Sostituire plastica

Basta sostituire la plastica per essere ecologici? Ricerche e riflessioni sul ciclo dei rifiuti

Matteo Garuti
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    Da alcuni anni è stata avviata una progressiva riduzione nella produzione e nell’utilizzo dei materiali plastici, a partire dal bando dei sacchetti per la spesa. Questa tendenza, come sappiamo, rappresenta innanzitutto una risposta in senso ecologico, alla luce dell’inquinamento dovuto alla sua dispersione. Ma sostituire la plastica è sempre la scelta migliore? Usare le bioplastiche e gli altri materiali alternativi per gli imballaggi è di per sé una soluzione ottimale? Dopo aver analizzato caratteristiche e utilizzi della plastica per alimenti, questa volta ci occuperemo del ciclo dei rifiuti, considerando le ricerche scientifiche sul tema e i comportamenti corretti per limitare al minimo i danni all’ambiente.

    Sostituire la plastica: alla base del problema

    Posate di plastica

    Kanittha Boon/shutterstock.com

    Un tempo esaltata dall’industria e dalla pubblicità per le sue caratteristiche tecniche, oggi la plastica ha perso il suo fascino, fino a diventare uno dei bersagli principali delle battaglie ambientaliste, per i danni che sta causando alla natura, ma non solo. Infatti, gli effetti collaterali si ripercuotono anche sulla salute umana, come abbiamo visto nei nostri articoli sull’inquinamento da microplastiche. Partendo da queste evidenze, ormai da anni i materiali plastici sono criticati e in via di dismissione o sostituzione, specialmente quando si tratta di prodotti monouso, una linea avviata dai decisori politici e seguita dalle aziende, non di rado anche anticipando le imposizioni. Oltre alle campagne di educazione e comunicazione, oggi nel mondo sono diversi gli Stati che hanno introdotto una plastic tax – elenco al quale da quest’anno si è aggiunta anche l’Italia – e i sacchetti biodegradabili a pagamento nei supermercati, per penalizzare l’uso spesso eccessivo che si fa degli oggetti monouso.

    In base ai dati dati Ue, ogni anno in Europa si producono quasi 26 milioni di tonnellate di rifiuti di plastica, delle quali meno del 30% viene riciclato, mentre quelli conferiti in discarica e inceneriti sono rispettivamente il 31% e il 39% del totale. Ipoteticamente, se a essere riciclato fosse il 100%, ogni anno si risparmierebbero tre miliardi e mezzo di barili di petrolio. Inoltre, proprio l’Unione europea nel 2018 ha vietato le plastiche monouso, dopo aver proibito la cessione gratuita delle buste di plastica, anche se per queste ultime i singoli Stati possono perseguire la loro riduzione come ritengono, con restrizioni alla vendita o l’introduzione di un’imposta.

    Tuttavia, concentrarsi solo su alcuni materiali senza correggere le abitudini e ridurre gli imballaggi serve a poco, e può deviare l’attenzione rispetto ai problemi principali da affrontare. Le plastiche e la ricerca che le ha prodotte sono risorse da non disprezzare a priori, mentre sarebbe opportuno concentrarsi sull’uso e sulla gestione dei materiali.

    Sostituire la plastica con materiali alternativi: cosa dicono le ricerche?

    Piatti e bicchieri compostabili

    shutterstock.com

    Al netto delle credenze e dell’idea di sostituire la plastica, è necessario considerare razionalmente questi prodotti. In tal senso, possono far riflettere le conclusioni di una ricerca dell’Ente danese per la protezione ambientale, che ha confrontato l’impatto ecologico delle buste realizzate in diversi materiali, valutando tossicità, impiego di risorse e possibilità di fine ciclo: incenerimento, riciclo e riuso come sacchetto per la spazzatura prima del definitivo smaltimento. Rispetto a quelle in polipropilene, pet, carta, cotone, biopolimeri derivati dall’amido e materiale composito (juta, polipropilene e cotone), le sporte più sostenibili sarebbero proprio quelle fatte con il “vecchio” LDPE (polietilene a bassa densità) con maniglia rigida, seguite da quelle di carta e bioplastica.

