomparso e ho voluto riportarlo in auge proponendo un prodotto di livello senza precedenti”, parola di Giuseppe Gallo, bartender e fondatore della Italspirits. È lui che bisogna ringraziare se finalmente è di nuovo possibile stappare una bottiglia di vero rosolio, un rosolio di bergamotto, creato con la testa del bartender esperto ma pensato per tutti. Si va indietro nel tempo con il rosolis (letteralmente gocce di rugiada e non rosa come si potrebbe pensare) e si elogia la tradizione dell’aperitivo all’italiana e l’Italia tutta, dalle materie prime 100% made in Bel Paese (eccetto lo zucchero), alla faccia con cui si presenta al pubblico: le classiche colonne romane rinascimentali in rappresentanza di tutto il fascino che l’Italia custodisce, classe, eleganza, stile.

Dicevamo della composizione della ricetta: camomilla romana, lavanda, balsamo di melissa, rose gialle, genziana, bergamotto calabrese spinto dal cedro siciliano, tutto in idro macerazione, anche lo spirito base di grano è italiano. Come berlo? Ovviamente liscio per conoscere il suo gusto, la sua dolcezza e la persistenza delicata, annusatelo e lasciatevi teletrasportare in un giardino di margherite. Ma c’è da divertirsi se miscelato in maniera semplicissima: combinatelo con del prosecco (half and half), tanto ghiaccio e oliva! Oppure provatelo con la birra, si avete capito bene, unitelo ad una ipa e vi divertirete. Un omaggio all’Italia, una scommessa vinta, un ritorno a ciò che avevamo e abbiamo (nuovamente) di buono.

Pisco Tres Generaciones

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In quanti pensano che il pisco sia originario del Cile? Spero in pochi perché è sbagliato. È il Perù ad avere i natali del pisco (“uccello” in lingua Inca). Il “brandy sud americano”, così com’è chiamato nonostante non faccia nessun passaggio in botti di legno, è un distillato di mosto di vino prodotto nella regione di Ica, in Perù. Nel 1990 venne istituita la Doc a tutelarlo: solo otto sono le varietà ammesse per la produzione, le non aromatiche Quebrenta, Uvina, Negra Criolla, Mollar, e le aromatiche Uva Italia (ovvero il Moscato d’Alessandria), Albilla, Moscatel e Torontel. La tipologia invece deriva dalla scelta delle uve e dal grado di fermentazione: Puro (quando ottenuto da una sola varietà d’uva), Acholado (varietà differenti) e Mosto Verde (si distilla il mosto d’uva parzialmente fermentato, prima che tutti gli zuccheri siano trasformati in alcol, quindi si mantiene un grado zuccherino maggiore).

I produttori sono numerosi ma tenete presente questo nome da rintracciare nel quartiere Tres Esquinas di Ica: Juanita, meglio conosciuta come la Dama del Pisco, è l’emblema di Tres Generaciones, la storica azienda produttrice di pisco della famiglia Martinez Gonzales dal 1856, oggi gestita dalla figlia Consuelo. Avere l’onore di assaggiare le loro etichette tra gli alambicchi e i filari di vite non ha prezzo, ma una più che valida alternativa è rappresentata dall’uso che potete fare del vostro pisco: il Pisco Sour è l’emblema del Perù e ormai anche in Europa è apprezzatissimo, basta (si fa per dire visto che ognuno vanta il migliore del paese) aggiungere all’acquavite succo di lime, zucchero liquido, bianco d’uovo, cubetti di ghiaccio, gocce di angostura. Più semplici per i vostri brindisi a base di pisco sono gli altri classici: il Chilcano con distillato, limone e gin o il Pisco Tonic a base di pisco, limone e acqua tonica.

Questi i nostri consigli per un brindisi certamente non convenzionale e speciale, se invece vorrete rimanere legati alla tradizione allora continuate con l’immortale vino.

Giornalista e gastronomo, collabora con numerose riviste e quotidiani che si occupano di cibo e viaggi tra le quali spiccano La Stampa, Dove e la Gazzetta dello Sport. I suoi piatti preferiti sono gli arrosticini (ma che siano di vera pecora abruzzese) e gli agnolotti del plin con sugo di carne arrosto. Dice che in tavola non può mai mancare il vino (preferibilmente Trebbiano Valentini o Barbaresco Sottimano).

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