Riapertura dei ristoranti

Riapertura dei ristoranti: come pesa la crisi sul territorio e quali soluzioni per ripartire? Intervista al vicedirettore di FIPE

Matteo Garuti
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    Dopo quasi tre mesi di chiusura forzata a causa dell’emergenza Coronavirus, la riapertura dei ristoranti presenta difficoltà notevoli per gli operatori del settore. Partendo da una situazione di grande crisi, dalla quale tutti vorrebbero uscire rapidamente, sono molte le questioni da affrontare, in tema di sicurezza, gestione del lavoro e sostegno da parte del Governo. Dopo aver approfondito i dubbi e le priorità della Rete della ristorazione italiana, per saperne di più abbiamo coinvolto Luciano Sbraga, vicedirettore della Federazione italiana dei pubblici esercizi (Fipe).

    Riapertura dei ristoranti: da quale situazione si parte?

    Chef con mascherina in cucina

    Syda Productions/shutterstock.com

    Sulle condizioni di riapertura, per i ristoranti pesa il lungo periodo di chiusura imposto dalla pandemia, con la crisi economica a essa associata, che come abbiamo visto coinvolge anche la produzione agroalimentare. A questo proposito, Luciano Sbraga precisa che “dal punto di vista della domanda, in base alle nostre previsioni e se fino alla fine del 2020 la situazione si mantenesse simile a quella attuale, pensiamo di avere una contrazione dei consumi pari a un valore di 28-29 miliardi di euro. Per il settore della ristorazione, il lockdown è partito anche prima dell’11 marzo. Bisogna tenere conto di una ripresa che sarà molto lenta e basata sul distanziamento, con una riduzione dei posti disponibili, che nella migliore delle ipotesi sarà del 40% e nella peggiore arriverà al 65%. Indicativamente, ciò significa che su 100 posti disponibili si arriverà a mantenerne fra i 35 e i 50”.

    Inoltre, a fare la differenza sarà il comportamento dei consumatori, perché “non sappiamo se torneranno tranquillamente al ristorante e al bar come prima. Nel secondo semestre dell’anno, si verificherà sicuramente un effetto ‘rimbalzo, ovvero un ritorno del pubblico nei locali, ma sarà contenuto, anche a causa della diminuzione del reddito disponibile delle famiglie e dell’aumento della disoccupazione. Soltanto la chiusura prolungata è costata almeno 20 miliardi di euro, se poi aggiungiamo una ripresa a rilento nel secondo semestre, non è difficile arrivare alle conclusioni delle nostre previsioni. Ad ogni modo, la partita è aperta”.

    Chiusura: a rischio attività e posti di lavoro

    Questa flessione della domanda, secondo Sbraga, per le imprese comporta un rischio di chiusura “ragionevolmente calcolabile in 50mila unità, in percentuale pari a circa il 18%”. Secondo una recente indagine dell’Ufficio Studi di Fipe, gli imprenditori della ristorazione stimano un crollo del 55% dei loro fatturati a fine anno, che si tradurrà in un minor impiego di personale del 40%, con 377mila posti di lavoro a rischio. “Di fronte a questa caduta della domanda, le più penalizzate saranno le attività avviate da poco, specialmente dallo scorso anno” aggiunge l’intervistato.

    Lockdown e riapertura: come pesa la crisi sul territorio?

    Cameriera con mascherina

    David Tadevosian/shutterstock.com

    L’epidemia da Coronavirus ha colpito l’Italia in modo molto differenziato, concentrandosi in particolare su alcuni territori, e alla luce di questo si potrebbero prevedere conseguenze diverse lungo la Penisola. Per il vicedirettore di Fipe, “la situazione è sicuramente più complicata nel Settentrione, anche perché in questa parte d’Italia normalmente si realizza la maggior parte della domanda. Il mercato del pasto fuori casa è concentrato soprattutto al Nord, aspetto che – in termini numerici complessivi – rende più ingenti le perdite in queste regioni, ma le percentuali sottratte ai ricavi sono analoghe più o meno ovunque. Anche se il virus ha colpito diversamente il Paese, infatti, il lockdown è stato vissuto da tutti allo stesso modo”.