    Pur essendo biodegradabile e comunemente ritenuta più ecologica, la carta, ad esempio, presenta determinate criticità. Infatti, una ricerca dell’Ente britannico per l’ambiente mostra che l’impatto ecologico maggiore di una busta dipende dalle risorse utilizzate per crearla. Quelle di carta, su questo aspetto, richiederebbero fino a 70 volte in più di energia e 17 volte in più di acqua rispetto a quelle di plastica, e anche riciclarle sarebbe più dispendioso.

    Ottimizzare l’uso degli oggetti

    A prescindere dal materiale, comunque, lo studio danese puntualizza che un sacchetto andrebbe riutilizzato il più possibile per la spesa, e in seguito impiegato per contenere l’immondizia per poi essere smaltito. Il riuso come sacco della spazzatura, però, è effettivamente praticabile solo per le buste in LDPE, avendo le stesse caratteristiche di quelle che rimpiazzano. Questa “seconda vita”, infatti, evita l’acquisto e la produzione di altri sacchi di plastica più spessi, come sono in genere quelli commercializzati per tale scopo.

    Come evidenzia un altro studio del 2016 – commissionato dalla American Chemistry Council – anche in altri settori sostituire la plastica non è affatto semplice. Nel packaging e nell’edilizia, che rappresentano rispettivamente il 42% e il 19% della destinazione d’uso di questi materiali, la plastica ridurrebbe i costi ambientali di quattro volte rispetto alle alternative. Va sottolineato, infatti, che queste ultime hanno una massa superiore, pertanto la sostituzione costituisce sempre un uso maggiore di risorse. Criminalizzare la plastica di per sé, quindi, non è corretto, e ad ogni modo le soluzioni messe a disposizione dalla tecnologia non devono essere considerate un’alternativa a uno stile di vita e di consumo più attento e consapevole.

    Nuove bioplastiche e soluzioni eco per gli imballaggi

    Economica, leggera, resistente e durevole: il valore tecnico della plastica resta indubbio, e come abbiamo visto la sua sostituzione è complessa, anche alla luce delle più moderne tecnologie. La questione del suo smaltimento, però, rappresenta un problema sempre più sentito e studiato, e sono molteplici le alternative sperimentate o già adottate. Le bioplastiche sin qui conosciute, tuttavia, non sono da considerare a tutti gli effetti ecologiche come si può pensare, e gli avvertimenti dell’Agenzia Onu per l’Ambiente e dell’Unione europea lo confermano.

    Un report del 2018 della Commissione, infatti, ha attestato la mancanza di una prova documentata della completa degradazione e della totale innocuità degli additivi utilizzati, pertanto questi materiali sono stati inclusi nel divieto sugli usa e getta. Inoltre, le plastiche ritenute compostabili per l’uso domestico non sempre si rivelano tali, favorendo errori inconsapevoli da parte dei cittadini nel gestire i rifiuti. In altre parole, è sbagliato parlare di plastiche ecologiche se la biodegradabilità non è completa, perché ciò può portare a stare meno attenti all’uso di questi prodotti, per cui invece bisogna accertarsi della presenza di diciture del tipo “materiale compostabile” o simili.

    Materiali bioplastici: da dove derivano e come si degradano?

    Piatti bioplastica

    MikeDotta/shutterstock.com

    Le materie plastiche definite bio-based derivano interamente o in gran parte da risorse naturali rinnovabili, in genere amido, cellulosa e acido lattico, aspetto che determina il pro e il contro alla base di queste tecnologie. Le fonti naturali impiegate, infatti, potrebbero essere destinate a scopi di sostentamento ben più importanti per la vita umana, a partire dalla produzione alimentare. In questo senso, le riflessioni sono analoghe a quelle che spesso si fanno sui biocarburanti.

    La plastica biodegradabile può essere decomposta grazie all’azione dei batteri, ma il tasso di degradazione può cambiare nettamente a seconda delle condizioni di smaltimento e della formulazione del materiale. Di conseguenza, nell’ambiente il processo potrebbe richiedere molto più tempo del previsto e la diffusione di questi materiali sarebbe migliorativa solo dove raccolta e gestione siano organizzate e gestite correttamente. In acqua, ad esempio, la biodegradazione si attua con temperature di almeno 50 gradi centigradi, quindi molto superiori rispetto a quelle dei mari e dei fiumi.

