val curone

Val Curone: quando il cibo racconta un territorio

Giulia Ubaldi

Mentre i più si affollano tra Langhe e Monferrato, nella stessa regione c’è una valle che non è quasi mai meta. È la val Curone, rimasta incastrata un po’ nel tempo, un po’ tra le valli confinanti, la Staffora, la Borbera e la Grue. La sua provincia è Alessandria, ma non solo. Infatti, fa parte del territorio delle Quattro Province, ovvero di quella porzione di Appennino tra la provincia di Alessandria, Genova, Pavia e Piacenza. È la valle di Fausto Coppi, che proprio tra queste curve muoveva i primi colpi di pedali, e di Giuseppe Pellizza da Volpedo, il grande pittore de Il Quarto Stato, meravigliosa allegoria del lavoro subordinato. Ma è anche la valle dove quasi per miracolo si producono ancora prodotti antichissimi, che stavano per scomparire ma che grazie ad alcune personalità coraggiose sono riusciti a sopravvivere. E oggi è proprio di queste eccellenze alimentari che voglio parlarvi. Oppure E oggi vogliamo parlarvi proprio di queste eccellenze alimentari.

Val Curone: un territorio tutto da scoprire attraverso i suoi prodotti

val curone

Nei territori di confine come questo le culture alimentari si fanno più ricche e interessanti, poiché più vivaci e frequenti sono stati scambi e incontri. Ancor più in val Curone che, un po’ per vocazione e un po’ per abbandono generale del territorio, è rimasta tra quelle più integre e incontaminate che ci sia, così come i suoi prodotti, o meglio, quelli che sono riusciti a sopravvivere. Oltre a castagne e miele (eccezionale quello dell’Azienda Agricola Barbieri di Brignano Frascata), le vera unicità di questa zona vergine, sono:

  • un formaggio a forma di torta nuziale
  • un salame nobile
  • dei frutti rari
  • un vino che stava davvero per scomparire.

Senza dimenticare, ovviamente, che siamo in Piemonte, quindi tartufo, tartufo, tartufo. E ora, che abbia inizio il nostro viaggio.

Il Montébore

In val Curone e nella vicina val Borbera, esiste un formaggio unico al mondo: dolce, morbido, pastoso, delicato e complesso, ma soprattutto a forma di torta nunziale, tanto che pare venisse originariamente servito solo in occasione dei matrimoni più importanti.

La forma ricorda anche il castello diroccato di Montébore, frazione di Dernice, così come altre torri di questo territorio, oggetto in passato di aspre contese. La sua storia è comunque antichissima, risale ai tempi dei monaci dell’abbazia benedettina di Santa Maria di Vendersi, sul Giarolo, nei secoli a cavallo del primo millennio. La sua produzione si è arrestata dopo la seconda guerra mondiale, quando le valli si spopolarono (fenomeno ancora in corso) e le tradizioni contadine rischiarono l’abbandono.

Montébore

La svolta avviene nel 1999, quando Maurizio Fava rintraccia Carolina Bracco, l’ultima appendice di questa tecnica casearia e recupera il Montébore, oggi Presìdio Slow Food, tenuto in vita da Roberto Grattone e Agata Marchesotti della Cooperativa Vallenostra di Mongiardino Ligure, che hanno imparato la lavorazione proprio dalla signora Carolina. Infatti, il Montébore, viene ancora prodotto con la stessa tecnica tradizionale di novecento anni fa: 75% di latte bovino, 30% di latte ovino, latte crudo e caglio naturale. Dopo la seconda rottura della cagliata, la pasta viene messa a scolare nei “ferslin“, le tipiche formelle a forma di cilindro di diametro decrescente che gli danno quella forma caratteristica che lo distingue da tutti gli altri.

In cucina, potete consumarlo sia fresco dopo 20 giorni, con mieli e confetture locali, come la cugnà, sia stagionato, quando la consistenza maggiore lo rende ideale nei primi piatti, sia grattugiato dopo una stagionatura di oltre sei mesi. Se volete sostenere la sua produzione, la Cooperativa Vallenostra con 100 euro vi da la possibilità di adottare una pecora del loro gregge: in cambio i loro prodotti, tra cui i vari formaggi, e la possibilità di partecipare alle giornate di condivisione tra famiglie adottive, compreso il giorno di festa del Montébore.  

Il Salame Nobile del Giarolo

Sempre qui, sotto al Monte Giarolo, ecco un salame prodotto artigianalmente solo con le parti più nobili del maiale. Le magre si ricavano da prosciutto, coppa, culatello, spalla, lonza e filetto, mentre quelle grasse da pancetta, gola e prosciutto. Viene insaporito con aglio, vino rosso, sale e pepe, e fatto stagionare in cantine naturali. Per farsi un’idea della sua nobiltà, dicono di immaginarci per un attimo i sapori di Culatello, Prosciutto crudo, Coppa e Pancetta, tutti insieme! Da non crederci vero?