    A minacciare il Sud, inoltre, sono le incognite sul turismo, che in estate potrebbe rappresentare una ciambella di salvataggio. “Se però i turisti internazionali non arrivano e quelli locali scarseggiano, il Mezzogiorno uscirà gravemente penalizzato, pur avendo una situazione sanitaria migliore rispetto al Nord. Il turismo nazionale, molto importante per il Sud, di fatto mancherà ancora, almeno per il prossimo mese, bisognerà confidare in una ripresa discreta fra luglio e agosto”.

    Riapertura di ristoranti e bar: la capacità di reazione è diversa?

    Nel mondo della ristorazione il panorama è molto variegato, e in questo senso le possibilità di riprendersi dopo la lunga chiusura possono essere analogamente distinguibili. “I ristoranti sono in difficoltà, e nei bar si fa sentire la contrazione della domanda sull’offerta legata al pranzo. Sappiamo che molte persone nei prossimi mesi continueranno a lavorare da casa, quindi chi puntava sulla gastronomia di mezzogiorno subirà perdite notevoli”, afferma Luciano Sbraga. “La dimensione della domanda della ristorazione è nettamente superiore rispetto a quella del bar, ma in termini relativi, ad ogni modo, la situazione peserà su tutti”.

    Riapertura dei ristoranti e distanziamento: quali sono le misure da adottare?

    Uno delle questioni più dibattute in merito alla riapertura dei ristoranti è stata la gestione del distanziamento, in particolare nei locali chiusi e dove le metrature calpestabili sono ridotte. Nelle ultime settimane le ipotesi sono state diverse, e dal punto di vista dei locali fortunatamente hanno prevalso le scelte anticipate dalle ordinanze delle Regioni Emilia-Romagna e Veneto, che “andavano nella direzione del protocollo di sicurezza elaborato e messo a disposizione da Fipe. Si tratta di una disposizione sostenibile, pur essendo complicata da rispettare nei locali chiusi”. 

    Misure di sicurezza riapertura ristoranti

    Atlas Studio/shutterstock.com

    Secondo il Dpcm del 17 maggio, in sintesi:

    • Tavoli e sedie dovranno essere disposti assicurando il distanziamento di un metro tra i clienti (misura valida anche per le consumazioni al banco dei bar e all’esterno), ad eccezione delle persone che condividono il domicilio. La distanza può essere ridotta se tra un tavolo e l’altro sono installate delle barriere fisiche.
    • Non si potranno servire buffet e niente posate condivise, che favoriscono gli assembramenti e il contagio. Per lo stesso motivo, si ricorrerà a bustine monodose di sale, olio e salse.
    • Alla fine di ogni pasto, tavoli e sedie dovranno essere igienizzati, e la gestione di stoviglie e posate usate richiederà grande attenzione.
    • I menù cartacei saranno sostituiti da fogli plastificati facilmente disinfettabili, liste stampate su fogli a perdere, oppure da menù digitali consultabili direttamente dallo smartphone dei clienti.
    • In linea generale, i ristoranti dovrebbero preferire la prenotazione, per evitare code e assembramenti all’ingresso, conservando per 14 giorni i nominativi di chi ha prenotato, per favorire il tracciamento dei contatti in caso di necessità sanitaria.
    • I ristoratori dovranno anche mettere a disposizione soluzioni igienizzanti per le mani all’ingresso e in altri punti del locale, mentre all’entrata dovranno essere fornite tutte le informazioni sulle misure di prevenzione e potrà anche essere rilevata la temperatura degli avventori (un obbligo in Lombardia).
    • I clienti dovranno indossare sempre la mascherina quando non staranno mangiando o bevendo. Questo dispositivo è necessario anche per il personale, che dovrà lavare o igienizzare spesso le mani.
    • Le casse potranno dotarsi di barriere trasparenti, e in alternativa il personale dovrà indossare la mascherina e avere a disposizione i disinfettanti.
    • Per i pagamenti, dovranno essere favoriti gli strumenti elettronici, possibilmente contactless e al tavolo.