    Plastica: sì o no? Comportamenti e gestione fanno la differenza

    Riciclo plastica

    ITTIGallery/shutterstock.com

    Anche al netto delle criticità riportate, le potenzialità tecniche delle plastiche bio-based e biodegradabili comunque non mancano, ed è certamente auspicabile un’evoluzione nelle sperimentazioni su questi materiali. Concentrandosi sull’intero sistema produttivo, però, l’unica soluzione sensata, oltreché ecocompatibile, è la transizione verso un’economia circolare. Infatti, nemmeno l’idea di sfruttare al massimo gli oggetti per aumentarne la vita è sufficiente in un’ottica di lungo periodo: il concetto stesso di “rifiuto” andrebbe superato.

    Come abbiamo visto nella nostra intervista al professor Andrea Segrè, il passaggio a questo modello economico dovrebbe essere guidato e incentivato da una politica lungimirante, essendo portatore di grandi vantaggi ambientali e sociali. A prescindere dai materiali, è importante contrastare fortemente l’usa e getta, la forma di utilizzo più dannosa, irrazionale e antieconomica.

    Innanzitutto, però, bisogna fronteggiare il primo tra i problemi ambientali dovuti alla plastica, ovvero la sua cattiva gestione, in particolare quando i materiali vengono conferiti in discarica oppure ancor peggio dispersi all’aria aperta. Ciò si verifica soprattutto nei Paesi in via di sviluppo, privi di un sistema efficiente di raccolta, riciclo e smaltimento, dove alte percentuali di rifiuti non biodegradabili finiscono nell’ambiente, e in alcune aree del mondo in forte crescita economica – Africa occidentale, Sud-Est asiatico e non solo – la situazione in pochi anni potrebbe aggravarsi notevolmente. La dispersione, peraltro, è la principale causa dell’inquinamento dei mari dovuto alle plastiche.

    Governi, cittadini e imprese devono fare la loro parte

    L’indirizzo impostato da governi ed enti internazionali, comunque, non può prescindere dalla responsabilizzazione delle imprese e dei cittadini, parti in causa che devono collaborare e procedere nella stessa direzione. Raccolta, riciclo e cambiamento delle abitudini sono gli strumenti che sanciscono questa azione congiunta. Nel settore del packaging, ad esempio, i produttori potrebbero standardizzare i formati per renderli più facili da trattare in fase di riciclo. Inoltre, i decisori politici, anziché concentrarsi solo su alcuni materiali, potrebbero considerare l’introduzione di una tassa su tutti i sacchetti e sugli imballaggi monouso, ritenuta efficace per penalizzare l’usa e getta e incoraggerebbe il riutilizzo, come sottolinea una pubblicazione curata da esperti dell’Università di Berkeley. Infine, la sensibilizzazione dei cittadini sulla gestione domestica dei rifiuti – soprattutto quelli potenzialmente più nocivi, come la plastica – sarebbe il necessario collante per una cultura diffusa, nel segno della sostenibilità.

     

    Cosa ne pensate dell’idea di sostituire la plastica? Nella vita quotidiana come vi comportate?

     

    Fonti:

    Commissione europea
    The Vision
    The Danish Environmental Protection Agency
    UK Environment Agency
    American Chemistry Council

    Matteo è nato a Bologna e vive a San Giorgio di Piano (Bo), è giornalista, sommelier e assaggiatore di olio d'oliva, ha collaborato con il Dipartimento di Scienze e Tecnologie agro-alimentari dell'Università di Bologna. Per Il Giornale del Cibo si occupa di attualità, salute, cultura e politica alimentare. Apprezza i cibi e le bevande dai gusti autentici, decisi e di carattere. A tavola ama la tradizione ma gli piace anche sperimentare: per lui in cucina non può mancare la creatività, "perché è impossibile farne a meno!"

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