Per far sì che questo sogno diventi realtà, potete andare a visitare direttamente i suoi produttori in val Curone (poco più di una decina); in alternativa altrettanto onirica sarà l’esperienza al ristorante Da Giuseppe, sul crinale con la val Grue, a Montemarzino, riferimento di qualità assoluta e indiscutibile della zona, che dal 1963 produce la maggior parte dei prodotti poi serviti in tavola. Salame Nobile del Giarolo incluso.

La frutta di Volpedo e Garbagna

In un’area così, non potevano che crescere anche frutti genuini, proprio come la Bella di Garbagna. Ancora fino agli anni Ottanta il piccolo borgo di Garbagna, più verso la val Grue, era famoso per le sue ciliegie, di colore rosso brillante e molto croccanti, per questo ottime per la conservazione nell’alcol sotto spirito. Nel mese di maggio si organizzavano passeggiate sotto gli alberi in fiore, mentre a giugno le famiglie si dedicavano alla raccolta, sempre tutta a mano: sugli alberi salivano i più giovani mentre i più anziani restavano a terra per tenere le scale e selezionare poi le ciliegie migliori. Chi aveva tanti alberi faceva venire i raccoglitori anche da fuori, dando quindi lavoro, anche se spesso preferivano metà del raccolto. Se nel 1981 la produzione fu di 5 mila quintali, attualmente non supera i 40 quintali attuali, ma solo nella migliore delle ipotesi: la Bella, infatti, è stata abbandonata perché meno resistente di altre varietà, mentre il mondo della  pasticceria ricerca ciliegie integre, perfette e senza difetti…insomma, in antitesi con la natura. Lo stesso destino è toccato anche ad altri frutti dimenticati della zona, come le pesche o le fragole di Volpedo, il paese di Giuseppe Pellizza, dove la produzione è sempre più limitata.

ciliegie smartfood

Il Tartufo delle Terre del Giarolo

A fare ancora la fortuna in queste zone è invece il tartufo, grazie a tutti quei raccoglitori che anche nelle annate più difficili, come questa, non hanno mai tradito il prodotto del loro territorio con quello estero. È il caso di Silvano Recco Tartufi o di Enzo Toso, tra i protagonisti della festa più importante di tutta la val Curone: la Mostra Mercato del Tartufo di San Sebastiano Curone, che si svolge la terza domenica di novembre, quest’anno il 19. Dal 2008, grazie ai risultati raggiunti, la Mostra Mercato di San Sebastiano è riconosciuta come fiera nazionale, tanto da attirare anche numerosi vip del settore. Da provare è il ristorante Belvedere di Gremiasco, tra le cucine più fedeli e autentiche della zona: non comprano mai nulla di ciò che cucinano, ma producono o raccolgono tutto loro, tartufi compresi.  

Il Timorasso

Infine, l’appartenenza alla regione Piemonte si fa evidente nella comune vocazione vitivinicola; solo che questa zona si distingue per un bianco, non tra i più noti, ma di certo tra quelli che nell’ultimo periodo hanno vissuto un cammino tutto in ascesa. È il Timorasso, vitigno autoctono del tortonese, che si era praticamente estinto a causa della preferenza per vitigni meno impegnativi (ma anche per l’abbandono generale). Poi, a partire dagli anni Settanta, grazie all’iniziativa di un vignaiolo coraggioso e indipendente di Monleale, Walter Massa con il suo entourage, è iniziato un movimento di recupero e sperimentazione, che ha portato non solo alla realizzazione di vini bianchi unici per corpo e longevità, come il suo Derthona, ma anche ad una rivalutazione generale del tortonese, bisognoso prima di tutto di fiducia nelle sue immense potenzialità.

A dieci anni dalla stesura del disciplinare di produzione, il Timorasso è già noto e apprezzato in Italia così come all’estero, tra i bianchi più strutturati e minerali che ci sia. Inoltre, la sua alcolicità ben marcata, insieme ad un buon livello di acidità, rendono questo vino ideale per l’invecchiamento: il disciplinare, infatti, prevede che questo vino sia venduto almeno dopo due anni, anche se i più esperti consigliano di aspettarne almeno cinque.

Oltre al padre a cui deve la vita, ci sono altri produttori più piccoli che hanno, per fortuna, seguito il suo esempio: La Colombera, Mariotti, I Carpini, Poggio, Cascina Bandiera. Non da meno, anche se c’è ancora molto da lavorare, è il rosso DOC Colli Tortonesi Barbera.
Dunque, spero di avervi convinto: non vi resta che arricchire il vostro viaggio nelle Langhe con una visita alla val Curone, anche perché solo per un piatto di agnolotti piemontesi (come li fanno alla trattoria Belvedere di Gremiasco) ne vale davvero la pena. E vedrete, non ne rimarrete affatto delusi!

Antropologa del cibo, è nata a Milano, dove vive e scrive per varie testate, tra cui La Cucina Italiana, Scatti di Gusto, Vanity Fair e le Guide Espresso. Il suo piatto preferito sono gli spaghetti alle vongole, perché per lei sono diventati un'idea platonica: "qualsiasi loro manifestazione nella realtà sarà sempre una pallida copia di quella nell'iperuranio". Nella sua cucina non mancano mai pistilli di zafferano, che prima coltivava!"

Lascia un commento