    Le indicazioni del comitato tecnico-scientifico Inail, che proponeva 4 metri quadrati per persona e 2 metri di distanza tra i tavoli, sono state accantonate. Secondo Fipe, sarebbero state “assolutamente insostenibili e inaccettabili: avrebbero comportato una riduzione della capacità di ospitare le persone fino al 65-70%. Pertanto, non si sarebbe più potuto parlare di far combaciare sicurezza e lavoro”.

    L’utilizzo degli spazi esterni rappresenta un altro appiglio per sostenere l’offerta al pubblico e gli incassi. “La riapertura dei ristoranti non sarà facile, ma in tanti contano molto sulla dislocazione all’esterno. Riguardo alle concessioni dei dehor, i Comuni si stanno già cimentando, ma bisogna capire se arriveranno in tempo, perché le pastoie burocratiche rappresentano un freno tale che si potrebbe arrivare al dunque a stagione superata”, puntualizza Sbraga.

    Barriere in plexiglass: sì o no?

    Barriere in plexiglass

    voy ager/shutterstock.com

    L’utilizzo di schermi trasparenti da installare sui tavoli, per isolare i clienti, ha animato il dibattito, per lo più sollevando l’opposizione degli esercenti. “La nostra associazione ha agito per fare in modo che non ci fossero vincoli. Se poi un imprenditore, per gestire il distanziamento nella sua attività, ritiene utile ed efficace l’uso delle barriere, può installarle nella sua piena discrezione. Tuttavia, siamo contrari a un provvedimento che le imponga, questo al momento non c’è e non credo che sarà introdotto in seguito”. Nell’indagine Fipe, il 56% degli intervistati esclude totalmente l’utilizzo, il 37% ne ipotizza un impiego alla cassa e poco meno del 5% prevede di installarle tra i tavoli.

    Food delivery e asporto continueranno?

    Nella fase che ha preceduto la fine del lockdown, il food delivery basato sulle app e l’asporto gestito dagli stessi ristoratori hanno permesso a tante attività di sopravvivere. Secondo Sbraga, “sono due modalità per gestire questa transizione, che probabilmente continueranno ad avere un ruolo significativo anche nei prossimi mesi e superata l’emergenza. Tuttavia, non possono rappresentare una soluzione definitiva, soprattutto per i ristoranti, perché il consumo sul posto resta il core business per la maggior parte delle attività. Ora bisogna cambiare passo e trovare forme diverse, perché quelle praticate finora, che prevedono una commissione del 30-35% su un’attività di ristorazione tradizionale non sono sostenibili, oltre a essere ingiustificate dal punto di vista economico”.

    Per il vicedirettore di Fipe, infatti, “non è giusto pagare le stesse percentuali su scontrini con cifre molto diverse, perché l’identico servizio può venire a costare anche il quadruplo. Le commissioni delle app, infatti, penalizzano la ristorazione di livello superiore, con scontrino medio dai 25-30 euro in su. Bisogna avere un altro approccio, quello delle piattaforme che oggi dominano il mercato non funziona.”

    Non a caso, aggiunge l’intervistato, “molti ristoratori hanno cercato di gestire in proprio le consegne, continuando a impiegare il personale a disposizione, magari evitando il ricorso alla cassa integrazione. Peraltro, abbiamo notato che i clienti preferivano essere serviti direttamente da chi già conoscevano, e questo ha aiutato le imprese a gestire il servizio. Quelle di questi mesi, naturalmente, sono state consegne di prossimità, anche a distanza di poche centinaia di metri, attraverso città senza traffico. Tutto questo ha facilitato gli spostamenti e ridotto i tempi per avere il piatto in tavola”.

    Riapertura dei ristoranti: le richieste di Fipe e il Decreto Rilancio

    Riapertura dei ristoranti all'esterno

    Michele Ursi/shutterstock.com

    Un altro tema delicato è quello delle misure di sostegno alle attività in crisi, rispetto al quale “le richieste di Fipe sono state chiare fin da subito: accesso alla liquidità e ristoro a fondo perduto per ciò che le aziende hanno perso e per coprire i costi fissi, occupazione di suolo pubblico, per sfruttare gli spazi esterni, e cancellazione di alcuni tributi come la Tari, perché non si può pagare un servizio di cui non si è potuto fruire, come la raccolta dei rifiuti. Queste richieste sono state parzialmente accolte, attraverso il Decreto Rilancio, intervenuto sul ristoro per le imprese con un ammontare dell’indennizzo calcolato applicando una percentuale alla differenza di fatturato registrata: 20% per chi nel 2019 ha registrato ricavi sotto i 400mila euro, 15% sopra i 400mila euro e fino a un milione, 10% oltre un milione e fino a 5 milioni”.

    Le spese per usufruire dei locali sono una voce di bilancio gravosa per gli esercizi pubblici. “Fortunatamente”, aggiunge Sbraga, “anche la questione delle locazioni ha trovato sponda, con il credito d’imposta che può essere trasferito a favore del proprietario dell’immobile, che lo detrae dal costo dell’affitto. Sul tema dei tributi locali, il canone per l’occupazione di spazi e aree pubbliche (Cosap) è stato cancellato fino a ottobre. Naturalmente, resta aperto il dibattito sulle necessità del prossimo periodo, perché il Decreto agisce su aprile, ma sappiamo che avremo 7-8 mesi di transizione e rallentamento molto difficili”.

    La necessità di riavviare il rapporto di fiducia coi clienti

    Come testimonia Sbraga, gli associati di Fipe sono ansiosi di ricominciare, aspetto confermato anche dall’indagine, secondo la quale circa il 70% circa dei pubblici esercizi è pronto. “Per la ripartenza, va riavviato un rapporto di fiducia con i clienti, che desiderano tornare nei locali conosciuti. Le persone hanno i propri luoghi di riferimento e di affezione, e questo legame fiduciario e diretto tra clienti e gestori – quasi sempre si tratta di piccole imprese familiari – farà la differenza nei prossimi mesi. I titolari stanno lavorando con serietà, anzi, spesso per reagire e dare l’idea della sicurezza stanno facendo anche di più di quanto richiesto, nell’applicazione di norme non scritte, ma fondate sul buon senso”.

    In merito ai dubbi sulla reale consistenza della domanda da parte del pubblico, “da quello che vediamo, la gente ha voglia di uscire, e questo sarebbe quasi un eufemismo dopo più di due mesi di quarantena. Chiaramente, si tratta di fare in modo che i clienti possano farlo con sicurezza e serenità, e in questo senso gli esercenti si stanno impegnando al massimo. Sappiamo bene che non può esistere un rischio zero, ma questo vale dappertutto e non solo per i ristoranti. Il virus c’è e non è stato ancora superato, quindi, per un certo periodo, dovremo conviverci. Speriamo che, tra misure adottate e un po’ di buona sorte, tutto andrà per il meglio”.

     

    Siete pronti a tornare nei ristoranti o la riapertura ancora non vi rassicura?

    Matteo è nato a Bologna e vive a San Giorgio di Piano (Bo), è giornalista, sommelier e assaggiatore di olio d'oliva, ha collaborato con il Dipartimento di Scienze e Tecnologie agro-alimentari dell'Università di Bologna. Per Il Giornale del Cibo si occupa di attualità, salute, cultura e politica alimentare. Apprezza i cibi e le bevande dai gusti autentici, decisi e di carattere. A tavola ama la tradizione ma gli piace anche sperimentare: per lui in cucina non può mancare la creatività, "perché è impossibile farne a meno!"

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